Sono stati scritti numerosi e interessanti libri, realizzati film e spettacoli teatrali per ricordare la drammatica vicenda della famiglia Cervi, che culminò con l’uccisione dei sette fratelli per mano dei fascisti il 28 dicembre 1943. Avvenimento tragico e luttuoso, diventato uno degli esempi più emblematici della Resistenza italiana ed europea. Partendo da questi presupposti, l’autrice Laura Artioli, che lavora nell’ambito socio-educativo e nella ricerca storico-antropologica, ha voluto, con il volume dal titolo “Con gli occhi di una bambina, Maria Cervi, memoria pubblica della famiglia”, ripercorrere il cammino di Maria. Una ragazza, prima, e donna, poi, che “prendeva per mano la famiglia”, superava numerosi problemi e riusciva a inserirsi nel mondo del lavoro e nella vita civile e politica.
Scrive Walter Veltroni nella prefazione: è “il racconto di come Maria riuscì ad essere più forte della tragedia vissuta e del dolore provato ad appena nove anni e a diventare la donna eccezionale che è diventata. Una donna che ha amato il suo Paese e gli ha donato tutte le energie di cui disponeva. Fino all’ultimo giorno, letteralmente. Perché quel che accadde allora non dovesse accadere mai più”.
Il volume ha un concreto valore pedagogico e offre al lettore profondi spunti di riflessione sulla vicenda umana e politica della passione antifascista insita nel dna della famiglia Cervi. Scrive l’autrice: “Ho cercato le briciole del quotidiano di questa grande famiglia contadina nei documenti parrocchiali, all’anagrafe, nei registri scolastici, fra le carte degli ospedali, per ritrovare le tracce dell’individualità e dei legami dei loro tempi di vita, del loro confermarsi alla tradizione, dell’adesione o meno ai modelli correnti”.
Artioli, attraverso questo volume, “quasi prendendoci per mano” ci accompagna nella vita dei contadini dei Campi Rossi, l’amena località della “bassa” emiliana fra Parma e Reggio residenza della famiglia Cervi, facendoci scoprire il podere, la cura degli animali, la vita dei campi. Stralci di vita che Maria apprezzava e desiderava, diventando una costante nei suoi ricordi. La passione antifascista di tutta la famiglia Cervi aveva come caposaldo Alcide, che aveva trasmesso a tutto il nucleo familiare gli ideali di democrazia. Come confermano le testimonianze riportate nel libro, le donne della famiglia Cervi, a cominciare dalla moglie di Alcide, Genoeffa Cocconi, hanno ricoperto un ruolo importante affiancandosi ai componenti maschili nella conduzione della famiglia e nella gestione delle attività lavorative: sicuramente una situazione “anomala” per i tempi.
Intanto Maria sentiva l’esigenza di crearsi una cultura scolastica, che le permettesse di essere autonoma e autosufficiente. Pertanto, iniziava il suo percorso scolastico che si interrompeva (per motivi di salute) al secondo anno di ragioneria. Questo particolare, ovvero l’abbandono scolastico, diventava il cruccio perenne per la giovane Maria. Significativa e importante l’adesione antifascista della famiglia Cervi durante la dittatura mussoliniana.
Saranno Aldo e Gelindo a essere più attivi e fattivi nell’impegno politico (si avvicineranno anche agli ideali comunisti) attraverso la redazione dei volantini antifascisti, distribuiti capillarmente nelle campagne circostanti. Infatti, nel corso degli anni, il podere dei Cervi diviene anche un luogo di ricovero e un nascondiglio per gli antifascisti perseguitati dal regime mussoliniano.
Dopo l’eccidio dei fratelli Cervi, rimangono in vita cinque donne e undici bambini. Una situazione drammatica, risolta dal grandioso patriarca Alcide con il quale collaboravano attivamente le nuore, capaci di creare insieme un tessuto familiare coeso e basato sulla solidarietà.
Maria Cervi, figlia di Antenore (il secondo dei fratelli trucidati) aveva solo nove anni quando un manipolo fascista arrestò i sette fratelli in quel cruciale 23 novembre 1943, che si concluse drammaticamente con la fucilazione. La notte dell’arresto dei fratelli Cervi è una notte di terrore. Racconta Maria: “(…) ma i fascisti avevano già dato fuoco ai fienili e le fiamme salivano alte. Le mucche, terrorizzate, muggivano nelle stalle, il nostro cane abbaiava, era un pandemonio senza fine.(..)”. E prosegue: “(..) era chiaro che mio padre e gli zii non avevano scampo”.
La vita di Maria è sempre stata condizionata psicologicamente dall’eccidio del padre e degli zii, come attestano numerosi ricoveri ospedalieri, che hanno inciso pesantemente sulla sua esistenza e sul ruolo di donna e di madre. Maria Cervi, scomparsa nel 2007, è stata la depositaria della memoria storica dell’antifascismo italiano, come testimoniano i tanti interventi, parole e insegnamenti che ha lasciato a tutti noi. Diventerà, con gli anni, una valente dirigente del Pci e dell’Anpi e conseguendo importanti riconoscimenti sociali e politici.
Scrive nella postfazione lo storico Luciano Casali, docente dell’università di Bologna e componente del comitato scientifico dell’Istituto Cervi: “Accanto a tutto ciò ci sono le giornate di Festa, a cominciare dalle manifestazioni per il 25 aprile e dalla riproposizione, il 25 luglio di ogni anno, della Pastasciutta antifascista, quella che nel 1943 fu offerta a tutti i vicini e concittadini della famiglia Cervi, dopo che Mussolini era stato costretto a dimettersi da capo del governo”.
In attesa di conoscere come Casa Cervi proporrà l’edizione 2021 della ormai popolarissima Pastasciutta, proposta nel giorno della caduta del regime mussoliniano in decine e decine di località italiane, e poi le iniziative che scandiranno il calendario antifascista fino al 28 dicembre, 78° della fucilazione di Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore, l’invito è a leggere il volume pubblicato con la collaborazione dell’Istituto Cervi, l’Auser e la Spi-Cgil.
Maurizio Orrù, componente esecutivo Anppia nazionale
Pubblicato domenica 23 Maggio 2021
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