Sono molti i modi con i quali un libro può arrivare fino a te. Lo puoi comprare, te lo possono prestare (ma la mia personale filosofia comanda che i libri non si prestano mai, perché il più delle volte non ti ritornano. Se a quella persona ci tieni davvero, quel libro, allora, glielo regali). Oppure, un libro, lo puoi trovare. Sì, proprio trovare. Un tempo, in alcuni posti, c’era infatti l’abitudine di dimenticare un libro sul tavolino di un bar, su una panchina, nello scompartimento di un treno (sui treni, ho fatto diversi dei miei incontri più felici con un libro) perché altri potessero godere della sua lettura.
Ma il libro di cui qui scriverò mi è arrivato in un altro modo ancora: da un amico a me, attraverso un altro amico, una “catena” della cultura e della memoria. Ed è stato un altro incontro felice.
A prima vista mi è parso un libro “povero” (parlo, s’intende, della veste editoriale) come quelli che si stampavano durante la guerra o come quello che mio zio, soldato italiano “cobelligerante” con gli inglesi (per non finire in campo di concentramento, dopo la Russia, la Jugoslavia e l’8 settembre) aveva trovato tra le rovine dell’abbazia di Montecassino e portato a casa e che, da tempo, ho “ereditato”.
Incuriosito, sono subito andato all’ultima pagina e ho letto che il volume è stato stampato in Slovenia. Chiusa questa nota, diciamo così tecnica, si tratta di un libro interessante e stimolante che consiglio vivamente di leggere.
E dunque veniamo più propriamente alla storia: o meglio, alle storie di questo libro. S’intitola Corpo Appennino, in cammino da Monte Sole a Sant’Anna di Stazzema e lo ha scritto quest’anno Simona Baldanzi, per i tipi della Ediccloeditore di Portogruaro (VE). Baldanzi, fiorentina e scrittrice impegnata, predilige le storie operaie, quelle che riguardano i migranti e quelle di chi ha perso la vita combattendo i nazifascisti. Questo volume racchiude un po’ tutti i “suoi” temi con un’aggiunta: il territorio, che non è semplice cornice per le vicende raccontate, come spiegato dalla stessa autrice in un’intervista.
Corpo Appennino è, di primo acchito, un diario di viaggio, perché descrive la passeggiata che da dieci anni si organizza da Monte Sole-Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema. Ma si tratta anche d’altro. Quella passeggiata (più esattamente, quella “camminata della pace”) si svolge infatti in sei giorni e attraversa il territorio – compreso tra Toscana ed Emilia-Romagna – che ha sopportato insieme ai suoi abitanti una delle pagine più drammatiche della seconda guerra mondiale e dell’occupazione nazifascista dell’Italia.
Si tratta di un’esperienza di viaggio e di memoria che unisce alcuni luoghi simbolo – collocati sulla linea gotica – della “guerra nazifascista ai civili” del 1944 con il massacro di più di mille persone totalmente inermi: anziani, donne, bambini, neonati e la distruzione di ogni segno di vita nei borghi (Monte Sole-Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema) in cui abitavano o dove si erano rifugiati per sfuggire alla guerra e alla barbarie nazifascista che, comunque, li raggiunse.
Non si tratta di una passeggiata in solitaria, ma di qualcosa in comune con altri, ovvero di un gruppo di persone (di corpi, per rimanere nello spirito del libro) che vivono un’esperienza collettiva attraverso altri corpi: quelli dei morti ammazzati nelle stragi e attraverso il “corpo del territorio” che ha raccolto il loro sangue e custodisce la loro memoria.
Questo itinerario guidato attraverso l’Appennino offre ai camminanti, insieme alla scoperta dei luoghi della Linea gotica, la bellezza dei paesaggi e la possibilità di vedere i segni della lotta partigiana. Così la “passeggiata” diventa occasione di scambio e riflessione, ma anche occasione per fare conoscenze, stringere amicizie, mentre ci si immerge nella memoria di quelle stragi di innocenti a causa delle quali, per molti anni, quel territorio è rimasto abbandonato al e dal ricordo.
Ma quella camminata ha una genesi che nulla ha a che fare con quello che oggi chiamiamo trekking. Inizia infatti a Roma, nel 1994, nel palazzo di via Federico Cesi che ospita la procura generale militare della capitale. Nello scantinato viene aperto, per caso, un armadio rimasto per molti anni con le ante rivolte verso la parete e dentro, in bell’ordine, sono trovati 695 fascicoli riguardanti fatti criminosi di marca nazifascista di cinquant’anni prima archiviati – con una vera e propria, inopinata, capriola giuridica – “provvisoriamente” per cinquant’anni. Tra quei documenti (una montagna di carte contenenti ben 2.274 diverse “notizie di reato”) ci sono quelli relativi alle stragi nazifasciste di civili di Monte Sole-Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema, dell’estate del 1944.
Corpo Appennino non tratta però solo di storia, perché incrocia il vissuto personale della scrittrice e l’operazione alla testa a cui era stata sottoposta l’anno prima di quella “passeggiata”. Ecco allora che le pagine sul territorio s’intrecciano con quelle delle vittime delle stragi (e con i loro corpi) ma anche con la testa e il cuore dell’autrice, protagonista di quel segmento della sua storia – quasi delle incursioni – che troviamo all’interno di ogni capitolo.
Ma nel libro c’è anche una storia operaia, quella della Smi di Campo Tizzoro (paese posto sulla montagna pistoiese, nel comune di San Marcello Piteglio, in provincia di Pistoia), una fabbrica di munizioni nata ai primi del 900 e posta in una zona depressa dell’Appennino. La Smi era una sorta di enclave protetta in cui gli operai – lavoratori per quel tempo e quel luogo privilegiati, visto che, durante la guerra, la fabbrica non fu mai bombardata – erano, però, stretti tra il relativo benessere che quel posto di lavoro dava loro (mentre tutto intorno era miseria, disoccupazione ed emigrazione) e la coscienza di fabbricare strumenti di morte.
Quella fabbrica – all’interno della quale si svolgerà, in una pausa della “passeggiata”, il convegno “Resistenza non violenta, disobbedienza civile 1943-2019 dall’esperienza di allora alle azioni di oggi”, organizzato dalle Anpi di Peretola e Montagna Pistoiese – era dunque un altro corpo che, su quel territorio, legava insieme il passato e il presente e la cui storia rappresenta il filo rosso che, ancora oggi, unisce la lotta di ieri (la Resistenza nelle sue varie forme) a quella di oggi; i sacrifici e le morti di ieri con quelli di oggi, le leggi migranti (siamo nel 2019, il tempo dei “decreti sicurezza” di Salvini e del Mediterraneo, cimitero a cielo aperto) e i morti sul lavoro.
Dunque, questo libro non è solo un diario di viaggio o di un’esperienza personale, di sofferenza e guarigione, ma è qualcosa di più. È uno strumento di conoscenza e riflessione. Meglio è – come scrive l’autrice nella quarta di copertina, riferendosi alla “passeggiata”, ma non solo a quella – il modo “per mantenersi di sana e robusta costituzione o meglio di sani e robusti ideali”.
Ugo Fanti, presidente Anpi sezione “Galliano Tabarini”, Aurelio Cavalleggeri, Roma
Pubblicato domenica 19 Settembre 2021
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