“L’Antifascismo al lavoro” è il titolo del libro di Cesare Panizza su Luciano Guerzoni. Una pubblicazione voluta dall’Anpi e dalla famiglia, edita da Joker, per tracciarne il profilo biografico, per ricordare un dirigente politico lungimirante, una persona esemplare. Questo titolo mi ha fatto tornare alla mente le parole di Guerzoni quando s’insediò nella sede nazionale dell’Anpi: “avrei potuto frequentare la sede nazionale leggendo quotidianamente i giornali, teorizzando il da farsi e cercando di costruire intese, ma bisognava rifare l’Anpi perciò decisi di mettermi al lavoro”. Non ha mai smesso di farlo. Il “mettersi al lavoro” di Guerzoni riguardava alcune cose, ma in particolare una questione: la guerra di Liberazione fu un grande fatto di unità nazionale, che assottigliò le distanze tra il nord e il sud. Tanti furono i partigiani meridionali che combatterono non solo nei propri territori ma andarono poi al centro-nord, per “amor di patria”, abbracciando la causa più grande della Resistenza. Bisognava liberare tutto il Paese dal nazifascismo e porre le basi della democrazia. Eppure la Resistenza è ricordata come un fatto prevalente, se non esclusivo, del centro-nord. Ecco, il mettersi al lavoro di Guerzoni fu innanzitutto rilanciare l’Anpi nel Mezzogiorno, avviando di fatto la nuova stagione decisa nel 2006 al 14° Congresso di Chianciano Terme, così tracciando la liaison tra partigiani di ieri e quelli di oggi, ovvero gli antifascisti. Guerzoni proveniva sì da una specchiata vita nelle istituzioni (locali e nazionali), ma soprattutto dalla cultura del Partito comunista italiano, quello emiliano: va da sé che l’idea di lavoro fosse insita in lui. Mai titolo di libro fu più azzeccato. Lavorava Guerzoni e lavorando scriveva e parlava, in una parola comunicava, incessantemente; quello era il suo metodo. Sapeva soprattutto ascoltare, condizione essenziale per nobilitare scrittura, parole e lavoro. Difficilmente le sue frasi erano fuori posto. Ascoltava soprattutto i più bisognosi di dire qualcosa, quelli che gli altri non ascoltavano, perciò per dirla con le parole della Presidente Carla Nespolo “aveva pensieri lunghi”. E poi Guerzoni non parlava solo di politica, era grande ad esempio la sua passione per il cinema, era un piacere ascoltarlo, un vero arricchimento culturale. La banalità non gli apparteneva.
Una volta mi disse una frase di Gianni Agnelli, che lo aveva colpito (e colpì anche me), che lasciava presagire una visone del mondo un po’ diversa dalla sua e certo dalla mia: “Torino ricorda le antiche città di guarnigione, i doveri stanno prima dei diritti, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascismo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto”. Era il suo modo di farmi capire che dopo aver ascoltato tutti, bisognava anche dialogare con tutti, anche con chi la pensa in maniera diversa. Così si affermano le proprie idee, dimostrando di non avere paura del confronto perché sicuri delle scelte fatte. Questo si evince chiaramente dal libro. Che lezione a chi fa del settarismo la sua ragion di vita!
E poi Guerzoni credeva nei giovani, sapeva che le logiche della cosiddetta “memoria attiva” passavano non soltanto per la conoscenza e il ricordo, per l’attitudine alla mera conservazione della memoria, dando magari un rilievo statico a ciò che è stato, ma ponendo le esperienze del passato al servizio dei giovani e delle nuove esigenze valoriali che in essi si rinnovano. Dal libro si evince che è riuscito anche in questo. Sapeva che i giovani andavano formati, come lui era stato formato dal partito. A sua volta cercò di farlo. Con Armando Cossutta pose le basi per la vera rinascita dell’Anpi (portata poi avanti insieme a Carlo Smuraglia), partendo proprio dalla prospettiva dei giovani. Diversamente l’associazione sarebbe finita per ragioni naturali, con la scomparsa degli ultimi partigiani e nessuno di noi si troverebbe forse qui oggi. Rispettava il passato ma sapeva guardare avanti.
Guerzoni prima di tutto è stato una personalità della politica con la P maiuscola, cui si avvicinò da giovanissimo. Dirigente capace e dedito, uomo delle istituzioni. Eppure quando l’ho conosciuto era da un po’ che non aveva più tessera di partito. E non perché avesse abbracciato la causa dell’Anpi, astenendosi quindi dall’appartenenza ai partiti: questo l’Anpi non lo ha mai chiesto, perché la sua autonomia si salvaguarda nella libertà delle scelte, quindi attraverso la fedeltà ai valori costituzionali, non dichiarando una formale astensione dall’appartenenza partitica. Non aveva più una tessera di partito perché, se è vero che credeva nel pluralismo e nella diversità, incarnando lo spirito più autentico del CLN, intendendo l’Anpi come casa di tutti gli antifascisti, è pur vero che le idee sul proprio senso di appartenenza le aveva altrettanto chiare e non riusciva proprio a farsi piacere talune mediazioni che sapevano di arretramento sul fronte valoriale. Guerzoni scelse di “lavorare” per l’A, sì per ragioni ideali ma anche perché era stanco della politica urlata, la politica degli slogan e del mordi e fuggi, la politica dell’apparenza e della platealità, non quella del lavoro, non quella del coraggio di osare e di rischiare per ciò in cui si crede. Dal 1992 al 2006 è stato Senatore della Repubblica dopo numerosi incarichi (anche di grande rilievo) in ambito locale. Nella XIV legislatura fu primo firmatario di un disegno di legge sulle norme in materia di attribuzione della cittadinanza italiana che aveva l’obiettivo d’introdurre oltre allo ius sanguinis anche il principio dello ius soli. Ma l’incarico di cui andava più fiero era quello di componente (e poi Vicepresidente nazionale dal 2003 al 2006) della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazi-fascisti nel cosiddetto Armadio della vergogna.
