Rumore sordo dei motori degli aerei, fischi delle bombe, rovine, gente disperata in cerca di qualcosa da mangiare, ponti distrutti in una città impaurita e tremante. È la Firenze dell’agosto 1944, ancora controllata dai nazisti in ritirata e presa di mira dall’aviazione americana, che nelle operazioni belliche tese a stringere la morsa finale, non è andata troppo per il sottile nel colpire gli obiettivi. Come in tutte le guerre, il prezzo pagato dalle città e dai civili è stato pesantissimo. Ed è proprio in questo teatro di morte, ma anche di trepidante attesa della Liberazione che si muove un ragazzo appena dodicenne: Giulio, il figlio di un medico antifascista. Il giovanissimo da tempo non ha sue notizie: il papà e lo zio si erano uniti ai partigiani, che proprio in quei giorni dalla montagna stavano arrivando in città.
La storia di Giulio è un romanzo, ma è anche una storia vera, quella del padre dell’autore Paolo Fallai, giornalista, scrittore e commediografo.
“Un inverno lungo un anno” (edizioni Solferino, 2023, pp 144, € 14,50) è un romanzo agile, scritto con leggerezza e soprattutto raccontato da un punto di vista particolare, quello di Giulio, che neppure adolescente per dare un contributo alla lotta contro i fascisti e i nazisti – e soprattutto per ritrovare suo padre – ha scelto di diventare un postino clandestino.
Con la sua bicicletta, spinto da un amico di famiglia, Italo, meccanico antifascista, gira per la Firenze bombardata per recapitare i messaggi ai partigiani con le indicazioni in codice di Radio Londra. Come Pin nel “Sentiero dei Nidi di Ragno” di Italo Calvino, anche Giulio è dovuto diventare grande in pochi giorni per sopravvivere al terrore. La vita che si mescola alla grande Storia.
Tutto era cominciato undici mesi prima il giorno del suo compleanno, il 25 settembre 1943, pochi giorni dopo l’Armistizio. Insieme alla famiglia Giulio deve correre nel rifugio antiaereo per l’allarme scattato in mattinata. Non appena la sirena dà il segnale del cessato pericolo “mi sono avvicinato a mio padre e con lui siamo tornati a casa. Il mio palazzo, affacciato sulla ferrovia, è stato uno dei primi a essere colpito. Dalle finestre esplose dei palazzi vicini si potevano vedere pezzi di stanze, divani, sedie penzoloni, perfino quadri alle pareti ancora in piedi, come in una di quelle case delle bambole che le mie sorelle avrebbero tanto voluto. Ma in mezzo ce n’era una che non aveva più niente da far vedere. La mia casa non c’era più”.
La storia, la piccola storia del “Piccolo”, nome in codice scelto dai partigiani per Giulio, si intreccia alla storia grande della Resistenza attraverso le azioni di un ragazzo diventato improvvisamente il capofamiglia dopo la fuga del padre medico, accusato dai fascisti di essere un collaboratore dei “banditi” partigiani. Giulio deve badare alla mamma e alle due sorelline, inventandosi scambi con i contadini per ottenere qualcosa da mangiare, ma anche fare qualcosa di più, essere utile alla lotta contro i fascisti e i nazisti rischiando la vita per portare i messaggi che devono essere tradotti dal codice criptato: “Il mare è salato, …le rane sono nello stagno, la pioggia cadrà in autunno”. Per Giulio, che deve impararle a memoria per poi ripeterle, si tratta di frasi senza senso, quasi degli scioglilingua. Per chi invece li riceve quei messaggi in codice sono indicazioni precise e preziose da utilizzare nelle azioni di guerra partigiana.
Intorno a Giulio si muovono gli adulti, figure romanzate, ma anche ritratti del tempo, tra la ruvidezza dei modi degli antifascisti e la spietatezza e disumanità dei piccoli gerarchi locali e delle tante camicie nere sempre a caccia del comunista. Per Giulio quelle azioni sono in fondo quasi un gioco, ma a differenza del Pin di Calvino il tono favolistico lascia presto il posto a un racconto accorato, alla paura di perdere il padre e di morire colpito magari da qualche cecchino tedesco appostato negli appartamenti alte nelle case ancora in piedi. Gli occhi e il racconto di Giulio sono quelli di un bambino, ma i pensieri sono quelli di un uomo coraggioso che non si tira indietro al momento della scelta.
Un ragazzo che dopo tante avventure e dopo tante azioni rischiose tra le bombe e i cecchini, non ha altro desiderio se non quello di tornare a casa, in una casa che non c’è più, per riabbracciare i suoi cari. “Li trovai tutti davanti alla porta. Con mamma che teneva in collo Iole e Lina che se ne stava appiccicata alla sottana della zia. Dietro di loro saltò fuori mio padre, con la barba lunga, mentre mio zio trascinava una gamba ferita, reggendosi su una stampella. Non dicemmo una parola. C’eravamo tutti e mi sembrava un miracolo. Solo mio padre, sollevandomi da terra, cominciò a gridare: “È finito l’inverno Giulio. È finito l’inverno”.
Pubblicato sabato 15 Aprile 2023
Stampato il 25/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/la-resistenza-e-la-liberazione-di-firenze-con-gli-occhi-di-un-bambino/