“Toccò Adelina su una spalla e Adelina riconobbe una dolcezza infinita dentro quel gesto. Una cosa che non sentiva da anni, dai tempi dei grossi abbracci di Elsa, da quando aveva sepolto Mila, la sua tenera scimmietta, oh, cara Mila, da quando Silvio se n’era andato per sempre. Quella era malinconia pura, signori miei, unita però a un senso di riconoscenza per quanto la sorte le aveva serbato, nonostante tutto. Diamine, la vita non è stata poi così male, pensò, e fu grata di ascoltare la solita voce di Patrizia — una voce fastidiosa, di sicuro poco interessante — che diceva, guardandole i capelli, Dovresti dargli una bella sistemata, non credi?”. Sembra un incipit e invece è la fine: si chiude così, con questo gesto di cura e di affetto, “Difficile come guardare dentro i sassi, l’ultimo dei racconti che compongono Storie di coscienti imperfetti di Giacomo Verri, Wojtek edizioni.

Una delle presentazioni dell’ultimo libro di Giacomo Verri. Lo scrittore e l’autrice della recensione, Elisabetta Dellavalle nella sede Anpi di Vercelli

L’autore ha esordito nel 2012 con Partigiano Inverno (Nutrimenti), con cui è finalista al Premio Calvino, quindi nel 2015 ha pubblicato Racconti partigiani, con Edizioni Biblioteca dell’Immagine e nel 2019, sempre con Nutrimenti, Un altro candore, struggente storia d’amore e di guerra. Da sempre vicino, e attento studioso, delle dinamiche e dei personaggi della Resistenza, alla quale ha dedicato tutti i suoi lavori precedenti, ora si concentra invece, senza mai dimenticarla del tutto, a una ‘resistenza’ umana più trasversale e universale, quasi del tutto al femminile, che tocca le corde di ognuno di noi. Personaggi e situazioni non obbligatoriamente piacevoli narrati con uno stile che incrocia il monologo interiore alla prosa più attenta.

Ecco. La linea che pare unire tutte le sue opere, e che si sente potente in queste Storie di coscienti imperfetti pare proprio essere la cura, o l’assenza di essa, in una sorta di “scavo” nel senso stesso della famigliarità, vulnus narrativo di tutti e 10 i racconti che compongono l’opera, confermato soprattutto nell’attenzione particolare che Giacomo Verri dedica alla descrizione del mondo femminile: qui le donne, protagoniste o comprimarie di vicende tanto verosimili da apparire reali, sono tante, sono belle e sono determinate. Sono delle vere “resistenti”: alla vita, al loro destino, alle tragedie e al fato. Resistono persino al loro passato, alle discriminazioni e alle minacce, resistono a quello che pensa la gente e alle convenzioni, resistono a famiglie difficili e alle loro stesse paure. Resistono fortemente anche alle loro vittorie, non si sentono mai adeguate e, quando ciò accade, non sempre se ne danno il merito. Donne.

Appare particolarmente cara alla lettrice, al lettore, la “cura” che Giacomo Verri mette nel creare queste sue storie di donne, la cura che utilizza per dar loro corpo, nome, carattere, biografia, stile e, soprattutto, pensieri. Una cura tanto attenta da far sembrare alcune di loro donne realmente esistite. “Di là poi, inesatta ma pietosa/la luce parla i passanti di periferia”: si apre così ‘Donne alla pari’, in cui la generosa e modesta Miranda Pavi, silenziosa segretaria nel liceo in cui insegna l’amica Anita, che fa pesare su di lei una presunta superiorità intellettuale, scopre nella potenza delle parole e nella forza dell’osservare la chiave per aprire il suo mondo, la poesia. “Sazia di albe e tramonti/sento il peccato del vuoto/È una colpa davvero/ma del cielo, non mia”: Miranda si nutre delle piccole cose, delle sfumature, della luce che arriva filtrata dalle tende dell’ufficio, dei suoi passi solidi e lenti, di una quotidianità, e di un amore coniugale, che l’algida Anita non può che guardare da lontano. Incorniciato nel mondo della scuola, che l’autore ben conosce, arriva il racconto di due donne e di due mondi, lontanissimi e mescolati al contempo, talmente concreto da sembrare realmente accaduto.

