L’accattivante volume di Marina Montesano Andare per i luoghi della stregoneria (Il Mulino, pp. 157, € 14) ci guida sulle tracce di tanti tragici eventi che, più o meno indelebilmente, più o meno concretamente, hanno lasciato un segno sul territorio italiano. In particolare, sempre muovendo da un’attenta selezione di documenti e di fonti antiche, l’autrice verifica ciò che della stregoneria ha sedimentato oggi nell’immaginario collettivo, laddove la storia si intreccia, fino a esserne fagocitata, col folklore e coi depositi più fantasiosi dell’arte, della letteratura e del cinema.
Se infatti alcune tappe di questo itinerario nostrano toccano località in cui davvero si sono celebrati processi o sono state eseguite sentenze, in altre, semplicemente, “si sono invece sviluppati sogni. Se il volo delle streghe al sabba, da tanti creduto vero, è stato solo frutto della fantasia, un po’ lo è anche il nostro viaggio sulle tracce della stregoneria in Italia”; un viaggio che in fondo travalica i limiti cronologici comunemente assegnati al fenomeno, per svolgerne i sentieri dagli abissi dell’antica Roma fino alle soglie della contemporaneità.
Si parte allora dall’Esquilino, laddove in un angolo dei Giardini di Piazza Vittorio sopravvivono i resti della cosiddetta “Porta Alchemica”, un tempo parte della villa del marchese Massimiliano Savelli Palombara e punto di incontro degli alchimisti romani del Seicento. Fu assunto come luogo d’accesso ai segreti esoterici, poiché teatro, sin da tempi remoti, di antiche scene di stregoneria, celebri quelle evocate da Orazio, che proprio qui situava i mortiferi sacrifici delle Strigi, rivolti a Ecate, signora degli Inferi, durante i quali si sacrificavano fanciulli. Una sorta di canovaccio, dunque, che verrà indefinitamente ripetuto tra Medioevo ed Età moderna da quanti indicheranno tra i presunti delitti delle streghe quello dell’infanticidio.
Di lì, le pagine del libro tracciano una macabra geografia delle cacce inquisitoriali indicando sulla carta d’Italia decine di città o di piccoli borghi in cui la furia superstiziosa del maschio medievale e poi moderno si è scatenata contro quelle donne che, perché guaritrici od ostetriche, armeggiavano con medicinali e unguenti o, a volte, praticavano l’aborto. Donne accusate di incantare ed evocare demoni; di preparare intrugli disgustosi “con lo stomaco di un cappone riempito di nasi, orecchie e membrane stomacali di feti”; di rubare agli uomini il membro per poi conservarlo, vivo e beccante, in improbabili nidi d’uccello.
In questo senso ripercorrere i luoghi della stregoneria significa anche e soprattutto mettersi sulle tracce della tradizione folklorica e rileggere le parole di predicatori e inquisitori come un riuscitissimo progetto di repressione della cultura popolare; o forse meglio, una pianificazione del controllo e dell’annientamento della diversità muliebre che, prima ancora delle persone, intende ostracizzare certi saperi di origine rurale e certi elementi di natura precristiana, rivestendoli di connotazioni diaboliche.
Celebri predicatori e autorità ecclesiastiche come Bernardino da Siena o Carlo Borromeo, e altrettanto affermati cacciatori di streghe quali Bernardo Gui o Heinrich Kramer e Jacob Sprenger (autori del tristemente noto Malleus maleficarum) ebbero facile gioco nel sovrapporre l’immagine della medichessa a quella della strega notturna che monta animali per il volo, pratica incantamenti, sugge il sangue dai neonati e ne utilizza il corpo per produrre polveri e unguenti magici. Accuse tutte che non potevano che terminare con la pena del rogo le cui pire – possiamo immaginare – punteggiavano nella notte i paesi che via via Marina Montesano elenca, dal Piemonte alla Campania, dal Veneto alla Toscana, dalla Sardegna all’Umbria.
Più romanticamente affascinanti appaiono invece quelle località che la tradizione vuole accompagnate da una fama sinistra, e che oggi il marketing stregonico non esita a sfruttare per il turismo: esse non furono necessariamente teatro di processi ed esecuzioni, ma devono la loro fama allo stratificarsi di credenze e di racconti attorno a un elemento naturale o artificiale del paesaggio; le Domus de Janas sarde, la Piazzetta delle Sette Fate di Palermo, il Monte di Prato Fiorito tra le Alpi Apuane; o ancora i Monti Sibillini col piccolo Lago di Pilato, che accolse il cadavere del funzionario romano, e la cosiddetta Grotta della Sibilla, una sorta di antro fatato nel quale si entra per perdere la nozione del tempo.
E come non citare le vie tortuose di Triora, la Salem d’Italia, e il celebre “noce di Benevento”, paradigmatica meta degli abboccamenti tra streghe e diavoli; per non parlare della Fonte dell’Abbondanza di Massa Marittima il cui restauro, pochi anni orsono, ha riportato alla luce l’iconico affresco con l’albero della fecondità: i suoi rami carichi di falli sollecitano alcune donne, forse streghe, ad accapigliarsi per il loro possesso!
Donne dunque che evirano gli uomini (un simbolico rovesciamento dei ruoli?), donne che si mascherano, donne che si trasformano in animali notturni per penetrare nelle camere da letto e spostare i bambini da un luogo all’altro. Masche, vetule, bruxas, bonae res e signore dell’abbondanza; levatrici, guaritrici, donne outsider, a volte emarginate, spesso solitarie e liminali, i cui sogni, alterati dai martìri delle torture, si voltano in incubi toschi e sanguigni.
Il loro spirito forse aleggia ancora nell’aria, ed è questo a far così affascinanti certi luoghi; in definitiva, quello di Marina Montesano, più che un itinerario concreto, con tappe e mete precise, si mostra come un cammino sulle vie dell’immaginario, un percorso tra i meandri del folklore, un modo per palpare atmosfere intrise di magia e per distillare dalle tenebre del passato un modo nuovo di guardare le luci della notte.
Giacomo Verri, scrittore e insegnante
Pubblicato lunedì 23 Dicembre 2024
Stampato il 23/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/la-memoria-di-pietra-delle-streghe-viaggio-in-italia/