L’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco è un documento di straordinaria importanza, non tanto per la natura dei temi che pone sul tappeto – che la cultura scientifica ha in gran parte elaborato già a partire dalla metà del secolo scorso – quanto per l’autorevolezza e la capacità di coinvolgimento della fonte da cui proviene.
Il tema di fondo è costituito dal rapporto uomo-ambiente ovvero, per meglio cogliere la dimensione di riferimento del testo, tra l’intera umanità e l’intero pianeta, come si dice in maniera esplicita fin dal sottotitolo: “Enciclica sulla cura della casa comune”. Dunque l’umanità ha una casa comune di cui tutti devono prendersi cura ed è per questo che Papa Francesco dice in apertura: “In questa Enciclica mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune”.
Le riflessioni sono articolate in ben 246 punti e farne una sintesi è fuori della portata di una breve recensione. Tuttavia è possibile enuclearne alcune dai tre capitoli – il primo, il quarto e il quinto – che trattano temi non di natura religiosa, evidenziandone gli aspetti salienti.
Capitolo Primo. Quello che sta accadendo alla nostra casa comune
Dice l’Enciclica che stanno accadendo fenomeni di deterioramento dell’ambiente di portata globale e stanno accadendo con una velocità tale che il limite di non ritorno si avvicina pericolosamente: i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale; l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, a causa del quale “la terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia” (n.21); la questione dell’acqua, drammatica in Africa “dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua potabile sicura” (n.27) e su cui nei Paesi occidentali incombe la minaccia della privatizzazione, che vuol dire trasformare un bene comune “in merce soggetta alle leggi del mercato” (n. 30); la perdita della biodiversità; il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, particolarmente acuti in molte grandi città diventate “invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento generato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico” (n.44).
Un’attenzione particolare viene dedicata al tema della “inequità planetaria”, mettendo in evidenza un aspetto non ancora penetrato a sufficienza nella coscienza collettiva, ovvero che la questione ambientale è un tutt’uno con la questione sociale: “oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre più un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (n.50).
Infine la “diversità di opinioni”, presente all’interno della questione ambientale fin dal suo insorgere, tra chi ritiene che le soluzioni vanno ricercate sul terreno di nuove tecnologie e chi sostiene che i problemi sono di tale portata da richiedere la definizione di una nuova etica nel rapporto uomo-ambiente. Su questo punto dice l’Enciclica “la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione”(n.61).
Capitolo Quarto. Un’ecologia integrale
Qui la premessa è che “oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani” (n.141) e, quindi, occorre costruire una ecologia ambientale, economica e sociale tra loro strettamente legate.
E un’attenzione particolare va prestata alla “ecologia culturale”, perché anche il patrimonio storico, artistico e culturale appare fortemente a rischio, così come lo sono gli ambienti urbani sempre più degradati, e la soluzione non sta nel “creare nuove città ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere”, ma nell’integrare “la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale” (n.143). Una salutare lezione per architetti e urbanisti, ai quali ricorda anche che “non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco” (n.150). Per questo “è necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro sentirci a casa all’interno della città che ci contiene e ci unisce (n.151).
Capitolo Quinto. Alcune linee di orientamento e di azione
Muovendo dal presupposto che a partire dalla metà del Novecento è maturata a livello mondiale una coscienza ambientale e che molte iniziative (dalla Conferenza di Rio del 1992 a Rio+20 nel 2012) sono state intraprese per contrastare i più allarmanti problemi di deterioramento dell’ambiente, l’Enciclica indica linee di comportamento e azioni a tutti i livelli: il “dialogo sull’ambiente nella politica internazionale” (n.164), evocando la presenza di una “Autorità politica mondiale” (n.175); il “dialogo verso nuove politiche nazionali e locali” (n.176), suggerendo “forme di cooperazione e organizzazione comunitaria che difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione” (n.180); il “dialogo e trasparenza nei processi decisionali” (n.182) con un forte richiamo all’importanza degli studi preventivi d’impatto ambientale; la “politica ed economia in dialogo per la pienezza umana”, con una affermazione perentoria: “la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia” (n.189).
Nel paragrafo finale “Le religioni nel dialogo con le scienze”, l’Enciclica vira bruscamente su un appello ai credenti – poi ripreso e argomentato nel Capitolo Sesto “Educazione e spiritualità religiosa” – affermando che “occorrerà fare appello ai credenti affinché siano coerenti con la propria fede e non la contraddicano con le loro azioni, bisognerà insistere perché si aprano nuovamente alla grazia di Dio e attingano in profondità dalle proprie convinzioni sull’amore, sulla giustizia e sulla pace” (n.200).
Come è evidente, dall’appello restano esclusi coloro che, con pieno diritto, non credono in un Dio e pensano che la Terra, come l’intero Universo, sia l’esito di processi evolutivi che avvengono senza bisogno di un Creatore. Per tutti questi l’Enciclica mantiene inalterata la forza del messaggio, ma l’appello alla cura del bene comune potrà trovare risposta solo nella dimensione etica pertinente alla cultura laica, quella del “principio di responsabilità”.
Alessandro Bianchi, professore ordinario di urbanistica, Rettore dell’Università Telematica Pegaso,
già Ministro dei Trasporti durante il secondo governo Prodi
Pubblicato venerdì 11 Settembre 2015
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