(Casa Museo Matteotti, rinnovata e riaperta per il centenario, pagina Fb)

Giacomo Matteotti più ricordo che memoria, più icona e “santino laico” che base fondativa della coscienza civile repubblicana e democratica collettiva. Matteotti mito, eroe, martire e “idea” disancorato dalle sue azioni e dal suo pensiero nei complessi scenari della storia. Tra le pubblicazioni, tutte meritorie, uscite quest’anno in occasione del centenario della morte del deputato socialista assassinato da Mussolini e dal regime fascista il 10 giugno 1924, quella dello storico Enzo Fimiani spicca per coraggio e originalità. Si intitola “Un’idea di Matteotti. Un secolo dopo” (Marietti1820, 2024, pp 272) e fende con garbo ma lucidità la spessa stratificazione quel “ginepraio memoriale”, di eredità, e retorica, che ha rivestito l’uomo Matteotti e la vicenda del suo delitto lungo l’arco di un secolo.

Giacomo Matteotti in Aula a Montecitorio

L’obiettivo è uno e non ammette paure o pregiudizi: mettere a fuoco l’influenza, il peso e forse anche le occasioni perdute che la sua figura storica, nel concreto, ha avuto sulle tre grandi “faglie” del nostro Novecento: fascismo e antifascismo, la violenza e le masse, la nascita della coscienza democratica repubblicana. È capire lo strano destino di un uomo diventato subito un’icona, testimone e perno delle contraddizioni, dei cortocircuiti e delle inquietudini politiche tra le due guerre.

Matteotti “eroe e martire”

Intanto Matteotti non è la “poesia che se ne farà, ma è tutta “prosa”: è un uomo il cui metodo, in tutto, è procedere per prove e dati. È asciutto, coerente, concreto, preparato, sobrio, poco incline alle sottigliezze dell’oratoria che invece caratterizzavano il suo tempo e il suo avversario: Mussolini, il campione della mitografia del balcone, che lo odia. È un socialista intransigente, riformista, antimilitarista, grande promotore della democrazia rappresentativa e deputato attivissimo in aula, contestatore radicale della politica fascista di cui intuì per primo la pericolosa deriva dittatoriale. Un uomo ritenuto pericoloso a sua volta dal fascismo non perché ne criticava, col metodo dell’indagine documentata, tutte le malefatte, ma perché ne aveva svelato la natura intrinseca, e che sarà il motivo della sua morte: la violenza e la corruzione come prassi e l’entità meramente politico-affaristica.

La tomba di Matteotti a Fratta Polesine. il sarcofago in marmo nero fu donato tramite una sottoscrizione di lavoratori socialisti belgi

Non solo il suo delitto porterà il fascismo a impossessarsi definitivamente dello Stato, ma la sua memoria seguirà un “triplo binario”: Matteotti è una figura da svilire per il fascismo, un oppositore democratico e antifascista da idealizzare per tutti gli antifascisti, un’icona eroica atemporale da celebrare. È quest’ultima memoria a essere insidiosa: la retorica dell’eroe. Non solo fu spesso incompreso e osteggiato anche dalla sua famiglia politica, e la sua coerenza, la sua “normalità” non lo resero certo un feticcio, in vita. Ma la patina eroica, l’uomo che si sacrifica per le sue idee, lo ha annacquato, banalizzandolo fino a trasformarlo in un “santino” senz’anima, adatto per tutte le stagioni, martire di una generica libertà e democrazia, peggio, martire della “Patria”. Quale non si sa. Quella di D’annunzio, o della Rsi, o di chi nel 2023 con lo stesso spirito ha decretato le celebrazioni del centenario. È il rifuggire la retorica, come invece scrisse Carlo Rosselli già nel decennale della sua morte, a dover essere invece una delle “preoccupazioni costanti e supreme” dell’antifascismo erede di Matteotti.

Bruxelles 1927, Casa del Popolo. Alcuni componenti dell’Internazionale Socialista inaugurano il monumento a Matteotti

Un uomo scomodo

Destrutturarne il mito, non significa delegittimare o depotenziare la figura di Matteotti, ma riconsegnarlo al suo contesto. Restituirlo alla complessità, e alla storia. La verità è che il politico di Fratta Polesine fu per tutti “scomodo”, argomenta Fimiani. Egli incarna “la cattiva coscienza del Novecento”. La sua eredità politica è sempre stata dura da gestire, durezza accompagnata dalla “colpa”: prima per non averlo sempre compreso in vita, poi per non aver sempre saputo onorarne i retaggi. Così fu scomodo per i fascisti perché li disvela e li addita e li accusa anche e soprattutto da morto. Ma fu scomodo per la sua famiglia politica socialista e le sue correnti, comunismo compreso, perché percepito come “irregolare”, fuori dalle logiche di corrente, sempre critico, troppo moderato o troppo radicale, poco avvezzo a percepire steccati, sempre intransigente.