Panorama della Valsesia

Ben presto ci accorgiamo, leggendo, che Storie di coscienti imperfetti, seppur strutturalmente composto da 10 racconti apparentemente autonomi, con titolo e trama ben definiti e individuali, è, in realtà, un romanzo corale. Corale perché tutte e tutti i suoi personaggi, più o meno incidenti nella narrazione, hanno voci proprie e ben definite ma differenti per pesi e misure, tonalità e timbri, contribuendo all’armonia del tutto in modo insostituibile e unico. Nel perdere una sola di queste voci narranti, che spesso ci parlano in prima persona e senza filtri, in una sorta di ‘flusso di coscienza’ perenne e coinvolgente, perderemmo il filo dell’intero discorso, la trama ne resterebbe compromessa, lacerata, fragile, certamente meno comprensibile. Non una raccolta di racconti, dicevamo, ma un romanzo in forma di racconti: ognuno dei dieci brevi testi declina le varie sfaccettature della fragilità umana, sono storie di resistenti imperfetti’ che, coscienti della loro imperfezione, le si affezionano e la tengono cara, come un amore, un amico, un ricordo.

Un gruppo di resistenti in Piemonte (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Romanzo corale e anche circolare, perché inizia come finisce: superata la feroce famiglia finto per bene de “La storia dei bambini trasparenti”, che inaugura la prima sezione, “Eroi e No”, arriviamo al centro della narrazione, il tema della “Resistenza”. Ci arriviamo muovendoci nella perfetta cornice del tutto che è il piccolo, ma molto articolato e dilatato in larghezza e altitudini, paese di Giave, alter ego geografico dei luoghi cari all’autore che così la descrive nella seconda di copertina: “cittadina del Nord Ovest appiattita tra pianura e montagna come un fiore carnoso tra le vecchie pagine di un libro”. Luogo di memorie e di incroci di famiglie e di destini, Giave era già stato il centro delle vicende del partigiano Claudio Benetti in “Un altro candore”, che qui ritroviamo, invecchiato, ma sempre arrabbiato e dalla parte dei più fragili, protagonista di “Prigione”. Stesso tema, il valore della Memoria, il Passato che si fonde con il Presente, ma protagonisti i giovanissimi Carlo, Giovanni e Arturo, anche nel racconto “Amici”.

Lasciando a chi legge il piacere e la sorpresa che, di pagina in pagina, cattura l’attenzione sulla varia umanità che si muove tra queste pagine, torniamo all’inizio, a quel finale che pare un incipit: l’Adelina che viene accudita, ormai anziana e in casa di riposo, dall’amichevole assistente Patrizia è, con il marito Silvio, la protagonista di ‘Leonessa’, la vera storia di Elsa che, adottata in Africa ancora cucciolo – due o tre settimane per 5 o 6 chili   sulla scia del disastro di Seveso, diventa il centro della vita di tutta la famiglia, che la ama moltissimo. Detestata dai compaesani, che non ne accettano la presenza ingombrante nelle loro vite, Elsa passerà velocemente da una vita serena in famiglia, nonostante la sua natura selvaggia e imponente, ad una serie di eventi tragici e pericolosi: dalla serenità al precipizio, quello che reggerà “la famiglia” sarà sempre e solo l’amore coniugale, forte e illimitato, tra Adelina e Silvio, pari solo al loro amore incommensurabile per la scimmietta Mila e per la loro Elsa.

Una storia vera, che chi abita le terre della bassa Valsesia ancora ricorda e che, arricchita dall’autore di quei particolari che trasformano la realtà in romanzo, sembra ora del tutto inventata. Realtà, finzione, coraggio, paura, amore e odio, pregiudizi e libertà si mescolando, cantando e danzando, in queste Storie di coscienti imperfetti di Giacomo Verri che difficilmente, una volta incontrati, dimenticherete.

Elisabetta Dellavalle