Sempre più la storiografia sulla Resistenza si arricchisce di tasselli di memoria e testimonianze personali che restituiscono una dimensione esistenziale e il senso ideale che i singoli partigiani davano alla loro lotta contro il nazifascismo. La scelta resistenziale “non era un pranzo di gala”: era scelta morale, compito politico e, non ultimo, riscoperta dell’umano dopo anni di regime. È quanto viene messo in esergo nel volume che qui presentiamo di Luigi Poletto (presidente di ANPI città di Vicenza e vicepresidente del provinciale) e Roberto Pellizzaro (segretario organizzativo della sezione cittadina e dirigente provinciale ANPI).

Foto di gruppo dei “piccoli maestri”, si riconoscono (da destra): Benedetto Galla, Lelio Spanevello, Dante Caneva, Luigi Meneghello

«Fare il partigiano voleva dire salire in montagna, dormire all’addiaccio, mangiare poco e male, girare fra i monti con uno Sten appeso alla spalla in attesa che arrivassero i tedeschi a spararti addosso». Sono parole di Enrico Melen, uno dei “piccoli maestri” immortalati da Luigi Meneghello nel suo racconto di un gruppo di antifascisti e poi partigiani del vicentino. Roberto Pellizzaro e Luigi Poletto ricostruiscono alcuni profili della Resistenza tra le montagne del vicentino e forniscono una mappatura di quell’esperienza.

Archivio fotografico Anpi nazionale

La provincia vicentina, montagna e collina per il 70%, si prestava territorialmente alla guerriglia partigiana. I dati parlano di 12.645 partigiani e di 2.607 morti tra il 1944 e 1945. Naturalmente i nomi sono tanti, non c’erano solo i piccoli maestri di Meneghello: si andava dal PCI al PSI, dal PLI alla DC, alla quale non bisogna dimenticare di affiancare tutto il resto del mondo cattolico che, scrivono gli autori, «fornisce aiuto, ospitalità e supporto ai renitenti a e ai primi ‘ribelli». Insomma, al pluralismo del movimento partigiano vicentino è sotteso l’aiuto di un intero territorio che in generale sarà sempre ostile alla repubblica di Salò. Dei vari gruppi e del loro spazio d’azione possiamo ricordare, per esempio, la banda di Edoardo Pierotti del Grappa e i combattenti della vallata dell’Agno con Sergio Perin, Bruno Gavasso, Piero Tovo (detto Piero Stella), e ancora il gruppo di Malga Campetto (Recoaro) e i partigiani della “Monte Ortigara”. Si tratta solo di qualche accenno che rimanda a una geografia molto più vasta contenuta e descritta nel volume.

Partigiani rispondono a un attacco nazifascista (archivio fotografico Anpi nazionale)

Queste formazioni partigiane compiono azioni di sabotaggio e incursioni in caserme e presidi militari. Rimangono nella memoria, a questo punto, proprio i “piccoli maestri” che operano ad Asiago e nell’Agordino: Dante Caneva, Luigi Meneghello, Nello Galla, Mario Sommacal, Enrico Melen, Renzo Ghiotto e altri, e tutti al comando di quella purissima figura civile che è stato Antonio Giuriolo, poi ucciso in combattimento il 12 dicembre 1944 sull’Appennino emiliano.

Antonio Giuriolo, MdOVM

Tra i suoi “ragazzi”, va segnalato anche Mario Mirri, il Marietto meneghelliano, che in seguito fu storico all’università di Pisa e autore di un pregevole libro di memorie partigiane in cui si rievoca anche l’ambiente antifascista vicentino, il magistero di Giuriolo, così come quello di un personaggio come Licisco Magagnato, futuro storico dell’arte, “Franco” nel romanzo di Meneghello.

Soffermiamoci su questa figura un po’ dimenticata, cui è dedicato un intero capito del libro di Poletto e Pellizzaro. Magagnato (1921-1987) è un maestro, per quanto giovane, di idealità repubblicana, laicità e libertà civile, operò tra Vicenza, Verona e Padova per costituire gruppi resistenziali e fondare la rete veneta del Partito d’Azione. Nell’ambito di quella resistenza non comunista nel Veneto, Magagnato ha un ruolo importante – come ha ricordato Ettore Gallo, futuro presidente della Corte Costituzionale.

Bassano del Grappa (VI). Partigiani impiccati con al collo il cartello “banditen”

Sono molti i nomi che scorrono in questo libro, impossibile non menzionare Gaetano “Nino” Bressan, «figura centrale della Resistenza di pianura». Nato a San Pietro in Gu (PD) nel 1917 da famiglia povera, nel 1936 entra nella scuola allievi ufficiali di Salerno, è un esperto di esplosivi e sarà responsabile di molti sabotaggi a danno di tedeschi e fascisti. Dopo l’8 settembre si unisce alle brigate cattoliche Damiano Chiesa, nel 1944 viene catturato dalla banda Carità e torturato, ma riesce a fuggire. Nel dopoguerra, Bressan lavorerà per la Banca Cattolica del Veneto e non mancherà mai di ricordare che con «l’amnistia Togliatti molti fascisti verranno liberati e che ai partigiani sarà riservato un destino di maggior sofferenza e non si esime dal criticare la fretta con cui, all’insegna di una ambigua pacificazione, si sono dimenticati ragioni e torti equiparandosi vittime e carnefici, oppressi e oppressori».

Durante la Resistenza il Partito Comunista scriveva alle proprie staffette «tu sei un ingranaggio importante e indispensabile nella complessa macchina organizzativa, senza questo ingranaggio, la grande macchina non potrebbe funzionare». Queste parole sono riportate nel bel libro di Benedetta Tobagi La Resistenza delle donne (Einaudi 2022). Una citazione per ricordare l’unica presenza femminile del volume, la staffetta partigiana Luigina Castagna, nome di battaglia “Dolores”, nata nel 1925 a Recoaro. Sulle donne della Resistenza a Vicenza, in ogni caso, c’è un libro ormai imprescindibile, quello di Sonia Residori. Poletto e Pellizzaro ricordano “Dolores” quale esempio, campione di Resistenza femminile. Staffetta del battaglione “Romeo” della brigata “Stella”, Dolores assicura i collegamenti tra le colline e la pianura, ma viene arrestata nel 1944, picchiata e torturata a palazzo Festari a Valdagno, dove tuttavia resiste e alla fine viene rilasciata. Sarà sempre convinta di essere stata dalla parte giusta.