In uno dei migliori film di Totò, Arrangiatevi (1959), regia di Mauro Bolognini, assistiamo allo sgomento dei maschi italiani per la chiusura delle cosiddette case di tolleranza e la fine della prostituzione di Stato. In una celebre scena, verso la fine, Totò , che con la sua famiglia si è trasferito in una casa che qualche tempo prima ospitava un bordello, apostrofa con il memorabile ‘arrangiatevi!’ i militari che, disperati, si affollano sotto le finestre di casa sua, non ancora persuasi che quella eredità della società fascista sia definitivamente relegata nel passato. Questo ci riporta a quanto disse Lina Merlin nella sua autobiografia: “Non sono lieta della notorietà che mi ha dato [la legge] perfino all’estero, perché in fondo non viene dalla importanza della legge in sé stessa, ma dall’accanimento degli italiani nel non accettarla”.
Mi è venuto in mente questo episodio leggendo il saggio di Monica Fioravanzo, storica dell’università di Padova, su Lina Merlin, sì, perché ancora oggi il suo nome evoca immediatamente la legge omonima, che mise fine alle case chiuse nel settembre del 1958. A parte questo e, forse, l’elezione all’Assemblea costituente, di Lina Merlin non si ricorda null’altro, almeno nella coscienza del cittadino medio. Mancava una ricostruzione complessiva della sua figura, umana e politica, che non la riducesse esclusivamente alla legge ‘Merlin’ e che la inquadrasse, come scrive la Fioravanzo, all’interno del “processo di democratizzazione” della repubblica nata dalla lotta al fascismo e per “il riconoscimento della piena cittadinanza femminile”.
Socialista e antifascista, Angelina Merlin nasce in provincia di Padova nel 1887, studia da maestra nel capoluogo veneto e si abilita come insegnante di francese all’Università di Padova nel 1908. Nel 1920 decide di iscriversi al Partito Socialista, spinta innanzitutto da una necessità personale di giustizia sociale, specie dopo lo shock della Grande Guerra. “Se io sono socialista, lo sono diventata, non solo dopo aver studiato delle teorie, ma per comprensione dell’estrema miseria da cui vedevo afflitta una grande parte del popolo italiano”. Parole altissime che ci riportano a una visione dell’impegno politico ormai davvero rara da trovare.
La militanza della Merlin è intensa: scrive articoli su L’eco dei lavoratori, foglio del socialismo patavino, e sarà talmente presente nel territorio che consegnerà lei stessa a Matteotti il materiale documentario sulle violenze fasciste nel padovano e nel vicentino, durante la campagna elettorale del 1924.
Nel 1926 la maestra Merlin si rifiuta di giurare fedeltà al regime, scelta che le costa il confino in Sardegna; nel 1930 le viene permesso di rientrare a Milano, dove clandestinamente continuerà l’impegno antifascista. Dal 1943 al 1945 si colloca l’attività in supporto alla Resistenza, poi la fondazione dell’Udi (Unione donne italiane) nel 1944 e, nel 1946, l’elezione alla Costituente. Lina Merlin sarà senatrice e parlamentare fino al 1963, nonostante fosse uscita due anni prima dal Partito socialista per divergenze inconciliabili sulla svolta marxista-leninista e centralista del partito. Il capitolo sul rapporto tra Lina Merlin e il Psi è certo uno dei più importanti del libro. Il volume segue tutta l’attività politica della ‘senatrice’, come venne abitualmente chiamata: dall’impegno costante per il Polesine, terra di provenienza della madre e terra colpita da miseria sociale e calamità naturali (come la devastante alluvione del 1950), alle sue lotte per l’uguaglianza e i diritti delle donne.
Sono l’impegno e la dedizione per il Polesine che le daranno ampia visibilità nazionale, come poi la legge che porta il suo nome. Dai testi riportati dalla Fioravanzo emerge una donna lucida, appassionata, a tratti ironica, senza particolari inibizioni verso i cerimoniali della politica e verso un mondo comunque dominato dalla presenza maschile. In occasione dell’inaugurazione di un tratto di acquedotto a Occhiobello (Rovigo) la Merlin rilevava che è bene si inaugurino i lavori pubblici ma vorrebbe soprattutto che di tali opere si vedesse anche la fine.
Comunque l’asse centrale dell’azione politica della senatrice sarà la lotta per l’emancipazione femminile, di cui l’abolizione dei bordelli di stato è solo un aspetto. Altri saranno, per esempio, le battaglie contro lo sfruttamento della donna nel mondo del lavoro (dalla proletaria all’impiegata) e la lotta per l’emancipazione e l’uguaglianza della donna nell’età repubblicana: diritti e “tutela nella famiglia, nel lavoro e nella società”. Ampio è dunque lo spettro della sua azione parlamentare, in grado allo stesso tempo di specificare i soggetti verso cui è diretta, come le mondine e le madri carcerate. Del resto la sua presenza nella Terza Sottocommissione della Costituente e la sua relazione sull’assistenza per le famiglie rappresentano un passo decisivo proprio per i diritti non solo della donna e della madre, ma anche dei figli: si pensi alla cancellazione della distinzione tra quelli legittimi e illegittimi, così come dell’odioso stigma N.N. dagli atti amministrativi e dai documenti.
Con la legge sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione del 1958, Lina Merlin si metteva non solo di traverso a secolari e radicate opinioni sulla necessità del “mestiere più antico del mondo”, necessità e male minore anche per la Chiesa (la tesi giustificazionista risale almeno al De ordine di Sant’Agostino), ma faceva notare altresì che non intendeva abolire tanto la prostituzione universale quanto la partecipazione dello Stato a un sistema di vendita del corpo femminile, che aveva origine nelle diseguaglianze e nella miseria della società. Fra l’altro chi si prostituiva subiva e scontava un pregiudizio sociale incancellabile. Sembrava impossibile uscirne, in un certo senso si rimaneva sempre “quelle lì”, come ha raccontato lucidamente Antonio Pietrangeli nel bellissimo Adua e sue compagne del 1960.
Alla fine la cosiddetta legge Merlin (sostenuta dalla democristiana Tina Anselmi, solo per fare qualche nome) non faceva altro che adeguarsi alle direttive dell’Onu sulla questione, eppure dalle pagine di Addio Wanda, un penoso libello del 1958, il già fascista Montanelli apriva i rubinetti della nostalgia per il tempo che fu. Un libro, fra l’altro, che aveva una visione atrocemente maschilista in materia di quella che oggi chiameremmo differenza di genere: i bordelli, afferma Montanelli, insegnavano alle donne a stare al loro posto, perché se sbagliavano o se la andavano a cercare alzando la cresta, il posto dove sarebbero finite era appunto una casa chiusa
Le ultime pagine del libro della storica padovana raccontano di una fierissima Merlin che, superati gli ottant’anni, nel 1970 s’intesta una battaglia di opposizione al divorzio, una battaglia solo apparentemente reazionaria, come qualcuno improvvidamente affermò. In realtà, per quanto incomprensibile da una sponda femminista, la senatrice, “ritenne di tutelare, ancora una volta, i soggetti più fragili, che all’interno della famiglia erano i figli e le madri, per la maggioranza casalinghe, più raramente occupate ma spesso sottopagate, e comunque prive per la maggior parte di una vera autonomia economica”.
Pubblicato sabato 21 Ottobre 2023
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/non-solo-autrice-della-legge-che-aboli-le-case-chiuse-storia-di-una-combattente-per-altra-meta-del-cielo-e-i-piu-deboli/