Lidia Brisca Menapace, conosciuta in Italia come Lidia Menapace, nata a Novara nel 1924 e scomparsa tre anni fa, il 7 dicembre 2020, a Bolzano, è stata partigiana e una protagonista delle battaglie antifasciste, delle lotte delle donne e dei tentativi politici della sinistra di costruire strade nuove verso un socialismo che era stato tradito dall’Urss.
Giornalista, scrittrice, insegnante, politica (militò nel Pdup, il partito di unità proletaria) e poi nelle file di Rifondazione Comunista, che rappresentò in Parlamento come senatrice.
Ma Lidia Menapace fu soprattutto un’attivista, alla ricerca continua di formule non stereotipate del fare politica, una donna e un’intellettuale coraggiosa, capace di rimettere in discussione continuamente le sue certezze e dare vita a scelte radicali dal punto di vista esistenziale e politico. La sua “svolta” più importante e sicuramente più sofferta, lei che proveniva dal mondo cattolico e si era laureata all’università del Sacro Cuore di Milano, è stata la decisione nel 1968 di lasciare la Democrazia Cristiana.
Molti l’hanno conosciuta personalmente o incontrata in una delle tante manifestazioni alle quali ha partecipato, qualcuno ha letto i suoi tanti articoli (soprattutto su il manifesto), ma finora non esisteva un testo che raccontasse e raccogliesse il suo percorso politico e intellettuale.
Ora invece abbiamo a disposizione un testo edito da Ab Edizioni Alphabeta Verlag di Merano, che raccoglie i suoi scritti scelti (1960-2019), “Un pensiero in movimento”, con la presentazione di Dacia Maraini, a cura di Carlo Bertorelle e Mariapia Bigaran. Un testo completo per dare conto di un pensiero che appunto non si è mai fermato o sclerotizzato: una ricerca durata tutta una vita sui temi centrali della sinistra, ma potremmo dire della politica in generale: la guerra, il fascismo, la Resistenza, il femminismo e le differenze di genere, il pacifismo. Ma anche temi specifici che erano cari a Lidia per la sua provenienza (trentaduenne si era trasferita in Alto Adige/Sudtirol), l’autonomia e la convivenza nella parità dei diritti, la letteratura, essendo lei oltre che insegnante, un’appassionata fruitrice di letteratura.
Ne parla nella prefazione la scrittrice Dacia Maraini, che racconta di aver conosciuto Lidia e soprattutto la “sua gioia di vivere” e il suo spirito democratico, lo spirito dice Maraini “con cui aveva partecipato alla Resistenza, quel movimento nobile e generoso che ha salvato l’Italia dall’ignoranza, quel movimento nobile e generoso che ha salvato l’Italia dall’ignominia nazista e creato una dignità politica e sociale che è stata alla base della ricostruzione del Paese. Da quello spirito da cui è nata la nostra bella Costituzione”. Ed è la stessa Maraini a mettere in evidenza uno dei caratteri più originali del pensiero di Lidia Menapace, quello relativo al rifiuto della guerra e della necessità di mobilitare tutti i cittadini del mondo contro il rischio atomico. Si tratta di una battaglia che, come sappiamo, ha caratterizzato i movimenti degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma che ritorna oggi di immediata e tragica attualità con le tante guerre in corso.
Il pacifismo di Lidia Menapace affonda le radici nella sua origine culturale cattolica, ma si è poi sviluppato sulla base delle tendenze filosofiche più avanzate che le erano molto note data l’attitudine allo studio e alla ricerca continua. Il pacifismo di Menapace, che possiamo scoprire leggendo la raccolta dei suoi scritti, (in particolare il capitolo sesto: “Pacifismo e azione non violenta”), non era solo una presa di posizione contro la guerra e il ricorso alla violenza: è stato piuttosto il tentativo di costruire un pensiero “altro” rispetto a una politica (anche a sinistra) che ha spesso abdicato alle logiche guerrafondaie delle “guerre giuste”.
