È davvero un racconto giocoso questo di Chiara Frugoni attorno al “letto medievale”, ridente lascito di una delle più grandi storiche italiane – e non solo – della cosiddetta “epoca buia”: quel Medioevo su cui la studiosa, in più di cinquant’anni di carriera, ha adagiato invece la splendida luce della propria curiosità intellettuale per restituirci ritratti sempre inediti di un mondo assai più vicino a noi di quanto abitualmente non si creda. Celebri le pagine dedicate a San Francesco in numerosi lavori che coprono almeno tre decenni, cuore di una vastissima produzione che sempre ha posto alla base del metodo di ricerca le fonti iconografiche.
In questa prospettiva, tra i risultati più curiosi e intriganti occorre ricordare almeno la monografia del 2001, “Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali”, l’assidua frequentazione degli affreschi giotteschi di Assisi (e non solo), culminati nella clamorosa scoperta, dieci anni più tardi, di un inedito profilo di demone, il cui volto dal naso adunco si dilegua tra le nubi come se annusasse – prigioniero del vapore e quasi impossibilitato a muoversi – l’ascesa celeste dell’anima del santo, e quest’ultimo grazioso studio su uno degli arredi apparentemente più banali della nostra vita quotidiana.
Ancora una volta – purtroppo l’ultima – padrone della pagina è l’occhio della studiosa che osserva attentamente le formicolanti immagini di quel paratesto – un autentico mondo dentro il mondo – che furono le luminose miniature adornanti i manoscritti medievali.
Come in molti libri della Frugoni, anche in “A letto nel medioevo. Come e con chi” l’apparato iconografico occupa quasi lo stesso spazio del testo scritto, poiché è fondamentale per il lettore poter verificare ciò che la parola descrive e racconta.
Ecco allora le prime immagini che ci introducono nelle camere da letto medievali; seducente l’impressione emersa con grande evidenza agli occhi della studiosa relativa al fatto che gli uomini del Medioevo, quando sono alle prese con cuscini, materassi e coltri, sembrano conoscere una sola stagione: l’inverno.
Allora, “patire il freddo doveva essere una sensazione profondamente interiorizzata”, scrive Frugoni (e teniamo anche conto che l’ultimo secolo del Medioevo coincise con l’inizio della cosiddetta ‘piccola glaciazione’, durata fino alla metà del XIX secolo); eppure, salvo indossare una cuffia in testa, “tutti i dormivano nudi – ed è un particolare che non ci aspetteremmo –, anche i moribondi o gli ammalati, per liberarsi il più possibile dall’importuna compagnia di pulci e altri insetti”.
I letti erano circondati da cortine, i cuscini erano davvero numerosi – ci si coricava, tra l’altro, semiseduti – e la stanza, oltre al mobile che le dà il nome, era sempre fornita di un ampio camino, di una cassapanca per riporre gli indumenti (ancora non esistevano gli armadi) e, a volte, da altri arredi, come credenze con piatti e bicchieri, stuoie e tavolini. Certo, perché approfittando del caldo, d’inverno in camera da letto si cucinava e si pranzava pure; nelle case dei poveri come in quelle dei ricchi. E non solo; “mentre noi abbandoniamo di giorno il luogo dove dormiamo al silenzio e alla solitudine, nel Medioevo la camera da letto era animata da varie attività. La stanza infatti si adattava rapidamente ai desideri e ai bisogni di chi ci viveva”: luogo, insomma, per leggere, per conversare, per organizzare incontri di vario tipo.
Differente è invece la tipologia di letto a seconda delle condizioni economiche del proprietario: costituito da poche frasche tenute assieme da paletti per chi di soldi non ne ha; di solido legno contornato da sontuose cortine e collocato sopra una pedana se chi ci dorme è un uomo facoltoso. Non rara è poi la presenza di un secondo lettino, più basso e munito di ruote, che veniva fatto scivolare sotto il letto con cortine “per un’occasione imprevista o per ospitare un valletto”.
