Un luogo comune duro a morire è quello secondo cui la gente del Sud Italia sarebbe stata a guardare mentre il Centro-Nord combatteva, un’idea frutto dell’offensiva revisionista sulla Resistenza e le sue dinamiche, iniziata fin dal dopoguerra e proseguita con intensità variabile nei decenni successivi, portando così fatti storici, come direbbe Pier Paolo Pasolini, “verso l’atemporale”, privandoli, in altre parole, del contesto storico, con gravi conseguenze sulla memoria collettiva.

Nel corso della lotta al nazifascismo, il Meridione era stato le Quattro giornate di Napoli e niente di più.

La recente storiografia ha fatto però emergere con chiarezza il ruolo del Mezzogiorno nella lotta di Liberazione, smentendo la visione di un Sud del tutto inerte: in questa direzione va il libro “Gli Dei di domani” (Città del Sole Edizioni, 2023) del giornalista Antonino Princi che, narrando della Calabria, non solo “riguadagna storia e narrazioni perdute per recuperare la consapevolezza di essere collettività e comunità”, ma mira a “contrastare lo stereotipo della terra destoricizzata, intrappolata in un eterno incanto naturalistico, quasi incapace di generare figure con una coscienza critica dei loro tempi”.

Teresa Gullace ha ispirato Rossellini nella famosa scena di Roma città aperta. Anna Magnani era Pina

E lo fa con un approccio fresco e appassionato, in una sintesi ben riuscita tra storiografia classica e tradizione mitico-narrativa dei “cunti”, gli antichi racconti orali tramandati di generazione in generazione. Princi, racconta di Teresa Gullace, tra le dodici figure calabresi riportate nel testo, emigrata a Roma da Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, di quando nel 1944 viveva in vicolo del Vicario, a ridosso del Vaticano, nella zona chiamata Valle dell’Inferno “perché è zona di fornaci, secondo alcuni, perché è una baraccopoli, per altri”.

Soldati nazisti a Roma

Racconta di quando il 3 marzo venne uccisa a sangue freddo da un soldato del Polizei regiment Bozen davanti alla caserma di viale Giulio Cesare, dove era imprigionato il marito Girolamo e “luogo simbolico dove vengono rinchiuse centinaia di persone con l’intento, tra gli altri, di trovare forza-lavoro da mandare ad Anzio – sul litorale laziale – a costruire fortificazioni contro l’avanzata Alleata”. In una Capitale dove “ci sono tutti e non c’è nessuno: ci sono i tedeschi agli ordini del comandante Kappler, i repubblichini, la polizia, in parte assorbita nelle formazioni repubblichine, i carabinieri, fedeli al Re e non a Mussolini e quindi visti con diffidenza dai tedeschi”.

Molti di loro saranno caricati sui treni diretti in Germania per non fare più ritorno. Sarà per questo o forse “per un dogmatico rispetto a un ordine impartito dai propri diretti superiori” che due carabinieri arrestarono Girolamo Gullace mentre era in cerca di lavoro tra le strade romane. “Abbiamo pensato che papà non avesse da mangiare – racconterà anni dopo a Patria Indipendente il figlio Umberto – così la mattina del 3 marzo mamma mi ha detto: andiamo a cercare papà e vediamo se possiamo portargli qualcosa”.

Teresa Gullace era al settimo mese della sesta gravidanza e non aveva compiuto ancora 37 anni quando morì. Nata l’8 settembre, divenne “simbolo dell’eroica Resistenza romana” come ricorda l’Unione Donne Italiane in una targa posta nel 1945 sulla stessa strada, è stata rievocata dall’intensissima interpretazione di Anna Magnani nel film “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, insignita nel 1977 della Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria e, nel 1995, scelta da Poste Italiane per rappresentare in un francobollo commemorativo “le Donne nella Seconda guerra Mondiale”.

Antonino Princi racconta delle tante anime della Resistenza, come quella armata, combattuta al Nord da gente del Sud. Racconta di quei soldati meridionali per cui l’8 settembre fu una data spartiacque che impose una scelta, spesso drammatica perché comportò sacrifici, fame e rischio di essere fucilati per tradimento alla divisa che indossavano, “non per trasmissione di esperienza da padri a figli e da vecchi a giovani – affermerà lo scrittore Elio Vittorini – ma per dure e brutali lezioni avute direttamente dalle cose e dentro le cose, per lente maturazioni individuali e per faticose scoperte di verità”. Perché, riflette l’autore calabrese, “ci sono posti in cui basta andare avanti di un metro e si è carnefici e, se si arretra di un metro, si è vittima. Talvolta è lo spazio a definire l’identità”.

Il partigiano Nino D’Agostino, nato a Delianuova il 25 luglio 1924, Caduto nella lotta contro i nazifascisti il 20 aprile 1945. Aveva appena 20 anni

E nel libro si racconta del partigiano Nino D’Agostino, (a lui è stata dedicata una nuova sezione dell’Anpi in provincia di Reggio Calabria), insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare, che “a partire dal 12 settembre indossava già un fazzoletto rosso intorno al collo e il berretto con la stella rossa in fronte, perfettamente integrato nella 114ª Brigata Garibaldi”, narra Princi, e con il distaccamento “Giovanni Novara”, facendo “il salto verso i monti, al di là della linea di confine tracciata dal cartello in tedesco con su scritto Acthung Banditen” nella conca di Vaccherezza, dove morì il 20 aprile 1945, proprio pochi giorni prima della Liberazione di Torino, dove era andato, diciannovenne, per la chiamata alle armi partendo dal comune di Delianuova, in Aspromonte.

In un recupero della memoria attraverso un’accurata ricerca storiografica, il libro decostruisce e fornisce nuovi precisi significati ad accadimenti non ancora indagati, dando dignità alle persone coinvolte. “Oggi molto di ciò che viene scritto sulla Calabria viene spesso riportato con supponente approssimazione – chiosa l’autore – con la pericola conseguenza di operare così un carsico processo di destoricizzazione”. Basta attraversare le storie di Maria Rosa, di Baldo, di Giuseppe e di tutti coloro che compongono il volume per comprendere la portata delle scelte di queste persone normali, ordinarie, capaci con le loro azioni di cambiare il corso degli eventi, obbedendo alla loro Legge morale per passione, altri ancora per bisogno e altri perché non avevano altra scelta.

Con la loro condotta, i loro gesti e i loro inconsapevoli sacrifici sono “trapassati al di là delle loro umane biografie. Ciò basterebbe a farne degli eroi e delle eroine se non fosse per il fatto che in ciascuno di loro riaffiora un perduto dettaglio, mistico e ineffabile, che li fa assomigliare piuttosto a degli dei”. Gli dei di domani.

Mariangela Di Marco, giornalista