“Non me lo ricordo quando decisi di diventare partigiana, lo divenni quasi in modo naturale, sbrigando sempre più compiti” racconta Lidia Menapace, “combattente senza portare armi” nel libro “Partigiane”, nell’edizione che People, dopo la versione per “grandi”, ha voluto dedicare alle bambine e ai bambini dai sei anni in su con la delicatezza dei testi di Stefano Catone, Serena D’Angelo e Amalia Perfetti.
Coraggiosa e antieroica, Lidia Brisca Menapace non portava armi per la fede pacifista che, insieme al femminismo, è stato il tema centrale della sua lotta. Prese il cognome del marito, non per sottostare alle regole di una società patriarcale contro cui si batteva, ma perché, diceva, “MenaPACE ha un significato evocativo”, un significato su cui improntò tutta la vita nei due secoli che ha attraversato. Nata a Novara nel 1924, se n’è andata nel 2020 insieme a migliaia di anziani decimati dal Covid. Come ricordava il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in quell’occasione, “è stata punto di riferimento per i giovani”.
Da giovanissima fu staffetta partigiana nella formazione della Val d’Ossola, mentre suo padre, Giacomo Brisca, fu deportato e internato in un lager nazista. Definiti IMI, Internati Militari Italiani, furono 650mila i soldati e gli ufficiali dell’esercito italiano che, dopo l’8 settembre, venivano ricattati quotidianamente perché aderissero alle forze dell’Asse: la maggior parte di loro rifiutò, rendendo sempre più dure le loro condizioni di prigionia. “Fu solo in una caldissima giornata di agosto che finì la mia guerra, quando papà Giacomo fece ritorno a casa – spiega la partigiana Menapace nel volume impreziosito dal candore delle splendide illustrazioni di Manuela Mapelli –. Era magro, irriconoscibile, ma non era arrabbiato, non portava con sé odio. La guerra è finita, dobbiamo non volerne più, ci disse”.
Sono storie di coraggio e libertà quelle racchiuse nelle pagine del testo, storie di undici donne che imbracciarono le armi, in montagna e in città, fecero le staffette, ciclostilarono volantini per diffondere le proprie idee di libertà, pace, uguaglianza per un’Italia e un’Europa diverse da quelle in cui erano cresciute: tra loro, Teresa Mattei, Renata Viganò, Nilde Iotti, Marisa Ombra, Miriam Mafai e Teresa Vergalli. Un punto diverso, troppo spesso trascurato nei libri di storia e nella nostra memoria: quello delle donne.
Così le Madri d’Europa narrano di quando portavano clandestinamente il Manifesto per un’Europa libera e unita fuori dall’isola di Ventotene, nell’arcipelago ponziano, dove si trovavano al confino i loro coniugi, per farlo battere a macchina sul continente e diffonderlo tra gli antifascisti: “Prima di salutarci, ci stringiamo in un abbraccio. I soldati ci osservano – riferisce Ada Rossi – non sanno, loro, che l’abbraccio è una scusa. Di nascosto, Ursula (Hirschmann) fa scivolare nella tasca del mio vestito alcuni bigliettini. Contengono parole vietate, cioè parole di pace”.
Un punto di vista importante se si pensa che per molto tempo la loro lotta venne definita contributo, sminuendo l’impegno femminile che invece incluse una doppia lotta: l’opposizione all’autoritarismo nazifascista e la conquista di nuovi spazi di libertà per superare gli schemi imposti da un regime che si nutriva di maschilismo e che le aveva relegate alla sfera domestica e familiare.
Benché, come dimostra la storiografia, esiste un forte divario tra il numero di donne che a vario titolo si opposero al nazifascismo e il numero di quante se ne videro poi riconosciuto il merito: 35mila donne partigiane combattenti; 20mila con funzioni di supporto; 4.563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 2.900 giustiziate o uccise in combattimento; 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti; 623 fucilate; 512 commissarie di guerra. Dopo il 1945, alle donne italiane saranno assegnate appena 19 Medaglie d’Oro al Valore Militare, di cui 15 alla Memoria.
Partigiane è dunque uno straordinario modo per conoscere la Resistenza femminile, le sue ragioni e la sua importanza, non solo come fatto storico, ma soprattutto come “memoria educante”, perché da questo movimento di donne, uomini e idee hanno preso forma quelle Istituzioni che garantiscono ancora oggi la convivenza dei cittadini e delle cittadine in libertà anche con la coesistenza di opinioni diverse, che le prossime generazioni sono chiamate a custodire. Anche in nome di queste Partigiane.
Mariangela Di Marco, giornalista
Pubblicato sabato 14 Settembre 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/crescere-con-le-donne-della-resistenza/