Nella recente discussione sull’emergere di neofascismi in Italia e in Europa non manca mai la voce di chi ne sottovaluta il ritorno, anche se in forme nuove. Eppure i segnali inquietanti non mancano: case editrici dichiaratamente di estrema destra, partiti politici che ammiccano alle più becere pulsioni xenofobe e violente del nostro Paese, la proliferazione sregolata di siti web che inneggiano a nuovi apartheid, gruppi come CasaPound o Forza Nuova (per ricordare solo i più noti) che invocano la libertà di espressione per esaltare violenza e razzismo e sporcano la legittima libertà di manifestazione e protesta con atti di delinquenza e vandalismo… Tutto ciò dovrebbe bastare (e avanzare!) per dimostrare che, ricordando il Brecht della Resistibile ascesa di Arturo Ui, il grembo da cui i neofascisti sono nati e si alimentano è sempre fecondo.
La sottovalutazione di questo pericolo è una trappola in cui sembra essere caduto anche uno storico importante quale Emilio Gentile che in un suo recente volume ha cercato il fascismo tout court e, non trovandolo in fez e camicia nera, non ne ha riconosciuto i mille rigurgiti che attraversano l’Europa. C’è chi sostiene che il fascismo, se prefissato con i vari para-, cripto-, neo- e via dicendo davvero fascismo non sia… Ma non sarebbe meglio concentrarsi più sulla cosa che sul nome e dunque contrastare a tutti i livelli, locale, nazionale e globale le manifestazioni antidemocratiche?
In Germania, per esempio, sono sempre più visibili i segnali di pulsioni naziste e fasciste: lo scorso gennaio lo Stato tedesco ha dichiarato fuorilegge Combat 18, un repellente movimento neonazista che si ispirava ad Adolf Hitler; e proprio qualche settimana fa la greca Alba Dorata è stata accusata e riconosciuta associazione a delinquere da un tribunale di Atene.
Anche se non si tratta del fascismo storico come l’abbiamo conosciuto o studiato, è certo che i neofascismi attuali, consapevoli o no, a quell’esperienza si richiamano e Carlo Smuraglia, presidente emerito dell’Anpi, ci ricorda che il contrario di “fascismo” (comunque lo si voglia intendere e definire) è “democrazia”, è “Costituzione”.
E l’antifascismo innerva, quanto meno a parole, interamente la nostra Carta fondamentale; tuttavia non siamo ancora riusciti a far sì che l’Italia sia pienamente antifascista, nel senso voluto dai padri e dalle madri costituenti. È mancato un processo di democratizzazione vera: tutta la struttura dello Stato avrebbe dovuto adeguarsi alla natura democratica e antifascista per non lasciare nessuno spazio a partiti e associazioni che si ispirino alla violenza, al razzismo, alla negazione delle libertà. Invece anche nelle istituzioni ci sono stati e perdurano degli atteggiamenti che dimostrano che non si è del tutto e bene assimilato il concetto di antifascismo.
Antifascismo quotidiano – strumenti istituzionali per il contrasto a neofascismi e razzismi è una raccolta di saggi, curata da Smuraglia; vi si pubblicano i risultati del convegno “Essere antifascisti, oggi”, organizzato dall’associazione dei partigiani nel 2017. Uno degli intenti dell’opera è, appunto, ribadire il carattere antifascista della nostra Costituzione. Democrazia, sovranità popolare, funzione centrale del parlamento, diritti inviolabili dei cittadini, principio d’uguaglianza: sono tutti contrari della parola “fascismo”; gli antidoti legislativi, insomma, che non si trovano solo nella XII disposizione transitoria e finale, sulla cui interpretazione getta luce il contributo di Massimo Amodio e Vito D’Ambrosio.
Il libro, inoltre, taglia corto sulla questione strettamente terminologica e persegue un intento molto più pratico e operativo: mettere un vasto numero di persone, potenzialmente tutti i cittadini “di buona volontà”, nelle condizioni di rispondere e opporsi alle varie forme di fascismo quotidiano, fornendo gli strumenti legislativi di cui l’Italia dispone ma che spesso non vengono applicati o su cui non si informa adeguatamente. Tutti i cittadini hanno diritto di manifestare dice la Carta, ma questo può valere per chi organizza iniziative palesemente fasciste e razziste?
Qualcuno sostiene che proprio in nome dei diritti sia impossibile vietarle, tuttavia Smuraglia ci insegna che non è così: «Basterà richiamare l’attenzione su una fondamentale sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che respingeva il ricorso di una persona che andava in giro manifestando il peggio delle idee, anche razziste, e che era stata condannata dai tribunali francesi per diffamazione e altri reati di odio. Secondo la Corte dei diritti dell’uomo non può invocare il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero o di riunione colui che abusa di questi diritti, compiendo azioni che in definitiva vanno contro lo stesso sistema democratico». Si tratta di una sentenza importante perché dimostra che le democrazie hanno il diritto e il dovere di difendersi da chi, pur invocando libertà democratiche, diffonde idee ad esse palesemente contrarie e che minano la convivenza civile. Una risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2018 sull’aumento della violenza di marca neofascista in Europa spiega che «l’ideologia fascista e l’intolleranza sono sempre associate a un attacco alla democrazia stessa».
