‘A chi insegna. Alla mia compagna di banco. Alla scuola tutta, che mi ha salvato’
L’ultimo romanzo di Raffaella Romagnolo ha un titolo accattivante e utopisticamente positivo, ‘Aggiustare l’universo’, ed è appena entrato nella dozzina del Premio Strega 2024.
Pubblicato da Mondadori nell’agosto 2023, è stato proposto al Premio da Lia Levi, scrittrice e giornalista superstite dell’Olocausto, che ha sottolineato nella sua motivazione come «(…) Pagine e pagine di eccellente letteratura scorrono per arrivare a districare il drammatico segreto che ha spezzato una famiglia negli anni della guerra e della persecuzione contro gli ebrei. E Raffaella Romagnolo è perfettamente riuscita in un lavoro di ricerca meticoloso e originale. Non è questo però l’unico merito del romanzo, quello che colpisce ancora di più è la suggestiva tecnica che l’autrice adotta per “raccontare”».
Dopo i fortunatissimi ‘Destino’ e ‘Di Luce propria’, l’autrice prosegue nel filone narrativo che più predilige, il ‘romanzo storico’, nel quale la precisione delle fonti interrogate e fedelmente riportate fa da scheletro a una moltitudine di luoghi, personaggi, suggestioni sia reali che verosimili.
Già candidata al Premio Strega 2016 con ‘La figlia sbagliata’ e finalista al Premio Strega Ragazzi e Ragazze 2020 con ‘Respira con me’, Raffaella Romagnolo è fresca del Campiello Natura, vinto nella sua prima edizione dello scorso anno con ‘Il Cedro del Libano’, Aboca editore, – quattro racconti che ruotano attorno alla maestosa potenza di un cedro secolare – Raffaella Romagnolo resta ancora fedele alla combinazione che più ama, l’incontro dell’Uomo nella Natura.
Una Natura in grado, con la sua silente saggezza, di mettere fine anche alle tragedie più incredibili che l’essere umano sia stato in grado di concepire, il Razzismo e la Guerra.
Ci sono, come nelle fiabe più belle, tanti personaggi e pochi eroi, anzi eroine: una bambina e una giovane maestra. E poi un timido gatto, un malridotto planetario e una piccola valigia rossa. Una città grande, Genova, una più piccina, Casale Monferrato, e un Borgo di Dentro, tutto vicoli e casupole, incastrato tra le montagne dell’ovadese, già luogo caro ai romanzi precedenti. Ci sono sogni, tanti, e desideri, tantissimi, ma anche tanta Guerra, la Seconda Guerra Mondiale, e tanta paura.
Ci sono il Male – l’ignoranza che genera e fortifica le dittature, l’antisemitismo che porta all’Olocausto, l’invidia che separa e sbrana le genti – e il Bene – l’affetto incondizionato, l’amicizia e l’amore famigliare, l’aiuto reciproco nel bisogno.
Felice congiuntura tra gioia e tristezza, ‘Aggiustare l’universo’ accompagna lettrici e lettori con la sua dolce maestria: un po’ tenendoli per mano, un po’ accarezzandoli, un po’ sostenendoli, un po’ scuotendoli e un po’, quando serve, spaventandoli.
I due filoni narrativi, tutti al femminile. O, per meglio dire, molto al femminile.
Abbiamo la storia della piccola Ester che, per nascondersi tra le suore del collegio ora si chiama Francesca e si trova sola e spaesata in mondi che non conosce, e quella della giovane maestra Gilla, che a fine guerra resta a Borgo di Dentro, dov’è sfollata con i genitori dopo i bombardamenti di Genova, e accetta di insegnare qui, nella scuola disastrata, alla classe quinta del primo anno scolastico ‘normale’ dopo la guerra e la Liberazione, il 1945-1946.
Sono due ‘Piccole storie’ di gente comune che si dipanano seguendo i drammatici fatti in cui la ‘Grande storia’ le coinvolge e travolge come un fiume in piena.
Ester e l’antisemitismo, le leggi razziali, la deportazione, la Shoah.