Piero Gobetti e Antonio Gramsci

Perché rivela una delle falle del grande campo antifascista, compreso il mondo cattolico-popolare, liberale e quello repubblicano storico: aver sottostimato il pericolo, vedendolo davvero solo a dittatura avviata. Perché puntava, passando sopra a ideologie ortodosse, sempre e solo all’unitarietà del fronte antifascista, attraversando il bolscevismo e resistendo alle influenze “seduttive” dei fatti russi che infiammavano l’Europa a partire dal 1917. Anche la sua morte è scomoda, ed è un fatto da gestire, fin dalle prime ore della scoperta del cadavere. Lo fa Antonio Gramsci, in uno scritto uscito sulla rivista del Pci il 28 agosto 1924: Matteotti è una specie di “eroico perdente”, un “pellegrino del nulla”­, scrive ­, sottolineando l’inefficacia della sua azione politica, troppo idealista, forse anche troppo borghese e lontana dalla prospettiva rivoluzionaria.

“Il Nuovo Paese” di venerdì 13 giugno 1924. In prima pagina il quotidiano filofascista riporta un legame tra Matteotti e l’«affare Sinclair»

Per Piero Gobetti invece, che ne scrive su La Rivoluzione Liberale, Matteotti rappresenta soprattutto ciò che tutta la classe dirigente nemica del fascismo dovrebbe essere: concreta, pratica, lucida e intransigente. La cristallizzazione è iniziata, il martirologio patriottico ha già una lunga tradizione e ogni partito ha i suoi canoni per ogni martire che muore per un’idea.

“Normalizzare” Matteotti

La foto di Matteotti, a uso cartolina, dopo la fine del secondo conflitto mondiale è la più commercializzata e per interesse è al secondo posto dopo quella del cadavere di Benito Mussolini a Piazzale Loreto. Gli vengono dedicate canzoni, complessi abitativi, circoli, trofei sportivi, poi quasi 3.000 strade e piazze, scrive Fimiani, secondo una memoria che muta conformemente ai momenti che attraversa. Matteotti, che è stato vero simbolo unitario dell’antifascismo solo da morto, è un “perno memoriale” della coscienza civile repubblicana, è un “simbolo rivendicativo dell’Italia definibile di sinistra”, ed è anche uno “strappo lacerante” per quella parte di Paese che invece guarda al fascismo con occhio benevolo.

Eppure “sembra che tutto quanto gli appartenga, fatichi a diventare ‘memoria’ (…) Il suo universo tende piuttosto ad appartenere alla dimensione del “ricordo’”, in un’Italia in cui da sempre quest’ultimo è vivissimo e le politiche della memoria sono sempre difficili. Fin dal dopoguerra, il suo retaggio politico e ideale è stato appannaggio in chiave antagonista e rivendicativa del fronte antifascista e dopo la caduta del fascismo, il suo patrimonio sarebbe dovuto diventare memoria civile, pubblica, statuale.

(Da governo.it)

Il grande dubbio che solleva il saggio di Fimiani, è proprio che questo non sia avvenuto a pieno. Prova ne sarebbero per esempio certe lungaggini burocratiche o imbarazzi legati all’avvicinarsi del centenario del delitto, come i ritardi nella comunicazione pubblica delle iniziative previste, fondi pubblici congelati, delibere mancate, dimenticanze. Ma anche i più o meno recenti tentativi di cambiare le toponomastiche, la percezione di una celebrazione stanca e svuotata di senso.

1924 Fratta Polesine, i funerali di Giacomo Matteotti

E proprio “normalizzare” la vita e soprattutto il delitto di Matteotti, sotto il profilo storico e con tutti i suoi chiaroscuri, è ciò che lo strapperebbe dall’essere un santino vuoto, utilizzato anche da chi punta ad alleggerire le proprie responsabilità, perché gli “eroi giovani belli” valgono sempre. O a cambiare la natura della Repubblica. Serve a vedere il fascismo per quello che è: la violenza che gli è connaturata, dove compiere un delitto non è un’eccezione. Matteotti, fuori dal mito del sacrificio, dell’eroe e del martire, avvolto nell’emotività e nel ricordo, sarebbe davvero un tassello fondativo – pieno e concreto – della storia repubblicana, una “cartina tornasole della storia politica italiana” e della complessa vicenda storico-politica del nostro Novecento.

Sara Lucaroni, giornalista e autrice di libri tra cui, nel 2022 per le edizioni Librerie Pienogiorno del volume “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”, e nel 2024 per People di “La luce di Singal. Viaggio nel genocidio degli Yazidi”, è anche vincitrice di premi, quali nel 2023 il premio giornalistico nazionale “La matita rossa e blu”