Arte, Resistenza, tortura, guerra in Spagna e campi di concentramento. Questo e non solo fu Giandante X, pseudonimo di Dante Pescò. Non è un nome d’arte, è il sigillo di una scelta. “Il nome di battesimo è un’imposizione paterna, il cognome un’imposizione sociale. Cancella il secondo, inventa il primo. Giandante nasce forse per via grafica, trasformando con un tratto orizzontale la v di viandante in una spigolosa g. Contiene il suo nome, Dante, ma lo spinge oltre”, scrive Roberto Farina nell’appassionatissimo libro per Milieu Edizioni dedicato a uno dei più originali – e dimenticati – protagonisti delle avanguardie degli Anni Venti.
Indice di anonimato e libertà di fuga, quella X è per Giandante, insieme ai diritti, l’elemento che lo accomuna e lo rende precursore di Malcom. “Già ci vuole fegato per difendere i tuoi diritti, ma quanto coraggio ci vuole per andare in un Paese straniero a rischiare prigionia, amputazioni, morte per difendere i diritti altrui?” riflette Farina nel suo “metà romanzo metà saggio”.
Perché “Giandante combatté in Spagna, anche se lui usava il verbo compartecipare: diceva di avere compartecipato alla lotta dal primo all’ultimo giorno”, racconta in una delle pagine più belle del libro il partigiano e Medaglia d’Oro al Valor Militare Giovanni Pesce, amico e compagno di lotta, entrambi combattenti delle Brigate Internazionali nella Guerra civile spagnola, che sostenevano il regime democratico contro i fascisti del generale Francisco Franco.
Ed è ancora Pesce a raccontare dei primi Anni Venti, di quando, nel carcere di San Vittore di Milano, Giandante incontrò Luigi Longo – futuro dirigente e parlamentare comunista ma prima ancora ispiratore e organizzatore delle formazioni partigiane Garibaldi nonché comandante delle Brigate Internazionali antifasciste in Spagna – dove erano stati rinchiusi con l’accusa di cospirazione contro lo Stato.
Giandante farà parte degli Arditi del Popolo e quando il regime li scioglierà, diverrà l’agente milanese dei Gruppi Segreti di Azione di Guido Picelli. Nel 1923 è arrestato e torturato e in carcere si taglia i polsi per i ritardi del processo. Verrà rilasciato per assenza di prove, ma l’Ovra, la polizia politica, non smetterà mai di stargli alle calcagna.
Sarà infatti arrestato preventivamente ogni qualvolta ci sarà una manifestazione fascista nella sua città, Milano, dove era nato nel 1899, dove morirà nel 1984, e dove si affermerà come pittore e scultore in molte gallerie prestigiose, condividendo idee e ‘compartecipando a esposizioni di altri grandi artisti del tempo, quali Carlo Carrà, Aligi Sassu, Renato Birolli, Bruno Munari e Giacomo Manzù.
Il suo “anticonformismo integrale è la conseguenza del suo pensiero, della sua filosofia, del suo modo di vivere” – scrive l’intellettuale Gino Traversi in uno degli importanti contributi che il libro di Farina riporta – al punto che nel dopoguerra impedirà che i suoi lavori entrino nel giro delle gallerie e del mercato dell’arte perché lì, sosteneva, l’artista diventa forza lavoro sfruttata e la sua opera degradata a prodotto di consumo per una clientela di lusso.
Non si trattò d’épater le bourgeois, ovvero di meravigliare a buon mercato la gente con atteggiamenti anticonformistici per il gusto di stupire e scandalizzare, ma di coerenza dettata dalla parola d’ordine “Un quadro in ogni casa” che lo spingerà a regalare le sue opere ad amici e conoscenti e, quando la situazione economica degenererà, a cederle ai mercatini che li rivenderanno a prezzi di certo più popolari dei galleristi. Gran parte della sua produzione artistica sarà infatti conservata per decenni dagli amici e dai loro figli, finché, tornata in circolazione per sopraggiunta morte dei proprietari, sarà svenduta dalle case d’asta.
Giandante X è stato “per fascismo e monarchia un anarchico, per i comunisti un compagno, per i repubblicani spagnoli uno straniero indesiderato, per la Resistenza un partigiano”, scrive l’autore, ma soprattutto ha messo a disposizione la sua arte per la lotta, producendo migliaia di illustrazioni, manifesti e volantini per tutti i giornali di brigata che si stampavano a Barcellona nel corso della Guerra civile spagnola dall’Ufficio Propaganda e Stampa del Commissariato Brigate Internazionali.
“Quei suoi disegni, quei suoi manifesti erano convincenti al punto che molti reparti ne chiedevano sempre nuove copie da affiggere, da distribuire ai combattenti e alle popolazioni” ricorderà il partigiano Giovanni Pesce. E quando nel 1939 Barcellona cade sotto i bombardamenti franchisti, Giandante X è tra quelle 300mila persone internate nei campi di concentramento di Saint Cyprien, Gurs e Vernet, in Francia, dove organizza laboratori di arte, letteratura, scultura e storia.
Combattente eclettico e profondamente solitario, “nel suo tascapane teneva chiuso il suo gran cuore”, scriveva di sé Giandante X in una delle sue poesie riportate nel volume, insieme a moltissime delle sue opere.
Scrisse anche su L’Unità di Antonio Gramsci con cui collaborerà fino alla chiusura del giornale, nel 1926, perseguitato dal regime fascista anche per questo. “Ma quel che è peggio è che l’Italia democratica l’ha ignorato. La sua storia avrebbe dovuto accendere gli animi non solo antifascisti, ma di chiunque avesse bisogno di una spinta morale. Avrebbero potuto farne un esempio di lotta. E invece…” affermava Mirko Gualerzi, pittore misconosciuto, scomparso nel 2004, e amico di Giandante, in altre intense pagine che omaggiano uno dei creatori del Razionalismo italiano a cui solo nell’ultimo decennio sono state dedicate delle mostre, tra cui “Artisti e Resistenza” organizzata nel 2015 dall’Anpi provinciale di Milano.
Il libro “Giandante X” di Roberto Farina diventa quindi prezioso strumento di riscatto di “quest’uomo che è tornato aguzzo e povero tra noi – scriveva il poeta antifascista Alfonso Gatto in un altro omaggio che arricchisce il testo – sogna che sui muri nelle città popolari d’Europa ogni giorno si scrivano, a carbone, a gessetti, a colori, parole e segni forti di vita”.
Mariangela Di Marco
Pubblicato giovedì 25 Maggio 2023
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