Più che un libro, uno scrigno da aprire con cura per scoprire tesori che vanno apprezzati uno alla volta, con pazienza e attenzione: Suoni ancestrali – Canti di protesta e della Resistenza, a cura di Antonio Masi e Giovanni Perani per i tipi della Volturnia Edizioni, non è un arrivo, ma un punto di partenza.
Intanto, è un libro che da uno… diventa tre, per le sezioni che lo compongono: “Suoni ancestrali”, “Canti di protesta” e “Canti della Resistenza”. Agile e accattivante, scende nella specificità delle tre tematiche scelte, un mare magnum di sollecitazioni culturali e notizie, che arrivano al lettore con immediatezza e spontaneità. Dalla fatica del lavoro dei campi alla religiosità (mista a devozione post arcadica) degli zampognari fino alle “belle e forti parole” dei canti di protesta di un mondo contadino, operaio e resistente che, spesso declinato al femminile – famosissimi ancora oggi i cori delle mondine del vercellese e del novarese – hanno attraversato secoli e decenni per arrivare fino a noi, intatti in tutta la loro passione.
Il libro nasce dalla profonda passione degli autori per le radici, la memoria e i suoni delle lotte del mondo del lavoro e della Resistenza: con un imponente corredo fotografico – immagini in bianco e nero di una bellezza struggente narrano di donne e uomini, periferie e risaie – alternato a riproduzioni di dipinti fortemente simbolici, raccoglie un gran numero di testi di canzoni trascritti con sapiente attenzione.
Questo volume assume particolare rilevanza grazie alla sua finalità etico-culturale: per volontà dell’Anpi di Milano “Martiri Niguardesi” la sua distribuzione è a offerta libera e tutto il ricavato sarà devoluto alla valorizzazione e alla manutenzione del Porticato della Loggia dei Mercanti, luogo simbolo della Resistenza milanese. Sono ben 1.739 i nomi dei martiri caduti per la libertà che qui vengono ricordati: incisi ognuno sulle lapidi, meritano attenta lettura e giusta meditazione. Ecco, quindi, che il progetto di riqualificazione del Loggiato al quale Cini Boeri, partigiana e famosa architetta, ha lavorato a lungo, ora viene portato a compimento dal nipote Antonio in memoria della nonna: due stele riportano frasi sulla Resistenza e dalle sedute in pietra grigia è possibile leggerle con calma; un’idea che coniuga il concetto del tempo a quello della memoria e permette nuova e giusta fruizione di uno spazio così amato e così unico.
“Il libro, rivolto soprattutto alle giovani generazioni, costituisce un importante contributo per il recupero della memoria e della storia del nostro Paese, troppo spesso rimossa e dimenticata. Ma se si rimuovono le tragedie del Novecento provocate dal nazifascismo, la storia potrebbe ripetersi”: scrive nella prefazione Roberto Cenati, presidente dell’Anpi provinciale di Milano, ricordando quanti diedero la vita per la nascita della nostra Repubblica, “il loro sacrificio ci obbliga ad un profondo esame di coscienza, (…) è un forte monito a contrastare il riemergere dei nazionalismi all’origine della Prima e della Seconda Guerra mondiale, il ripresentarsi di movimenti neofascisti e neonazisti, le chiusure egoistiche, la preoccupante deriva xenofoba, razzista e antisemita che attraversa il mondo intero e il nostro stesso Paese”.
Anche Carlo Ghezzi, vicepresidente nazionale vicario Anpi, evidenzia l’abilità degli autori di creare un legame tra passato e futuro, un “viaggio ideale che parte da lontano, ma che pur tuttavia ci permette di approdare saldamente all’oggi e di prepararci al meglio alla sfida che abbiamo di fronte per costruire il domani in un mondo carico di crescenti disuguaglianze” e ci ricorda, ragionando sul “lavoro impegnato e certosino” compiuto a quattro mani da Masi e Perani, che l’unico modo per raggiungere gli obiettivi comuni è quello di farlo insieme: “Insieme è una parola davvero importante – scrive alla fine di questa sua postfazione – è la parola d’ordine che dobbiamo quotidianamente saperci riproporre e riempire di contenuti positivi e di progresso. Il mondo può essere cambiato. Ma occorre organizzarci”.