Prima di ogni cosa Lidia Menapace si chiedeva se possano esistere motivi validi per giustificare l’uso della violenza senza cercare le alternative pacifiche. La scelta deve essere consapevole perché se si rinuncia alla costruzione di politica e nuovi assetti sociali più giusti, alla fine si arriva al tragico bivio che vede da una parte la soluzione pacifica dei conflitti e dall’altra la barbarie. Una rielaborazione originale di quel “socialismo o barbarie” che aveva caratterizzato la storia di una parte della sinistra. Gli interrogativi di Lidia Menapace erano sempre illuminati dalla stella del pacifismo e dell’azione non violenta (fu sempre risolutamente contro il terrorismo, ovviamente anche quello rosso).
Leggendo gli scritti scelti e selezionati con grande accuratezza da Carlo Bertorelle e Mariapia Bigaran (entrambi docenti di Storia contemporanea e Letteratura, oltre che promotori culturali), ci si rende subito conto che non si sta parlando di temi da teca universitaria o da archivi polverosi di partiti e movimenti. I temi che hanno appassionato Lidia Menapace e che sono stati sempre al centro delle sue scelte politiche ed esistenziali, sono vivi più che mai. Non solo il pacifismo e il contrasto di tutte le guerre, ma anche le questioni che oggi sono ridiventate di tragica attualità come l’emancipazione delle donne.
Ai problemi delle donne, alla loro collocazione subalterna nella società dei maschi, il libro dedica il capitolo quinto sul “femminismo e le differenze di genere”. In questa parte vengono raccolti articoli che parlano di emancipazione, di movimenti politici per la liberazione della donna, ma anche di temi molto complicati e perfino scabrosi con i giudizi della Chiesa sulle scelte delle donne, a cominciare dall’aborto. Così come nell’originale teoria della non violenza, Lidia Menapace (in contrasto spesso anche con molte sue amiche femministe) fu capace di elaborare un pensiero nuovo sulla necessità di una battaglia sociale delle donne per l’emancipazione e la liberazione.
La sua impostazione libera da obblighi di schieramenti preconfezionati le consentì di prendere delle posizioni pubbliche che la rendevano immediatamente interessante. Leggere un articolo di Lidia Menapace è stato un esercizio formativo per molti e quasi sempre una piccola lezione (senza alcuna spocchia) di giornalismo. Le sue idee e argomentazioni non erano mai scontate ed era capace di provocare senza essere preliminarmente provocatoria. Per comprendere il grado di libertà che era l’essenza più profonda del carattere di Lidia è utile andarsi a leggere due passaggi contenuti nella raccolta di scritti: la lettera al segretario della Dc, Mariano Rumor del 5 luglio 1968 con cui Menapace comunicava le ragioni della scelta delle sue dimissioni dal partito (pagina 196) e la battuta sull’annuncio di una possibile sua “infedeltà” anche per un partito della sinistra come il Pdup.
Secondo Lidia Menapace, come scrivono nell’introduzione Carlo Bertorelle e Mariapia Bigaran, le forme della politica, “vanno ripensate in modalità nuove, perché non sono più riflessi di sovrastrutture ideologiche monolitiche; la protesta sociale è espressa da soggetti diversi e la pratica da perseguire è sintetizzata dalla formula solve e coagula, la stessa che Alex Langer ha utilizzato per rappresentare, dopo la caduta del comunismo, la dinamica fluida dei gruppi che di volta in volta occupano lo spazio del dissenso e della contestazione”.
Se questo era il punto di riferimento principale di Lidia Menapace, si capisce anche la sua “programmatica professione di infedeltà alle diverse formazioni politiche di cui pure ha continuato a far parte (dal Pdup a Rifondazione comunista), ma restando sempre ben lontana dall’irrigidirsi in posizioni predefinite e in appartenenze identitarie”.
Paolo Andruccioli
Pubblicato lunedì 4 Dicembre 2023
Stampato il 24/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/lidia-menapace-sul-lungo-sentiero-della-liberta/