Gilla e la guerra, i bombardamenti sulle città e la Resistenza, con i suoi eroi e le sue stragi, fasciste e naziste, su partigiani e civili.
Ester
La tranquilla serenità del mondo bambino di Ester Sacerdoti, che vive a Casale Monferrato all’interno di una Comunità ebraica culturalmente ricca e coesa – ne è ancora oggi simbolo vivente la sua bellissima e preziosa Sinagoga custodita tra le case del centro storico – viene definitivamente distrutta dall’avvento delle Leggi razziali, che dapprima preoccupano tutti gli adulti della sua vita – mamma Rita e papà Abram, l’amatissimo nonno Giosuè, lo zio Raffaele – e poi li separa, a volte definitivamente. Nel leggere di questa famiglia travolta dall’orribile vergogna dell’antisemitismo si prova ancora un vero e profondo ‘spavento’ misto a disgusto, in primis come esseri umani e poi, soprattutto, come italiani.
È questo un romanzo che affonda le radici nell’attenta ricerca storica condotta dall’autrice nell’affrontare, come già nei lavori precedenti, ogni singolo momento: se ne respira la serietà ad ogni pagina, a ogni meditata citazione.
Per avvicinarci passo passo alla crudeltà con la quale il fascismo ha diffuso l’odio razziale nel Paese, l’autrice inserisce nella narrazione documenti originali dell’epoca, come queste due tavole a fumetti che, intitolate ‘Dopo le deliberazioni del Consiglio dei Ministri’ vengono pubblicate a pag. 24 e 25 del quindicinale ‘La difesa della razza’, anno II, numero II, del 20 novembre XVII (1938).
Le vergognose vignette vengono precedute dall’editoriale del suo direttore, Telesio Interlandi, dal pomposo titolo ‘Il sangue ricuperato’: “Alcune pagine di questo fascicolo sono dedicate alla razza italiana d’oltre i confini con il deliberato proposito di cominciare a stabilire i veri lineamenti dell’Italia, i quali non coincidono affatto con le frontiere politiche o con le delimitazioni geografiche”.
Tutto vero. Anche lo stereotipo dell’ebreo ricco e con il nasone. Da brividi, soprattutto perché è vero. Al di là di ogni immaginazione, la velocità con la quale il regime isola e attacca gli italiani di religione ebraica viene scandito inoltre dalla scelta dell’autrice di lasciar parlare la Legge e di inserirla a pieno titolo nella struttura narrativa.
Una dopo l’altra le ‘Disposizioni relative ai cittadini ebrei’, qui quelle emanate dal 12 gennaio 1940 al 22 ottobre 1941, ne limitano così fortemente la vita quotidiana, il lavoro, lo studio, persino il tempo libero che ancora oggi, soltanto a leggerle, ci manca l’aria. Di divieto in divieto — commercio e vendita, attività di spettacolo e brevetti, affittacamere e patenti di guida, arte fotografica e scuole da ballo persino il sequestro degli apparecchi radiofonici — la realtà si fa insostenibile e anche la famiglia di Ester, come molte altre, deve prendere velocemente delle decisioni. È il momento dei trasferimenti improvvisi, della fuga e, come per molti altri bambini, della separazione dai genitori per aver salva la vita.
Ester diventa Francesca e a lungo dovrà vivere da sola e nascondere la sua identità. Agli altri, ma non a se stessa.
Gilla
Intanto, nell’Italia martoriata dalla guerra, la nuova gioventù trova il coraggio per la ribellione. Ribellione al regime e alla fame, alla dittatura e alla guerra. Ribellione alle imposizioni e alle ingiustizie.
È una ‘ribellione resistente’ che scuote l’Italia intera e che, da Sud a Nord, da quel luglio 1943 dello sbarco in Sicilia e della deposizione, e arresto, del Duce, si diffonderà come un fiume in piena in tutta la Penisola.
È la Resistenza che dilaga, esplode, vince.