È invece sul potere evocativo e collettivo del suono che Aldo Cervo si concentra in “Dalla nenie natalizie alle canzoni partigiane”, mettendo in evidenza “il ricordo di anni durissimi e, a un tempo, meravigliosi, quando irrevocabilmente disparve la millenaria civiltà agreste, scalzata dalle ‘magnifiche sorti e progressive’ che nel volgere di qualche secolo contaminarono, oltre che terra e acque e cielo, anche corpo, mente e animo delle persone, facendone strumenti senza pensiero e senza creatività a servizio della macchina, dell’intelligenza artificiale e di spietate leggi dell’economia”.
Come detto, si tratta di un’opera impegnativa e tripartita, ricca di immagini, testi, rimandi. La raccontiamo quindi così, seguendo il filo delle emozioni mentre la sfogliamo, leggiamo e un poco cantiamo.
Suoni ancestrali: zampogne tra leggenda e realtà
Evocate dalle parole di Antonio Masi, ritornano le zampogne, con la loro magia e il grande potere di riportare il lettore ai ricordi d’infanzia, al Natale in famiglia in attesa dei regali, miracolo di Gesù Bambino. Uno strumento musicale insolito, protagonista di tanta parte della vita dell’autore nella sua Venafro, nell’Alto Molise, che ha lasciato per emigrare al Nord, nella fredda e frenetica Milano. Libro nel libro, Suoni ancestrali racconta della comparsa delle cornamuse nella notte dei tempi, come testimoniato dal suonatore di doppio flauto affrescato nella tomba dei Leopardi a Tarquinia e risalente al V secolo a.C., L’excursus si snoda tra immagini di zampognari catturate nel corso di tutto il Novecento, descrizione del Ciz, Centro italiano della zampogna di Scapoli (in provincia di Isernia), foto d’epoca e testimonianze pittoriche che attestano la presenza costante di questo strumento nei momenti più significativi della nella vita della gente comune: la novena e il Natale, feste religiose, processioni, spettacoli nelle piazze, Carnevale. Non solo in Molise ma anche Sicilia, Abruzzo e Lombardia: tante le testimonianze di chi, come certamente molti tra i lettori, bene si ricorda di quel suono malinconico e lungo, tenero e pungente, solitario e struggente, che arrivava all’improvviso e annunciava il Natale.
Canti di Protesta
Le altre due sezioni portano la firma di entrambi gli autori e seguono lo stesso schema: tante e belle immagini e i testi delle canzoni a “cucire” le molte sezioni, le molteplici sollecitazioni dalla profonda validità storica. Saltano subito all’occhio le belle mondine di Riso amaro: il regista, Giuseppe De Santis le vuole giovani e avvenenti ma nelle risaie del 1949 di certo avevano tutte il fascino di Silvana Mangano: molte erano le madri, ma anche le nonne, che lavoravano duramente sotto il sole cocente, gambe nelle risaie allagate a nutrire sanguisughe e zanzare, per una paga misera.
Tra le canzoni qui evocate la più famosa è La lega nella quale gridano a gran voce “sebben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo” rivendicando la scelta di lottare compatte per la giusta paga e il giusto monte ore di lavoro, quelle famose 8 ore arrivate solo nel 1906, proprio grazie alle mondine di Vercelli.
Se il lavoro delle mondine è l’inferno, anche quello degli scariolanti, qui raccontato dal canto che ne scandisce le lotte del 1907, non è da meno: ingaggiati settimanalmente da padroni schiavisti e senza scrupoli, partivano alla mezzanotte di ogni domenica, ognuno portando la propria carriola, l’unico vero tesoro, per costruire argini e canali di irrigazione. Tutte le grandi opere idrauliche di inizio Novecento furono fatte da loro, a braccia nude, senza alcuna protezione sociale.
