C’era una volta cent’anni fa una Maremma ribelle, sovversiva e indomita. Una Maremma diversa da quella di oggi. Una Maremma crognola, tetragona, armigera. Una Maremma proletaria, solidale, minerale. Quella Maremma i fascisti hanno provato a bonificarla.
Questo è un libro che viene da un tempo lontano e ha una genesi importante che merita di essere accennata, perché fare memoria delle proprie radici non è mai un atto neutro. L’allora giovane ribelle Alberto Prunetti, fresco laureato in scienze della comunicazione, svolse a fine anni 90 negli archivi storici ricerche su sovversivi, refrattari e banditi sociali maremmani negli anni a cavallo dell’avvento del fascismo. Il risultato fu un manoscritto in cui si mischiavano fatti reali e libertà interpretative romanzate. Il manoscritto piacque a un gruppo di amici di una piccola associazione culturale che decisero di pubblicarlo senza editing col suo titolo di quel tempo: Potassa.
Stampato in alcune centinaia di copie venne venduto e distribuito a feste, concerti, serate di solidarietà, suscitando interesse e innescando un passaparola finché nel 2003 uscì con una vera distribuzione e una buona tiratura per le edizioni di Stampa Alternativa. Sembrava finita lì, ma evidentemente i protagonisti ridestati e le storie evocate che animavano quelle pagine non erano disponibili a farsi rinchiudere nuovamente in un cassetto. Non erano infatti personaggi docili e positivi, erano brutti ceffi, oggi usando un eufemismo sarebbero considerati quantomeno politicamente scorretti.
E tanto si agitarono finché Prunetti non ci rimise mano e nel 2014 per le edizioni Alegre arrivò Piccola Contro Storia Popolare con nuove aggiunte e tagli, limature e commenti. Ma ancora il travaglio non era terminato, e il nostro, che nel frattempo aveva dato alle stampe un libro fondamentale della letteratura working class, ovverosia Amianto, decise di svolgere nuove e più accurate ricerche presso archivi e casellari, scoprendo altri documenti, collegamenti a vecchie storie e fotografie dei protagonisti. I tempi erano finalmente maturi per riscrivere tutto da capo, per raccontare ancora con parole nuove.
Settembre 2024, la fatica letteraria del cantore maremmano working class è finalmente un lavoro compiuto ed esemplare per le storie le memorie e i linguaggi, nonché l’apparato iconografico e la bibliografia. Esce con Feltrinelli, nella collana narratori, Troncamacchioni.
Il titolo può risultare ostico per chi non ha domestichezza con le macchie maremmane i suoi abitanti e la loro storia. Sostanzialmente significa andare dritto con violenza senza deviare da un percorso, rompendo anche le frasche degli alberi, bucando le siepi e i roveti, senza curarsi degli ostacoli e delle conseguenze del proprio andare. “Andare a troncamacchioni” era un modo di vivere di tante persone che conducevano una esistenza durissima tra l’imperversare della malaria e le drammatiche condizioni lavorative, fossero braccianti, carbonai o minatori.
Gli inizi del 900 avevano visto l’affermarsi delle idee socialiste e anarchiche nel sorgere delle prime Camere del lavoro, società di mutuo soccorso e cooperative di consumo. Masse di persone ridotte in semi schiavitù e in buona parte analfabete avevano rialzato la testa, iniziato un percorso di emancipazione e intravisto la speranza di quello che già Garibaldi aveva definito il sole dell’avvenire. La tragedia immane della Prima guerra mondiale, con un corollario importante di disertori politicizzati che scavalcarono le parole d’ordine pilatesche socialiste del non aderire né sabotare (in questo è esemplare la storia della “banda del prete” narrata nel libro), e lo scoppio della rivoluzione sovietica erano stati benzina sul fuoco del biennio rosso anche in Maremma.
Il libro si cala nella storia e nell’atmosfera di quegli anni con toni epici ma distaccati, con partecipazione ma senza scadere nell’agiografia, senza facili “eroi giovani e belli” in cui identificarsi. Tutt’altro: cow boy brutali degni di un film western, figure generose e spietate, latitanti alla macchia che non si perdevano una festa nei poderi, persone magari analfabete ma che sapevano recitare per ore i canti della Divina Commedia e dell’Ariosto, e non per caso Prunetti scomoda la furia del Pelide Achille.
«Voi mi direte: ma la rabbia del Pelide Achille? E io vi rispondo con l’incazzatura di Domenico Marchettini detto il Ricciolo. Vi entusiasmate per le avventure di Castore e Polluce? Non avete mai visto in azione i fratelli Sili di Prata, Florindo e Italo, armigeri carbonai ai ferri per aver trafugato dei sigari a un bottegaio che faceva la spia, o i fratelli Innocenti di Tatti, Albano e Ivo, capaci di far cantare L’Internazionale, con le buone o le cattive, anche a un coro di bambini della parrocchia».
E intorno ai fatti del maggio 1922 accaduti a Tatti, piccolo paese minerario maremmano, una sorta di soviet per la foltissima presenza di sovversivi e refrattari all’ordine costituito, si snoda un racconto storico preciso che avrà risvolti funesti. Con i toni di una tragedia greca entra in scena un microcosmo rappresentante la storia dell’Italia che stava scivolando nella notte più nera del ventennio fascista.
C’erano già stati i morti di Grosseto, le spedizioni punitive e le bastonature, la lenta ma inesorabile conquista di tutte le roccaforti “rosse” maremmane passando dall’atroce strage di Roccastrada con incendi e saccheggi e l’assassinio di dieci cittadini trucidati a caso nelle strade e nelle case.
L’unica vera bonifica che svolse il fascismo in Maremma fu questa, una bonifica sterminatrice a vantaggio degli agrari e dei proprietari delle miniere che il fascismo armarono finanziarono e sostennero senza battere ciglio per oltre vent’anni.
Molti dei nostri antieroi continueranno a opporsi al regime in ogni modo, e le loro vite e percorsi formeranno un filo rosso che dalle colline maremmane ci porterà fino in Francia, in Belgio, in Spagna e Russia. Girata l’ultima pagina vorremmo ancora rimanere a lungo a scrutarne le fotografie e ascoltarne le gesta. È uno dei tanti meriti di questo libro: averli definitivamente sottratti all’oblio della polvere degli archivi, alle grigie schede del casellario giudiziario scritte con linguaggio questurino, e avergli restituito memoria vita e dignità nella loro furibonda esistenza a troncamacchioni.
Qui troverete l’epica stracciona dei diseredati che non possono permettersi il lusso delle emozioni interiori, la storia degli ultimi che hanno fatto la storia.
Stefano Erasmo Pacini
Pubblicato domenica 29 Dicembre 2024
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