Scritto per dei lettori stranieri durante l’esilio parigino, “Marcia su Roma e dintorni” è uno dei libri più belli di Emilio Lussu. Si tratta della cronaca esilarante e tragica degli anni del primo dopoguerra e del crollo di quello Stato liberale che aveva vinto la “Grande guerra” e fu tuttavia incapace di mantenere se stesso e le proprie istituzioni di fronte al colpo di mano fascista.
Per quanto Lussu scriva, nella prefazione all’edizione italiana del 1944, che si trattava di un documento soggettivo e non storico su un periodo cruciale della storia d’Italia, le pagine di “Marcia su Roma” sono ancora utili per misurare, attraverso lo sguardo del deputato del Partito sardo d’azione Lussu, la dissoluzione e l’impotenza dello Stato costituzionale e del regime parlamentale di fronte all’illegalismo fascista; probabilmente il libro, edito a Parigi nel 1933 e in seguito tradotto in francese, inglese, spagnolo e tedesco, intendeva opporsi come un contravveleno alla mitologia e all’epica della “marcia su Roma” che ne fece il regime nel decennale del 1932.
Ironia, paura e disgusto attraversano questo piccolo capolavoro dell’autore di “Un anno sull’altipiano”. Ironia dell’autore sulla retorica e sull’idiozia fascista, paura di fronte alla violenza dello squadrismo e disgusto sulla pochezza e inconsistenza di chi doveva difendere lo Stato. Rimane memorabile il ritratto che Lussu fa dell’ultimo presidente del Consiglio, Luigi Facta: «Io non ricordo aver conosciuto nella mia vita politica, uomo più ottimista. Erano stati uccisi dei contadini in pieno giorno. I fascisti, conosciuti come autori del delitto, non erano stati molestati. Una commissione parlamentare presentò le sue proteste all’onorevole Facta. Io facevo parte della commissione. Il presidente, che era anche ministro dell’Interno, ascoltò la descrizione del fatto, sorridendo come se noi gli parlassimo di nascite e non di morti. Poi sempre sorridendo, ci rispose: nutro fiducia che tutto andrà nel migliore dei modi».
Il disgusto coinvolge non solo vecchie volpi liberali come Giolitti, nel suo ridicolo ottimismo di poter legalizzare e politicizzare il movimento fascista, ma anche interi pezzi delle istituzioni statali come prefetti, questori, pezzi dell’esercito monarchico, che assecondarono Mussolini e compagni nella loro conquista del potere: «Nessuno oppone resistenza. Nessuno si muove» scrive Lussu.
Infine, in “Marcia su Roma e dintorni” risalta una caratteristica della classe politica italiana che assecondò Mussolini e compagni, ossia il trasformismo e l’opportunismo: «Bisogna preparare una contromarcia, sostiene con fredda calma l’onorevole Beneduce, democratico irriducibile, ex ministro del Lavoro col ministero Nitti. Ogni veleno reclama il suo antidoto. A insurrezione, insurrezione; a colpo di stato, colpo di stato. E faceva la spoletta fra generali e uomini politici, fra industriali e banchieri e organizzazioni proletarie, reclamando mezzi, denari e uomini per l’impresa. E, sempre facendo la spoletta, non si è mai perduto d’animo. Adesso è fascista, e di grande autorità».
La natura di rivoluzione antidemocratica di destra del fascismo rimarrà incompresa ai più che pensavano di poterlo riassorbire nello Stato parlamentare. Lussu non si fa illusioni. Rievocando, in pagine degne di Tacito, la seduta del 16 novembre 1922 quando il governo Mussolini chiede la fiducia a una camera asservita, inebetita e umiliata, parla esplicitamente di dittatura. Indimenticabili le righe finali su un Mussolini che, una volta ottenuta la fiducia, esce dall’aula: «Mussolini uscì dall’aula, radiante di gioia, trionfatore, come, da un grande spettacolo, il domatore di un circo equestre».
Sebastiano Leotta, docente di storia e filosofia al liceo “Cornaro” di Padova
Pubblicato giovedì 26 Ottobre 2017
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