Memoriale di una vita, romanzo di formazione, saggio che ripercorre le tappe ideali e la prassi politica per la costruzione dell’“intellettuale collettivo” nel Ventesimo secolo: tutto questo è compreso nel corposo volume di Abdon Alinovi, deputato comunista dal 1976 al ’92 e Presidente della Commissione Antimafia nella IX Legislatura.
Nato a Eboli nel 1923, Abdon cresce in una famiglia con quattro figli, il papà dirigente della Segreteria della Procura Reale al tribunale di Salerno, la mamma insegnante elementare. Nel ’34, il giovane è avviato a Spoleto per compiere gli studi nel Convitto dell’INOIS, l’Istituto Nazionale per gli Orfani degli Impiegati dello Stato, dopo la precoce morte del padre, il quale, previdente, ha sempre versato i contributi per un “ammortizzatore sociale” (come si chiamerebbe oggi) che a malapena si poteva permettere dopo la crisi economica del ’29 e la conseguente “decurtazione” dello stipendio (si chiama ancora così, nel tempo nostro della crisi globale). Tutto il percorso ginnasiale e liceale è compiuto in un settennato trascorso nella cittadina umbra, in piena maturazione fisica, intellettuale, sentimentale, con la scoperta della letteratura russa e francese, lo studio dei grandi pensatori critici, Galileo, Cartesio, Newton, poi Kant, i ragionamenti sul cristianesimo delle origini, sul valore del dialogo e della giustizia, in contrapposizione alle ritualità della religione di Stato.
In un’Italia che man mano attraversa gli anni del massimo consenso e poi scivola inesorabilmente verso la guerra e i suoi orrori: il racconto della madre che assiste al raduno dei legionari volontari in partenza per la Spagna, ai quali erano stati assegnati come dormitori i moderni e luminosi edifici delle scuole di Eboli, inaugurati pochi anni prima e restituiti dalle “centurie” con porte e finestre sfasciate, centinaia di banchi distrutti, bagni intasati e lordati; nel ’39 una nave nera come la pece si porta via il fratello Almo dal porto di Napoli verso l’Africa e la Libia; anche i ritorni al Sud per le vacanze estive cambiano colore, il blu della costiera amalfitana è come scolorito, sulla spiaggia i barconi per la pesca dei tonni coperti da teloni neri, funerei perché gli uomini vanno via per una leva che non si sa quanto durerà; e poi di nuovo al Convitto, stavolta imprigionato nel “carcerino” per aver rifiutato di dare l’attenti all’alzabandiera della domenica, a spaziare con lo sguardo dalla finestra a sbarre lungo la valle punteggiata dai tralci di “ilice nera”, cara al Carducci che esalta la vittoria dei soldati di Roma su Annibale.
Il 10 giugno 1940, alle 18, nella grande piazza ancora assolata di Eboli, appoggiato a un alberello, Abdon Alinovi ascolta il discorso di guerra del duce dagli altoparlanti del caffè, convinto che tutte le contrade del Paese condividessero lo stesso sgomento, tragico silenzio seguito all’annuncio, a parte la folla delirante di piazza Venezia (mio padre, anche lui classe ’23, nel vicolo lì a fianco, invece, vomitò, NdR).
Dal 1941 inizia per Alinovi un’altra scuola: rientrato a Eboli dopo la licenza liceale, sua madre vuol regalargli un paio di scarpe su misura e lo manda nella bottega di un calzolaio fiorentino. È Mario Garuglieri, confinato comunista, compagno di prigionia e allievo di Antonio Gramsci nel carcere di Turi. Con lui matura l’apprendistato, da Labriola a Croce, dai Classici dell’economia UTET della biblioteca del babbo al Capitale, che porterà Abdon all’adesione al partito comunista clandestino, insieme ad altri coetanei, come lui vissuti interamente nella parabola ventennale del regime. Poi c’è l’università a Napoli, facoltà di Giurisprudenza, preferita a Medicina perché “apre tante strade”, come ripete mamma Assunta, la partecipazione ai prelittoriali e la nomina ad addetto culturale del NUF (Nucleo Universitario Fascista): “Ottimamente”, approvò Garuglieri.
Qui il libro di Alinovi vira dal romanzo di formazione e inizia a narrare il percorso che condurrà alle ultime condanne del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, nell’Aula IV del Palazzaccio a Roma, fino al mese precedente la caduta del fascismo, ai bombardamenti che sventreranno anche la casa d’infanzia color rosso pompeiano, all’8 settembre, alla Liberazione delle terre del Sud, alla svolta di Salerno, agli incontri con Palmiro Togliatti, Giorgio Amendola, Pietro Ingrao, Concetto Marchesi e Arrigo Boldrini, il “Comandante Bulow”.
L’educazione al pensiero critico ricevuta dal suo maestro Mario Garuglieri (a corredo del volume è presente il manoscritto inedito della sua autodifesa in Corte d’Appello contro la condanna a 21 anni e sei mesi di carcere) nel dopoguerra guiderà Abdon Alinovi nel suo contributo all’edificazione della società democratica. Senza mai dimenticare neppure le scoperte filosofiche degli anni spoletini, in cui contro il pensiero totalitario si era radicalizzato il cogito cartesiano: dubito ergo sum.
Daniele De Paolis, giornalista
Pubblicato venerdì 19 Febbraio 2016
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