Il Sessantotto è stato la richiesta, di studenti e operai, di cambiare e cambiarsi, sentirsi “legame” e fratellanza, elevare la politica a impegno morale per creare un mondo più giusto, libero, democratico, sfidando le spire della secolarizzazione e del potere. Ma come è andata davvero, la politica ha recepito quel messaggio, e quella contestazione si è solidificata? È stato davvero “rottura”, o almeno una vera presa di coscienza dagli effetti reali? Quanto era concreto quel sogno, o fu solo un’utopia credere in un mondo più “umano”?

California, Università di Berkeley, una famosa immagine della nascita del Free Speech Movement. Siamo nel 1964 (foto UC Berkeley Libraries)

Sulla copertina di “Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto” (Edizioni ETS, pp 184) curato dallo storico Giorgio Pagano — sindaco della Spezia dal 1997 al 2007, copresidente del Comitato Unitario della Resistenza e impegnato in progetti di cooperazione internazionale in Africa e in Palestina — c’è l’immagine del leader del Free Speech Movement, Mario Savio, mentre parla agli studenti.

30 novembre 1964: inizia l’occupazione di Sproul Hall, nel campus dell’Università di Berkeley. È possibile “migliorare la società”, spiega Savio in un breve discorso. Per gli storici, i filosofi e gli intellettuali che firmano i contributi raccolti nel libro, un filo lega quei “sentimenti” di riscatto, alla nostra attualità. Nel bene, nel male, nel fallimento.

Il ’68 è stato un vasto movimento di protesta sviluppatosi alla fine degli anni ’60, nato prima dell’anno da cui prese il nome. “Vietato vietare”, uno dei più popolari motti del Maggio francese

Un filo che non si è mai spezzato, scrive il curatore, perché “ci serve una reazione culturale umanistica all’avvento di un mondo tecnicizzato e disumanizzante”. Così, la migliore eredità di un ’68 ormai lontano, il sogno di una “migliore società”, è proprio la necessità di continuare ad alimentare quell’idea, laddove “il sistema” per molti aspetti è di gran lunga peggiore di quello di allora.

Nodi, snodi, spunti, riflessioni, analisi, onde lunghe sono ciò che Marcello Flores, Luisa Passerini, Chiara Dogliotti, Giovanni Gozzini, Alessandro Santagata, Alfonso Maurizio Iacono, Massimo Cappitti, Luca Basile, Marcello Montanari, Guido Viale, sono stati chiamati ad argomentare nel convegno che prende spunto da un precedente saggio di Pagano, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni ’60 alla Spezia e in provincia”. Convegno (i cui contributi sono contenuti in questo volume) dal titolo “Il prisma spezzino. Il Sessantotto dalla dimensione locale a quella globale”, tenutosi a La Spezia il 25 e 26 marzo 2022. In quell’occasione è stata compiuta una scelta preziosa: restituire alla città la memoria del suo ruolo nei movimenti socio-economici negli anni 60, ma soprattutto, la “microstoria” come punto di partenza privilegiato per dare profondità di lettura a fatti globali.

Per Marcello Flores, i movimenti che hanno caratterizzato il Sessantotto retrocedono verso la tradizione della rivoluzione: “Nessuno di questi gruppi e di queste tendenze ha però la capacità di individuare una modalità di rivoluzione di tipo nuovo”, scrive. Luisa Passerini analizza la cifra sessantottina della “rivoluzione culturale”, la volontà di cancellare la separazione tra politica, arte e vita quotidiana. Chiara Dogliotti affronta il tema violenza: “pacifismo e fascinazione per la violenza” convivono nel movimento di contestazione.

E di terrorismo scrive Giovanni Gozzini: non è solo un fenomeno molto complesso e da contestualizzare nei vari Paesi, ma “una propaggine estrema del ciclo della soggettività che il Sessantotto catalizza: l’idea che il singolo possa cambiare la storia, quasi anche da solo”, o in piccoli gruppi. E la conclusione è affidata a una domanda: perché sia la maggior parte dei giovani coinvolti sia la minoranza “mobilitata nei movimenti di massa e coinvolta nel culto ideologico della violenza, non ha seguito il terrorismo”?.

