Che bel racconto quello del libro Una svedese in guerra di Massimo Recchioni. Sì, perché non è solo la narrazione dell’Agnese va a morire, film coraggioso di Giuliano Montaldo del 1976, ma è il cimento in una dimensione sentimentale, che si interroga sul ruolo dell’arte e del cinema in particolare, rispetto ai fatti concreti della storia, quella d’Italia in special modo, e della sua pagina più enigmatica e straordinaria: quella della Resistenza, che accomuna valori e passioni.
C’è il coraggio di chi vuole raccontare una verità troppo a lungo sottaciuta, quella delle donne come protagoniste indiscusse della Resistenza, di Agnese in particolare che le rappresenta tutte ma sa che da sola non avrebbe potuto nulla, come è l’essenza della Resistenza. Allora parliamo di solidarietà, tra uomini e donne, tra diversi per appartenenza ideologica, culturale e di ceto sociale, ma guidati dallo stesso obiettivo comune, quello di garantirsi e garantire diritti e libertà, cosa possibile solo liberandosi dalla dittatura e dall’oppressione.
E ancora il coraggio di chi agisce oltre ogni forma di censura che affliggeva i cineasti del tempo e contro cui Montaldo scelse di schierarsi, anche perché supportato dalla forza delle idee e dall’incoraggiamento delle popolazioni locali che avevano ancora sulla pelle i segni della lotta di Liberazione e che, pur di elevare quei valori a una dimensione universale, erano disposti a tutto. Disposti a dare ospitalità, a contribuire ognuno come poteva, a sostenere in ogni modo la causa, purché si compisse la missione, quella missione: parlare al grande pubblico, per la prima volta, di una donna della Resistenza e valorizzare la figura epica della staffetta partigiana.
E riecco la solidarietà come valore assoluto, perché solo così la missione è sì compiuta. E che dire poi del valore del rispetto, per Renata Viganò, che aveva scritto il libro da cui prende spunto il film e meritava la gloria che poi le è stata riconosciuta, perché a sua volta aveva compiuto un atto di coraggio raccontando quella storia vera, sia pure dal finale drammatico, tanto che affermò: “Ho scritto L’Agnese va a morire come fosse un romanzo, ma in realtà non ho dovuto inventare proprio nulla…”. E dirà Montaldo: “quando arrivammo per la prima volta ad Alfonsine – località in provincia di Ravenna, scenario della vicenda – scoprimmo che la parola Agnese era una sorta di lasciapassare, perché il libro di Renata Viganò era, senza esagerare, un vero e proprio mito”. Permettetemi dunque di raccontare del coraggio del regista, che per il ruolo di protagonista va a scomodare un’attrice svedese, Ingrid Thulin, affermando al riguardo: “se non doveva essere una romagnola, tanto valeva che non fosse italiana”. E la Thulin fu perfettamente Agnese, in quella Romagna che la incoraggiava e sosteneva, perché “una di loro”.
Parlando di quel tempo e di quel contesto, del senso della scelta e dell’appartenenza a un sistema di valori, emerge poi quello dell’amicizia. L’amicizia per cui se la compagna di banco ebrea, per effetto delle leggi razziali, non può più frequentare la scuola, scelgo di battermi per lei, l’amicizia per cui se ti catturano perché renitente alla leva, cerco di salvarti essendo anch’io renitente alla leva, l’amicizia per cui se ti ammazzano sono io a prendermi cura dei tuoi cari, onorando la tua memoria. L’amicizia per cui comunque non ti lascio solo! E ancora l’amicizia per cui raccontare e far prevalere la verità senza correre il rischio di apparire come concorrenti o “rivali”, perché la materia trattata è troppo delicata e c’è spazio per tutti, come quell’amicizia tra Giuliano Montaldo, Gillo Pontecorvo, Carlo Lizzani, Franco Solinas, Ennio Morricone, Ettore Scola, Mario Monicelli e tanti altri che, piuttosto che artefare la realtà, vollero raccontarla senza infingimenti, con tutti i rischi che ne derivavano, generando l’epoca gloriosa del neorealismo, ma forse… tutto questo è altra cosa, è “solo” l’amore per la causa!
