“Una proposta minima, ma niente affatto minimale”. Così Michele Ainis definisce il suo pamphlet dedicato a trattare il delicato e mai risolto problema delle eguaglianze/diseguaglianze presenti nel nostro Paese.
Lo fa partendo da una rapida carrellata iniziale su tante “piccole ingiustizie”, da quella commessa da due ispettori del lavoro che porta al suicidio il panettiere di un piccolo paese, a quella di una pattuglia di carabinieri che porta al suicidio un ragazzo di ventidue anni.
Un’applicazione rigorosa di regole da parte di ultrarigidi funzionari? Solo in parte, per lo più la causa sta nelle regole che non tengono conto delle specificità delle situazioni (lo spinello è la stessa cosa dell’eroina) o che discriminano le diversità sociali (come quella delle coppie di fatto) e quelle personali (come l’omosessualità) o che sanciscono l’ineguaglianza fiscale, vero oltraggio alla Costituzione che all’art. 53 recita “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ma ci sono anche diseguaglianze di fatto, non regolamentate ma puntualmente applicate, come quella in base alla quale un top manager ha una retribuzione pari a 500 volte il salario di un operaio.
E c’è una diseguaglianza ancora più grande a livello globale: nel mondo 85 super ricchi posseggono un patrimonio pari ai redditi di 3,5 miliardi di persone. Una vera e propria “macrodiseguaglianza”!
Volendole riassumere per categorie, troviamo la diseguaglianza sessuale, quella anagrafica, quella razziale, quella territoriale, quella religiosa e quella politica. Per ciascuna di esse andrebbe trovato il modo per lenirle, ma chi si interessa oggi in Italia di questo problema? Nessuno più, dice Ainis, perché ormai l’eguaglianza è orfana anche del padre storico – la sinistra – che in Italia quando è stata al governo negli ultimi venti anni non ha dato cenni di vita su materie egualitarie: dalla libertà religiosa alla patrimoniale, dal reddito di cittadinanza alla tassazione delle rendite finanziarie, per fare solo alcuni esempi. Al contrario ha lasciato vivere tranquillamente privilegi di ogni tipo: ai farmacisti, ai notai, alle assicurazioni, ai medici extra moenia, agli ordini professionali, alla chiesa cattolica, alle banche.
E allora come alleviare questo insopportabile fardello di diseguaglianze?
La risposta di Ainis è che bisogna porsi l’obiettivo di realizzare una “eguaglianza molecolare”, ossia un’eguaglianza che non riguardi i singoli individui ma le categorie, i gruppi e i blocchi sociali. Ovviamente anche in questo caso resta aperta la questione di fondo – che cos’è l’eguaglianza? – per la quale Ainis indica tre criteri di valutazione. Primo: l’eguaglianza non è identità (che vale soltanto di una cosa con se stessa), quindi ciò che bisogna perseguire è la somiglianza o “diversità minima”. Secondo: la ragionevolezza, che richiede che la valutazione dell’eguaglianza avvenga caso per caso ed è, quindi, terreno tipico dei pronunciamenti della Consulta sul rispetto dell’art. 3 del dettato costituzionale che vieta ogni “distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Terzo: la proporzionalità, che è il criterio tramite cui va ricercata l’eguaglianza, come fissato in modo esemplare dalla sentenza 50/1980 della Corte Costituzionale: “l’uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, proporzione della pena rispetto alle personali responsabilità”.
Applicando questi criteri ai gruppi deboli e alle minoranze svantaggiate – che sono i naturali destinatari della ricerca di eguaglianza – si può tentare di realizzare all’interno della nostra società la proposta “minima ma non minimale” di una “eguaglianza molecolare”.
Alessandro Bianchi, professore ordinario di urbanistica, Rettore dell’Università Telematica Pegaso,
già Ministro dei Trasporti durante il secondo governo Prodi
Pubblicato venerdì 16 Ottobre 2015
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