Anche quella di Gilla, ‘la maestra Gilla’, è una ribellione. Una ribellione delicata e profonda, che parte dalle piccole cose, accudire le sue alunne con l’amore di una sorella maggiore, osservarle e ascoltarle mentre, in quel primo anno scolastico del tempo della pace, possono nuovamente ridere e scherzare, giocare, imparare, guardare al futuro. Anche Gilla lo fa, con la sua tenace gentilezza. Lo fa scegliendo, lei che poteva tornarsene a Genova con i genitori, di star lì tra i monti, a lavorare nella piccola scuola affaticata, vivendo un giorno dopo l’altro tra il freddo e la solitudine, riscaldata da pochi, solidi, amori.
L’amore presente, quello per il suo lavoro e le sue bambine, e l’amore del passato, quello per Michele. “Michele non si chiama Michele, ma, dovendo nascondersi sotto un nome di battaglia, ha scartato quelle che considera pagliacciate da ragazzini, Tigre, Lupo, Lampo, e ha scelto il nome della persona che più ha amato: suo nonno. Anzi, ha deciso che, nel mondo nuovo che nel fango e al freddo si va costruendo, continuerà a chiamarsi Michele. Con tanti saluti al nome altisonante che mamma e papà hanno scelto per lui. Mamma e papà che mai vorrebbero vederlo dormire dove dorme (dove capita), mangiare quel che mangia (poco), e rischiare la pelle per cacciare i tedeschi e fare la rivoluzione”: ecco che la Resistenza entra a pieno titolo nella vita quotidiana di Gilla.
Lo fa drammaticamente, con il racconto della strage della Benedicta, la più grande strage di partigiani nella storia della lotta resistenziale, 147 giovani uomini —il più anziano ha 40 anni e il più giovane ne ha soli 16 e moltissimi sono ventenni — fucilati e poi sepolti nelle fosse comuni che si erano dovuti scavare in quella domenica di Pasqua del 1944, il 7 aprile. E poi lo fa trasformandone le abitudini e le giornate: pedala decisa, la maestra Gilla, per strade faticose e assolate, nascondendo nel canotto del sellino, i messaggi da portare ai partigiani sopravvissuti che, nascosti in piccoli gruppi, continuano a lottare. Staffetta coraggiosa, non avevamo dubbi.
Ma la Resistenza ha anche lo sguardo limpido e i modi gentili di Michele, un giovane studente di medicina che fa la sua rivoluzione accudendo i feriti, aiutando i compagni partigiani. Il loro è un amore impetuoso e limpidissimo, vissuto tra boschi e sentieri, posti di blocco e il grande noce dove si sono conosciuti, sotto una pioggia a diluvio.
Un amore che resterà per sempre nel cuore di Gilla e che, forse, la renderà più adulta e diversa.
Evocando a tratti il Calvino delle ‘Fiabe italiane’ e de ‘Il Barone rampante’ e l’amatissimo, anche dall’autrice, ‘Sistema periodico’ di Primo Levi, con ‘Aggiustare l’universo’ Raffaella Romagnolo ci regala un’opera che rilegge la nostra vita e la nostra Storia con la sapiente saggezza femminile, perché molto femminile è la cura con la quale prende in mano queste vite, che un po’ ha inventato e un po’ ci sembra di conoscere da sempre perché sono nell’aria che respiriamo, nelle case che abitiamo, nei vestiti che indossiamo. Ci sono qui la compagna di banco che tutti abbiamo avuto o sognato, la giovane maestra che ci insegna la strada, le castagne cotte sul putagè e le lenzuola fredde d’inverno. Ci sono i ricordi l’infanzia e i pensierini scritti con incerte calligrafie nei quaderni di scuola, l’amore per i gatti e la silenziosa tristezza delle case abbandonate, l’attenzione per le piccole cose e il profumo del pane appena sfornato in un caldo pomeriggio di inizio estate.
Salvezza, amicizia, educazione e speranza, ma anche tragedia e dolore, rimpianti e assenze, in un continuo alternarsi di infiniti dolori e piccole gioie. Un po’ come la vita, quella di tutti noi.
Elisabetta Dellavalle
Pubblicato venerdì 19 Aprile 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/costruire-su-macerie-la-maestra-e-la-bambina-una-favola-molto-vera/