In quell’ambito incontrò il Senatore Luigi Marino, che poi ritrovò al suo fianco nel Comitato nazionale dell’Anpi, quando Luciano divenne Vicepresidente vicario e quando il Governo italiano, quello tedesco e l’Anpi realizzarono l’Atlante delle stragi. Così lavorava Guerzoni. Nell’Anpi faceva politica con la p maiuscola: per il diritto al lavoro dei giovani e per il loro futuro; contro il razzismo; contro il dilagare della violenza e delle discriminazioni; per la pace e contro la guerra; per la Costituzione, lascito della Resistenza, contro ogni tentativo di alterarne la sua natura originaria, battendosi per la sua piena applicazione; per l’Europa dei popoli e l’integrazione. Il libro racconta bene come fosse uomo di parte. Guerzoni è stato partigiano al di là dell’anagrafe. Il suo fronte era quello dei diritti e del rispetto della persona umana. Intendeva la politica come opera di servizio, non come opportunità per l’affermazione di se stesso.
L’ho conosciuto in occasione della pubblicazione “Dicono dell’Anpi”, un libretto edito nel 2009 in cui diverse personalità avviavano una riflessione sull’associazione. Dopo qualche giorno dall’invio del mio contributo ricevetti la sua telefonata – lo conoscevo solo di nome – e dopo qualche altro giorno ero con lui a cercare interlocutori perché in ogni provincia del sud Italia, quindi in ogni provincia italiana vi fosse l’Anpi. Ci siamo riusciti. Sapeva che la capacità d’affermazione dell’associazione passava per il suo radicamento e il consolidamento del ruolo. La forza di Guerzoni era che tutto passava per essere una missione e perciò serviva fare quadrato e perciò bisognava crederci, essere comunità (ciò si evince bene dai vari contributi inseriti nel libro di Panizza). Il senso di appartenenza di ognuno, di fedeltà al proprio credo politico era al servizio di un punto d’incontro più alto, rappresentato dall’Anpi in nome dei valori costituzionali, dell’antifascismo. Guerzoni era un comunista italiano, era uomo di unità e incontro, la rottura poteva avvenire solo in nome dei grandi valori, non sui diversi punti di vista quando si stava dalla stessa parte, la parte antifascista.
Guerzoni è stato un fine organizzatore, L’Anpi doveva crescere, non bastavano 100.000 iscritti, bisognava moltiplicarli, aveva il senso dell’ampiezza della battaglia; sapeva che il fronte democratico e antifascista aveva perso terreno e doveva riconquistarselo per il bene di tutto il Paese, per questo ci mise al lavoro. Si poneva normalmente degli obiettivi da raggiungere e il loro perseguimento non doveva restare un fatto teorico. L’Anpi andava sì intesa come coscienza critica del Paese, ma non per proclamare un’affermazione pur logica e giusta, bensì per farsi parte diligente.
Guerzoni era leale, sobrio ma deciso. Onesto intellettualmente, nel libro c’è un passaggio molto significativo, quando all’indomani della scomparsa dell’amico Umberto Carpi gli scrive un pensiero, glielo doveva perché nel solco dell’incontro tra il primo e il secondo Risorgimento c’era il suo credo, c’era la funzione dell’Anpi, c’era “l’antifascismo visto come luce nuova quale nuovo orizzonte per la civiltà umana”, unico pentimento è di non averlo detto in tempo all’amico di sempre. In fondo, poi contava poco, bastava agire perché quel pensiero diventasse “missione”. Lo fece. Guerzoni dunque è stato uomo di grande pragmatismo ma anche di sentimento, di umanità. Perché amava il suo lavoro, ci metteva passione, amava e rispettava i suoi collaboratori, valorizzava le ragazze che lavoravano nella sede nazionale e le difendeva, le sosteneva e le capiva; un dono non era per opportunità ma per riconoscimento, come lo era una parola d’affetto. E quando aveva qualcosa da dirti non ci girava intorno; era per l’osservanza delle regole, i modi gentili servivano per raggiungere dulcis in fundo il fine ultimo della persuasione, ovvero del convincimento. Una lezione per tutti. Altrimenti possiamo anche fare a meno di parlare di Guerzoni e a niente sarebbe servito questo libro, che è un valido tributo che gli rivolgiamo, seppure mai pareggerà tutto quello che Guerzoni ha dato all’Anpi ed alle sue persone. A Cesare Panizza va un merito su tutti: l’avere parlato di Guerzoni nello stile di Guerzoni, ragionato, non urlato, sobrio ma deciso. E ci consegna un’immagine di lui che il tempo non ha sfiorito. Ancora oggi, andando a fare riunioni e iniziative in giro per l’Italia, in particolare al sud (per quanto mi riguarda) si sente il senso della missione che Guerzoni ci ha inculcato e che c’impone la consapevolezza che ancora non è del tutto compiuta. Noi oggi abbiamo il dovere di compierla.
Vincenzo Calò, responsabile area Sud e componente del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato mercoledì 22 Luglio 2020
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