Il letto, in ogni caso, “è veramente un indicatore sociale” (in Italia, nello specifico, è tipico per i benestanti quello con mensola e testiera ricurva come una sorta di piccolo baldacchino) anche e soprattutto per il fatto che questo mobile è l’unico davvero confortevole di una casa medievale. Quantomeno per il ricco signore.
I poveri, come i servi, spesso disponevano invece di un unico letto, così come i malati degli ospedali, “con le conseguenze che possiamo immaginare quanto al propagarsi di malattie”; e dormivano in gruppo, in uno stesso giaciglio, anche i viandanti che alloggiavano nelle locande lungo la strada.
Intriganti sono nel saggio di Frugoni gli ultimi capitoli, quelli intitolati Letti ad accoglienza variabile, La Chiesa fra le lenzuola e Festa dei sensi; si tratta di pagine che concorrono – se ancora ce ne fosse bisogno – a dimostrare quanto il Medioevo non fosse affatto oppresso da pruriti morali che al contrario oggi sembrano molto più presenti di allora.
Nonostante la Chiesa, specialmente dopo l’XI secolo, quando ai preti fu vietato il matrimonio, facesse di tutto per colpevolizzare l’atto adulterino (o quello, come si diceva allora, contro natura) ma anche l’accoppiamento legittimo, bandendo tra l’altro dalle prediche rivolte ai laici “l’affetto, la tenerezza o l’amore fra i coniugi” (palesando così una sorta di sordida invidia della vita sessuale altrui), il mondo del Medioevo appare molto più variegato e aperto a una sessualità vivace e gaudente rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare.
Lo testimoniano le numerose miniature che Chiara Frugoni ha sapientemente collazionato a fianco delle godibili e variegate citazioni dei testi a cui ha attinto; tra esse figurano ovviamente i grandi classici della novellistica medievale (spesso provenienti da manoscritti francesi), primo fra tutti il Decameron di Boccaccio, ma anche il Trecentonovelle di Franco Sacchetti, e poi ancora i romans francesi appartenenti al ciclo della Table ronde, come Le livre de Lancelot du Lac, la poesia cavalleresca e dell’amor cortese, e pure la trattatistica e, ovviamente, i testi religiosi; senza dimenticare, infine (spostandoci nel mondo dell’‘arte figurativa’), i vari cicli di affreschi di soggetto sia sacro che profano e popolare.
Ne viene fuori il ritratto di un’epoca che per certi versi anticipa quella nostra (con striscianti – ma non troppo – odierne sopravvivenze) e per altri appare tanto remota quanto bizzarra. A titolo d’esempio, ascriviamo a quest’ultima categoria la percezione che il Medioevo aveva del sonnambulismo: esso infatti “veniva preso molto sul serio, tanto che all’inizio del XIV secolo assunse uno status giuridico. Secondo il canone Si furiosus, se un sonnambulo mutilava un uomo o lo uccideva non era responsabile sul piano penale, esattamente come un pazzo furioso o un bambino”.
Al contrario, tra le più fastidiose ipocrisie che segnano una continuità tra il passato e il presente non si possono ignorare le ingerenze di una Chiesa che, a ogni costo, voleva (e vuole) mettere il naso tra le lenzuola della gente; non solo stabilendo cosa è amore secondo natura e cosa non lo è, ma pure sancendo i confini morali dell’accoppiamento: infatti un uomo, pur non avendo commesso un atto contro natura o una infedeltà, risulta ugualmente colpevole d’adulterio qualora abbia provato piacere, dal momento che l’unico pensiero dovrebbe essere rivolto al fine della procreazione.
Che dire? Il mondo di allora come quello di oggi finiva per guardare con una certa ironia a una Chiesa “attentissima alle modalità di un atto che ai suoi membri era precluso (almeno in linea teorica)”.
Giacomo Verri, scrittore
Pubblicato sabato 26 Novembre 2022
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