Antifascismo quotidiano è dunque un prontuario, uno strumento per agire in modo concreto che richiama puntualmente la nostra legislazione, esplicitando e rendendone fruibili le norme: la Carta costituzionale, le “leggi ‘Scelba” del 1952 (che negli ultimi decenni sono restate lettera morta), la “legge ‘Mancino” del 1993 in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, una sezione del Codice penale dedicata ai crimini contro l’eguaglianza (artt. 604 bis/ter) permettono ai cittadini di svolgere un’opposizione e un contrasto efficaci al fascismo quotidiano che talvolta sopravvive negli anfratti della burocrazia, anche grazie all’indifferenza o al pressapochismo di alcuni funzionari statali.
Accade talvolta, nota Smuraglia, che prefetti e questori rispondano a chi chiede loro di vietare manifestazioni palesemente fasciste (con tanto di saluto romano e altri orpelli) che non ci sono leggi per farlo: non è così, le leggi ci sono e ci sono magistrati che le applicano, Antifascismo quotidiano le allega e ne dà conto. Così quando Francesco Filippi si chiede Ma perché siamo ancora fascisti? (Bollati Boringhieri, 2020), passando in rassegna tutti i gangli dello Stato in cui non è stata attuata a fondo, o per niente, la defascistizzazione, questa raccolta di saggi – scritti anche, ma non solo, da giuristi – ci rende accessibili gli strumenti che, se sapremo utilizzarli, potrebbero un giorno farci finalmente affermare che fascisti non lo siamo più.
Si è prestata particolare cura a scegliere uno stile e un linguaggio trasparenti e comprensibili anche ai “non addetti ai lavori” poiché, sostiene Smuraglia (con Gaber, viene subito da aggiungere), la partecipazione dei cittadini alla gestione e alla salute della Repubblica è un diritto e un dovere. E affinché tale partecipazione sia possibile, occorre che i cittadini siano formati e informati anche su questioni complesse come quelle giuridiche: Antifascismo quotidiano viene pubblicato per questo, perché i cittadini non si limitino a protestare e a indignarsi, ma imparino a denunciare e possano con cognizione di causa far valere i propri diritti, rivolgendosi alla magistratura e alle altre istituzioni affinché svolgano il loro dovere di garanti della democrazia.
Se la partecipazione dei cittadini è necessaria, non è però sufficiente: anche le istituzioni devono essere adeguate alle indicazioni chiarissime contenute nella Costituzione; oltre ai prefetti, altresì le forze di polizia: episodi come quelli verificatisi nelle caserme di Genova nel 2001 non sono ammissibili, sono stati casi di vera e propria tortura, manifestazione inequivocabile di un certo fascismo che usa la violenza sui più deboli e sugli inermi.
Anche i media hanno un importante e delicato ruolo nell’informare la cittadinanza e nel costruire un solido e diffuso sentire democratico (e dunque antifascista), ma non sempre ne sono all’altezza. Alcuni esempi: la stampa nazionale ha dato forte risalto a una sentenza di tribunale che dichiarava che il saluto fascista non è reato, ma poco tempo dopo è passata quasi inosservata la sentenza della Corte di Cassazione (organo massimo della giustizia italiana) che condannava definitivamente lo stesso gesto; allo stesso modo è passato quasi del tutto sotto silenzio il fatto che il legislatore italiano abbia recentemente aggiunto al codice penale alcuni specifici articoli sui delitti contro l’eguaglianza, anch’essi validi strumenti di contrasto al fascismo che è odio, violenza e disuguaglianza.
In Antifascismo quotidiano è stata pubblicata e discussa la Risoluzione del Parlamento europeo (25/10/2018) contro il dilagare del neofascismo in Europa, che chiede ai governi dei Paesi membri di adoperarsi per arginarla: che un tale documento sia stato pressoché ignorato dalla quasi totalità di tv e giornali italiani è segno di carenza di informazione anche culturale e di “lealtà”, ossia quella di informare i cittadini su questioni importanti e di attualità. E ancora: i canali mainstream mostrano sempre come CasaPound si opponga agli svariati e legittimi tentativi di sgombero dalla sede romana da loro abusivamente occupata, ma hanno parlato poco di una sentenza del Tar di Brescia del febbraio 2018 che boccia il ricorso di CasaPound dopo che la giunta comunale della stessa città le aveva negato l’accesso agli spazi comunali, poiché non aveva voluto firmare una dichiarazione di antifascismo, condizione imprescindibile stabilita dal Comune nel dicembre 2017 per accedere alle sue sale pubbliche.