Sopra Don Lorenzo Milani, sotto una lavagna in una università occupata

Se Alessandro Santagata parla della contestazione dei cattolici, che non fu un aspetto o una nicchia di quella studentesca, Alfonso Maurizio Iacono indaga sulla ripresa de Il Capitale di Marx alla luce di un “neocapitalismo” italiano teorizzato dal sociologo Raniero Panzieri. Massimo Cappitti accosta il filosofo tedesco Günther Anders e il Sessantotto anche ironizzando su certe scelte del movimento pacifista. Luca Basile affronta invece il legame della Contestazione con la cultura comunista e il concetto di “democrazia di massa”.

Aldo Moro negli anni 60

Sul tema della sconfitta del movimento scrive invece Marcello Montanari: se la secolarizzazione si combatte, come sostenne Aldo Moro al Consiglio Nazionale DC del 21 novembre 1968, con la democrazia partecipativa, la cui espansione era immaginata proprio dai giovani, era esattamente questa ciò che spaventava le classi dominanti. Guido Vitale infine riflette sul perché il ’68 è stato dimenticato, ha trascurato l’ecologismo: “Ai binomi comandare e ubbidire, o oppressi e oppressori, tutti interni all’universo dei soli rapporti tra gli esseri umani sullo sfondo di una ‘natura’ inerte’, che non partecipa al conflitto, si dovranno sostituire binomi come dominare e subire, ovvero devastare e soggiacere”.

Nel saggio che apre la raccolta, Giorgio Pagano scrive che il ’68 dura in realtà meno di un anno: dal 1967 al maggio dell’anno successivo. Ma la sua vitalità, iniziata nel 1960, nasce dall’idea che prendessero la parola mondi fino ad allora rimasti in silenzio, in una “rivolta morale” antisistema, antiautoritaria, dove l’autorità è la nozione, la gerarchia, il lavoro “fordista”, la classe sociale, il potere, il comando, il denaro, la spersonalizzazione. Dall’altro lato c’era ad attendere la creatività, la dignità, la persona, l’autorealizzazione, l’autonomia, la fratellanza.

La generazione della Seconda guerra mondiale — sacrifici per il benessere e il consumo — è “contestata” da quella dei “giovani”, persone “nuove”. Un movimento, come scrisse Edgard Morin, “sopra e infra-politico totalmente libertario ma sempre con l’idea di fraternità onnipresente”, e “con aspirazioni profonde, quasi antropologiche”. Ma è l’incanalarsi errato di questa vitalità e una “scelta rivoluzionaria e anche violenta: il ritorno alla dottrina, alle vecchie nozioni e ai vecchi strumenti organizzativi” a decretare l’insuccesso del Sessantotto, sostiene Pagano.

Pier Paolo Pasolini davanti alla tomba di Gramsci. Cimitero degli Inglesi, Roma

Gli elementi del Sessantotto morale degli inizi si scontrano col Sessantotto ideologico e la sua deriva estremista: “Nel Sessantotto non ci fu solo uno scontro tra libertarismo e marxismo. Anche le due ricerche del marxismo — quella strutturalista e marxista-leninista e quella umanista — si scontrarono duramente. All’inizio al centro del pensiero c’era l’esistenza, poi l’esistenza fu bandita dal pensiero”. È mancato forse il pensiero di Gramsci: una forma etico politica umanistica ai processi di modernizzazione in corso nella società italiana con lui avrebbe potuto essere trovata, così come una via alla “rivolta morale”.

Le ipotesi e i dubbi che formula Giorgio Pagano sono numerosi di fronte a una sola certezza: in un mondo diventato più che mai tecnica e disumanizzazione, non dimenticare le spinte del Sessantotto dei primi anni 60, quello della reazione culturale umanistica. Allora c’era la fine del sogno americano, il Vietnam, la Primavera di Praga e la nebbia sul progetto sovietico. Oggi, Gaza e l’Ucraina, un rinverdito bellicismo, il vento del neo-autoritarismo e dei sovranismi, il neoliberismo che indebolisce le democrazie e il senso di appartenenza, la partecipazione. Pace, ambiente, lavoro, diritti, dignità della persona e giustizia sociale non sono esattamente nelle agende politiche. E se questo è vero, la vecchia potentissima idea dell’umano deve essere la molla di una nuova necessaria “contestazione”.

Sara Lucaroni, giornalista e autrice di libri tra cui, nel 2024, di “La luce di Singal. Viaggio nel genocidio degli Yazidi”, in precedenza “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”, “Il buio sotto la divisa. Morti misteriose tra i servitori dello Stato”; è inoltre vincitrice di premi, quali nel 2023 il premio giornalistico nazionale “La matita rossa e blu”