E l’amicizia è anche quella di attori e attrici che credono così tanto in un progetto; per dirla ancora con Montaldo: “Raramente mi è capitato di trovare un pugno di uomini e donne così affiatati ed entusiasti, in grado di cementare un rapporto amichevole, meraviglioso, sinergico, senza mai il minimo litigio in settimane e settimane di lavorazione, e nonostante alcuni dei più giovani fossero lì di fatto soltanto con una sorta di rimborso. Era infatti per tutti prevalente, a partire da me, la voglia di dire… c’ero anch’io”. Oltre alla Thulin, nel cast (fra gli altri) c’erano: Stefano Satta Flores, Dina Sassoli, Massimo Girotti, Johnny Dorelli, Sergio Serafini, Ninetto Davoli, Gabriella Giorgelli, Antonio Piovanelli, William Berger, Gino Santercole, Aurore Clément, Flavio Bucci, Rosalino Cellamare (al secolo Ron), Alfredo Pea, Aldo Reggiani, Bruno Zanin, Mario Bardella, Laura Lenzi, Eleonora Giorgi, Manfred Freyberger, Peter Boom, Agla Marsili, Paolo Viola, Roger Worrod, Otello Prati, Piergiovanni Anchisi.
E l’amicizia è anche quella che si instaura tra lo stesso Montaldo, la sua meravigliosa compagna e storica collaboratrice Vera Pescarolo e Massimo Recchioni (che traspare in ogni pagina del libro), dovendo condividere tutte quelle emozioni che rendono possibile un lavoro del genere e che alla fine raggiunge un traguardo invidiabile, abbattendo le differenze generazionali, le epoche, gli ambiti specifici, perché accomuna tutti in quel sistema di valori che vede primeggiare la sostanza delle cose e le priorità, una su tutte: l’appartenenza ai valori democratici e antifascisti, quindi ai principi di uguaglianza, libertà e partecipazione.
Va infine detto che a un certo punto della lettura il libro ci induce a un rallentamento, perché alimenta incroci di ricordi, passioni comuni, approfondimenti interiori, sino a scomodare la propria coscienza, in particolare quando ci costringe a riflettere su cosa penserebbe l’Agnese, cosa penserebbero gli eroi di quel tempo, i combattenti per la libertà e le persone comuni, i grandi maestri del cinema – quelli del neorealismo –, Viganò e Thulin vedendo il mondo di oggi. Se la risposta è difficile o forse preferiamo sfuggire alla domanda, la lettura c’impone di pensarci. Lo faremo!
Tutto questo si respira nel libro Una svedese in guerra – La storia dell’Agnese va a morire di Massimo Recchioni, punto d’incontro ideale tra lavoro di ricerca, quindi documentale, e narrazione, la cui prefazione non a caso è del regista del film a cui il libro si richiama, quel Giuliano Montaldo che ancora oggi non è mai stanco di diffondere il sacro verbo dei valori umani: il coraggio, la solidarietà, l’amicizia, il rispetto, l’amore e anche la perseveranza. Per non rassegnarsi, non stancarsi mai di divulgare la verità anche quando sembra che tutto sia ostile. Il nostro compito, come è stato per Recchioni, è di non lasciarlo solo, e non smettere mai di dire grazie alla generazione protagonista di una pagina della storia d’Italia che ci ha reso diversi, che ci ha fatto migliori!
Vincenzo Calò, componente della Segreteria nazionale Anpi, responsabile area Sud
Il libro di Massimo Recchioni, “Una svedese in guerra – La storia dell’Agnese va a morire”, prefazione di Giuliano Montaldo, Edizioni Solfanelli, può essere acquistato online cliccando questo link
Pubblicato sabato 18 Settembre 2021
Stampato il 27/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/il-coraggio-di-fare-un-film-sulle-donne-della-resistenza/