In questo libro, invece, ce ne dà conto Francesca Paruzzo, informandoci di una precisazione del Tar: «la richiesta di dichiarare di ripudiare l’ideologia fascista non può essere qualificata come lesiva della liberta di pensiero […] dal momento che, se quest’ultima si spingesse fino a fare propri principi riconducibili a tale ideologia, sarebbe automaticamente e palesemente in contrasto con l’obbligo e l’impegno di rispettare la Costituzione italiana».
Oggi buona parte della popolazione si informa sul web, territorio sfuggente e scivoloso per l’assenza di regole e normative precise, ma questo – come ci ricorda l’avvocato Massimo Corradi col suo contributo su antifascismo e web – non deve farci desistere dal denunciare il neofascismo che vi prolifera: la polizia postale è attrezzata per questo tipo di reati, a patto che qualcuno li denunci.
Esistono poi due sentenze della Corte di Cassazione dell’aprile 2013 che confermano un’ordinanza del tribunale di Roma relative alla custodia cautelare di un indagato che aveva concorso con altri alla promozione in rete di Stormfront, un gruppo di estrema destra, escrescenza italiana di quello americano fondato da Don Black e affiliato niente meno che al Ku Klux Klan.
Il sito incitava ad atti di violenza etnica contro rom, extracomunitari, ebrei e nomadi ed esaltava la superiorità razziale bianca. La Cassazione ha riconosciuto il reato di associazione a delinquere e ha dichiarato che i diritti di libertà di pensiero e di manifestazione «non sono oggetto di tutela incondizionata e illimitata, ma incontrano dei limiti costituiti essenzialmente dal rispetto di altri diritti fondamentali, parimenti oggetto di tutela».
I nostalgici del Ventennio, tuttavia, percorrono anche – e letteralmente – vecchie strade, cercando cioè di intitolare vie e piazze a personaggi inqualificabili: in alcuni casi veri e propri criminali di guerra mai consegnati alla giustizia come Rodolfo Graziani, in altri personaggi come Almirante, redattore dell’ignobile La difesa della razza. Valerio Strinati, nel suo contributo, ci ricorda che a partire dagli anni 90 sono stati numerosi tali maldestri tentativi di revisionismo storiografico e riverniciatura di uomini su cui dovrebbe invece abbattersi la damnatio memoriae. Ci avverte, però, che la normativa attualmente in vigore necessiterebbe di chiarimenti e integrazioni che scongiurino tali situazioni, nel frattempo come cittadini possiamo appellarci ai prefetti affinché neghino l’autorizzazione a intitolare strade, piazze, monumenti parchi o sacrari o altri luoghi aperti al pubblico a personaggi in contrasto con la caratterizzazione democratica e antifascista della nostra Repubblica.
Questo libro, insomma, ci rammenta che il nostro antifascismo non solo può ma deve concretizzarsi nella partecipazione, anche attraverso la denuncia puntuale e ostinata agli organi competenti della Repubblica di tutti i fenomeni inerenti e collaterali al fascismo. Da questo punto di vista Antifascismo quotidiano è, forse, il libro più necessario e concretamente utile fra quelli usciti recentemente sulla purtroppo ancora irrisolta diatriba fascismo-antifascismo, poiché unisce alla fondamentale pedagogia antifascista e democratica di ogni cittadino (conoscenza storica, memoria, educazione civica) gli strumenti giuridici per attuarla ogni giorno nelle comunità cui si appartiene e in cui si vive.
In questo modo, poi, ossia imparando a riconoscere e contrastare i frammenti di fascismo ogni volta che si manifestano nel nostro presente, si sgancia l’antifascismo dalla reazione esclusiva, per quanto indispensabile, al fascismo storico. E si riscopre altresì una delle caratteristiche più potenti e vitali che denotarono e – ne siamo certi – denotano l’antifascismo, ossia la capacità di mobilitare la gente, di riattivarne la partecipazione. Carlo Greppi precisa: «Studiare la parabola dell’antifascismo storico ci aiuta a pensare, e non è una vuota formula retorica: la strabiliante capacità di formazione e autoformazione alla partecipazione politica – in senso stretto e in senso esteso – che hanno avuto gli antifascisti nel ventennio è uno dei ruoli fondamentali loro riconosciuti anche da chi è fortemente scettico sulla possibilità di renderlo attuale. Rivitalizzarlo potrebbe, sul lungo periodo, sconfiggere la generale disaffezione nei confronti della politica, e mettere le basi per una rinnovata partecipazione».
Nella Resistenza prima e nella Costituzione poi abbiamo tutto il necessario – ideale, culturale e giuridico – per batterci efficacemente contro il ritorno, in tutte le sue forme, del fascismo.
Sandro Pertini, partigiano e futuro Presidente della Repubblica, nel giugno del 1960 contro il presunto diritto dell’allora Msi di svolgere il suo congresso a Genova disse definitivamente che «il fascismo in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta costituzionale».
Pubblicato martedì 3 Novembre 2020
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