È così che Gustavo Zagrebelsky, nel suo libro Senza adulti (Einaudi, 2016) sintetizza le trasformazioni che il corso della vita ha subito in questi ultimi anni. Tre era il numero della giovinezza, della maturità e della vecchiaia. Due, della giovinezza che si prolunga fino alla vecchiaia. Uno, della giovinezza che annulla la vecchiaia. Zero, della giovinezza che consuma se stessa senza preoccupazione di quanto l’avvenire potrebbe riservare.
Un testo breve, ma denso, che leggiadramente cerca di toccare una serie di questioni, alcune ancestrali, che sono tra le più centrali oggi giorno. Parla di vita, di morte, di giovani, di vecchi, di generazioni che degenerano rigenerandosi, di produzione e consumo, di economia e sostenibilità, di diritti e doveri, di passato, presente ma soprattutto di futuro. Parla di Noi nell’accezione più globale che si possa intendere.
Senza adulti è la nostra società che, secondo Zagrebelsky, si sta trasformando in una sorta di eterna giovinezza.
Le divisioni della vita, prima fra tutte quelle per classe d’età, sono dettate da dinamiche socio-culturali: cambiano a seconda dei contesti storici e sociali. Allo stesso tempo, seppur in maniera differente, sono sempre esistite perché rispondono alla più umana delle domande: chi siamo?
Ed è la stessa che l’autore pone alla società. Il nostro sistema attuale ha determinato l’emergere di un uomo post-moderno alla ricerca smodata di consumo di trattamenti, sostanze, cure, diete, infiltrazioni e chirurgie per rimanere sempre giovane.
«Madri che vogliono essere e apparire come le figlie e come loro si atteggiano, spesso ridicolmente. Lo stesso per padri che rinunciano a se stessi per mimetizzarsi nella “cultura giovanile” dei figli. L’eterna giovinezza, la promessa di patti con il diavolo di fantasiosi elisir, è diventata un’aspirazione che la pubblicità commerciale alimenta» sostiene Zagrebelsky.
Ma quale conto ci verrà presentato dopo cotanta sfacciata, fasulla, fittiziamente illimitata giovinezza?
Ecco ben servito il primo. Quando veniamo considerati meri consumatori, la nostra giovinezza si allunga, mentre quando siamo identificati come produttori, essa si accorcia irrimediabilmente.
Se infatti, come oggi troppo spesso capita, perdi il lavoro a quaranta o cinquant’anni è difficile che ne riesci a trovare un altro ma, quando è il momento di offrirti prodotti, ti trattano come un (aspirante) giovincello.
Si continua. La società odierna, improntata appunto sul consumo illimitato e infinito, non è più in grado di reggere questo ritmo. Non lo sono le tasche dei cittadini, ma più di tutto non lo è il nostro pianeta.
Secondo Zagrebelsky, per soddisfare manie di potenza e grandezza di oggi, non si è fatto caso alle necessità di domani. Ogni generazione si è comportata come se fosse l’ultima, trattando le risorse di cui disponeva come sue proprietà esclusive, di cui abusare. Le capacità di consumo e di distruzione delle risorse vitali del tempo presente, associate all’egoismo e alla cecità dei viventi, sono tali da minacciare la riproduzione della vita.
Ed ecco la più grande delle contraddizioni. Si sta cercando, attraverso i tentativi più disparati, di prolungare la nostra vita all’infinito, senza renderci conto che, così facendo, la stiamo distruggendo.
Ma allora, cosa si può fare? Nell’epilogo del testo si sostiene la necessità di individuare, nei nostri modi di vita, ciò che è mortifero e per questo metterlo a morte e da lì, liberare le energie del rinnovamento. Per vivere è allora necessario morire?
Secondo l’autore è proprio questa la legge della vita: per riprenderla, per rigenerarsi, occorre mettervi fine.
La domanda che resta è: siamo ancora in tempo?
Marta Belotti, freelance collaboratrice del periodico online Nuova Società
Pubblicato venerdì 19 Febbraio 2016
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