Alternando le descrizioni delle difficoltà del mondo del lavoro sia al Sud che al Nord, gli autori si soffermano sul dramma dell’emigrazione, sugli italiani che si sentono “cacciati dall’Italia” che non li tutela in alcun modo. Terribilmente d’attualità l’immagine del piroscafo, carico di migranti fino a straripare, che salpa da Genova verso New York. Partiti per non più tornare.
Dai canti di protesta risorgimentali che inneggiano all’unità d’Italia – chi non ricorda quel VIVA V.E.R.D.I. scandito alla Scala per Vittorio Emanuele Re D’Italia e La bella Gigogin che accompagna la spedizione dei Mille? – passando attraverso la questione femminile, la vita grama delle giovanissime nelle filande tra fame e violenze, la malaria nelle paludi pontine per arrivare alla violenza del pluridecorato generale Bava Beccaris che a Milano, il 7 maggio 1898, spara sulla folla inerme causando almeno 300 vittime e 800 feriti. Sfogliando questo libro, abbiamo davanti ai nostri occhi buona parte della storia d’Italia, con i suoi volti e soprattutto le sue voci.
Canti della Resistenza
“La Resistenza inizia nel 1919 contro i fasci di Combattimento”: questo amava ricordare Sandro Pertini, a ragione. Dai Canti di Lotta contro la fame e contro la guerra, la sopraffazione in fabbrica e nei campi e quelli per ottenere giusti diritti ai Canti della Resistenza il passo non è breve, è brevissimo. E non solo perché spesso le melodie erano quelle della Prima guerra mondiale o dei movimenti operai socialisti e comunisti riadattati alle nuove esigenze con testi e parole adeguati. Perché il canto è molto di più. Gli autori ci ricordano le parole di Cino Moscatelli, comandante partigiano in Valsesia e direttore del giornale La Stella Alpina, organo del comando unificato garibaldino del Sesia-Cusio-Ossola e Verbano, al convegno Anpi di Biella il 17 ottobre 1998: “il canto è strumento di propaganda e di organizzazione, di disciplina e di educazione collettiva. Per mezzo di rime e ritmi si orientavano politicamente i partigiani, si impartivano direttive di lotta, si faceva appello ai loro sentimenti più nobili”.
Ed è seguendo queste illuminate e veritiere parole che ci ritroviamo tra le mani le liriche di Primo Levi, in Per noi non c’è congedo, di Salvatore Quasimodo in Milano, agosto 1943, mentre non possiamo non cantare a squarciagola la struggente Siamo i ribelli della montagna, il canto della Terza Brigata Garibaldi Liguria e quello della Piemonte, la Seconda Garibaldi, con le parole di Silvio Ortona “Che importa se ci chiaman banditi? Ma il popolo conosce i suoi figli. Vedremo i fascisti finiti, conquisteremo la libertà”.
Dalla Badoglieide di Nuto Revelli e Dante Livio Bianco alla Dalle belle città di Emilio “Cini” Casalini, passando per testi di Guido Piovene, Giorgio Bassani e Alfonso Gatto, gli autori riescono anche ad accennare ad altre pagine fondanti della nostra storia partigiana: il primo governo di Unità nazionale, la Repubblica partigiana dell’Ossola, i grandi scioperi del 1944 e le terribili stragi.
Ma le lotte continuavano e i partigiani cantavano tutto il loro coraggio: “Dentro il nostro cuore era già domani, tutti i nostri canti ci rubava il vento. Spuntava in mezzo ai sassi di quei monti l’albero della nuova primavera, di fronte al cielo nero che avanzava. Era la nostra giovane bandiera che fiera sventolava, quella vera no, non la spezzava”: così in Quaranta giorni di libertà di Giorgio Bertero e Giovanni Guarneri sull’avventura della Repubblica dell’Ossola, prova generale della nuova Italia.
Parola dopo parola, nota dopo nota, pesanti come pietre, e come loro fondamentali per costruire la democrazia, ognuna di queste canzoni ha portato l’Italia fuori dalla guerra e dalla dittatura.
Elisabetta Dellavalle, giornalista, collabora con La Stampa
Pubblicato venerdì 22 Aprile 2022
Stampato il 25/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/dalla-lotta-di-liberazione-non-ce-congedo-lo-dice-la-musica/