“Il Pasi era un giovanotto/ veniva dalla Romagna…” così inizia una poesia che Mario Tobino dedicò a Mario Pasi, suo amico e collega nello studio della medicina negli anni 30.
Lo chiamò in chiusura, con una felice frase poetica “il più bell’Italiano di mezzo secolo”. Ma a metà dell’ode scrisse: “Lui lo impiccarono i tedeschi/dopo sevizie che non ho piacere che si sappiano…”.
In questa lirica sono condensate molte e importanti cose sulla figura di Mario Pasi. Medico, antifascista, comunista ravennate, andato a Trento per il suo lavoro, comandante partigiano nel bellunese e lì catturato, seviziato per mesi, e impiccato – ormai moribondo – il 10 marzo 1945 nel “Bosco delle Castagne”, poco fuori Belluno. C’è ancora l’albero a cui lo appesero. Ci sono le foto del corpo di lui, c’è il biglietto che scrisse durante il lungo martirio “Mandatemi del veleno, non resisto più”.
A Belluno è ricordato con solennità ogni anno, e a Trento gli hanno dedicato una piazza, ma nemmeno Ravenna lo dimenticò, nel dopoguerra: una via, una scuola, un busto di bronzo in un’altra scuola del centro. Ora verrà anche posta una targa nella casa in cui era vissuto.
Ma certo, il fatto che fosse mancato da Ravenna per tanti anni, e fosse andato a morire tanto lontano, hanno impedito di acquisirlo pienamente al patrimonio resistenziale della comunità. Già molti anni fa, a cura del Comune di Ravenna, venne pubblicato un agile volumetto che ne tratteggiava i momenti salienti, ma non molto di più, in assenza di una ricerca organica e storicamente approfondita.
Le lacune nella conoscenza della personalità, delle tappe di formazione politica e professionale, del suo percorso a Trento e poi di resistente nel bellunese, per non dire della sua cattura e del suo calvario, sono state finalmente colmate da una approfondita ricerca condotta e scritta da Giuseppe Masetti, direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Ravenna. Ricerca pubblicata a cura dello stesso Istituto per i tipi delle Edizioni del Girasole.
La ricerca ripercorre con scrupolo, avvalendosi di materiali i più vari e difficili da reperire, la formazione umana, culturale, etica e infine politica di una persona che – di origini socialmente modeste, su butta nello studio, nella ricerca di una dimensione professionale – la medicina – che ha anche un sottofondo etico, ma che non si vieta la ricerca e l’esplorazione del mondo. Che matura conoscenze e amicizie importanti, che da un certo punto fa della scelta della militanza (comunista) non una semplice opzione politica, ma una vera “scelta di vita”.
C’è una frase che non può non colpire, scritta alla propria compagna Ines Pisoni (con cui Masi avrebbe voluto condividere l’esistenza intera se la sua non fosse stata brutalmente spezzata): “Da ora in avanti la mia vita non appartiene a me solo”. Una frase che dice molto, forse tutto, della sua condotta. Anche nei mesi di una detenzione che definire calvario è dire poco. Ma che era in qualche modo sua anche nella serietà e rigore da medico a Trento, da organizzatore e comandante di formazioni partigiane in un ambiente particolarmente difficile e pericoloso.
Giova ricordare che il trentino e il bellunese erano stati direttamente annessi al Reich germanico e sottoposti ad una imponente presenza e durissima repressione nazista. Dove i collegamenti, le azioni, i rapporti con la popolazione civile avevano caratteristiche della massima difficoltà e della massima tensione.
La delazione, la cattura, il martirio, la morte, non esauriscono la ricerca di Masetti. Oltre a una preziosa appendice fotografica e di lettere, di grande significato, c’è un ultimo doloroso capitolo sulle dicerie riguardo alla sua condotta nei lunghi mesi di detenzione. Diverse testimonianze di compagni di cella e di altri, confermano la resistenza del dottor Mario Pasi, il partigiano “Montagna” fino all’estremo sacrificio. La ricerca, uscita anche grazie al generoso contributo di persone vicine alla famiglia, in primo luogo Alberto Bissi, consentirà di riempire una pagina preziosa per la memoria della Resistenza.
Permette inoltre di arricchire il mosaico di un fenomeno tutto sommato poco studiato: quello di antifascisti, militari, partigiani che si batterono e spesso morirono lontano dalla loro terra di origine. Penso ad esempio al vicentino Antonio Giuriolo, figura di intellettuale e partigiano, quasi speculare a quella di Mario Pasi, venuto a morire nei monti sopra Reggio Emilia, ma penso anche al Carabiniere agrigentino Gaspare Crescimanno, venuto a combattere, e a morire fucilato a Giovecca, un paesino della bassa campagna ravennate. E penso ai tanti altri noti, e agli ancor più numerosi sconosciuti, che scelsero da che parte stare da qualunque terra ed esperienza venissero. È questo un altro grande valore della Resistenza: avere dato un contributo a rendere più unito questo Paese. Una unità fondata, per una volta, non sul comune stare nelle trincee di guerre volute da altri, ma sulla comune lotta per la libertà.
Guido Ceroni, presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Ravenna
Pubblicato domenica 14 Febbraio 2021
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