Cosa c’entrano Homer Simpson e la crisi del “sogno americano” con le proteste dei contadini della Foresta Nera nella Germania del Sacro Romano Impero? Cosa accomuna il ciuffo di Donald Trump ai “fogli volanti” di un predicatore nell’Europa tardo medievale? E ancora: come può una banale ricerca in rete, o un like su un gruppo social decretare (forse) la fine di una rivoluzione, quella innescata dall’invenzione di Gutenberg?
Consapevole più che mai che è attraverso la conoscenza storica che si colgono, come un sentiero luminoso, le direttrici del presente (e del futuro), Francesco Filippi, storico della mentalità e autore di applauditissimi saggi come Mussolini ha fatto anche cose buone (2019), firma ora un’indagine che attraversa in volo cinque secoli, per argomentare un’intuizione utile a cogliere derive, fallimenti, conquiste e prospettive di una società oggi iper-connessa, comprendere la sua auto-rappresentazione attraverso il proprio racconto, osservare come ogni tanto al potere sfugge il controllo di quel racconto collettivo, e capire come questo reagisca con la rabbia (e la paura) a cambiamenti economici, politici, culturali, esistenziali: c’è un legame potente tra le rivolte e i mezzi di comunicazione. Ed è il mezzo stesso a determinare, anche per le sue caratteristiche, il peso e il bilancio di una rivoluzione.
E il peso e il bilancio di cosa saremo. Cinquecento anni di rabbia. Rivolte e mezzi di comunicazione da Gutenberg a Capitol Hill (Bollati Boringhieri 2024, pp. 240) mette tra parentesi ovvie differenze temporali, spaziali, contestuali, sociali di due avvenimenti storici “scompaginanti” per tracciare un percorso utile dentro questa affascinante quanto inquietante consapevolezza. Sono la Bauernkrieg, la guerra dei contadini nella Germania a cavallo tra il 1524 e il 1525, veicolata dalla diffusione dei flügblattern, fogli volanti, e l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 dei sostenitori di Donald Trump, che a Washington tentano di impedire la nomina ufficiale di Joe Biden. Il filo comune è la rabbia contro il potere costituito, il “sistema”, la narrazione istituzionale del mondo imposta dal potere. Rabbia che si scopre collettiva e diventa travolgente grazie a mezzi di comunicazione fattisi massa, facendo emergere un racconto alternativo, ribelle: ieri, la stampa inventata da Gutenberg a Magonza, oggi Internet, i social e quel primo modello di iPhone, presentato nel 2007 negli Stati Uniti.
Per la diffusione delle sue 95 tesi, Lutero aveva utilizzato la stampa e la circolazione dei libri, una grande novità storica per quel tempo. Il suo “no” risoluto al potere della Chiesa cattolica e alla sua corruzione fu il primo “foglio volante” virale. Le stamperie alimentarono un mercato di fogli e foglietti di poche pagine, con slogan, illustrazioni, capaci di arrivare anche agli angoli più sperduti dell’Impero, contribuendo di fatto all’alfabetizzazione dei tedeschi. Le rivolte dei contadini della Foresta Nera, dalla Svevia contagiarono le regioni del Reno, l’Alsazia, la Baviera, il Baden e la Sassonia, utilizzando quei fogli volanti per divulgare istanze e sostenere rivendicazioni.
Ne è un esempio il documento programmatico noto come “Dodici articoli”. Che è anche “manifesto dell’uomo comune”: non nel senso di medietà priva di qualità, ma di membro di una comunità, disposta a lottare per un ordine politico (e religioso) diverso. I laboratores chiedono il diritto di difendersi e portare armi, sollevano questioni legate all’eredità, perorano la riduzione di gabelle e vessazioni da parte dei signori, e “il diritto di dare da bere il proprio vino a chi lo desidera”, ovvero il possesso di quel che si produce. “Attraverso la circolazione di questi documenti informativi, antenati dei giornali (…) non solo prende forma e coscienza una comunità di persone che si percepiscono come la parte vessata, ma acquista voce, e senso, la rabbia dei sudditi (…) questa rabbia non solo riunisce intorno a sé gli insorti ma li rende partecipi di un comune soffrire che diventa fattore identitario.
Dalla loro rabbia si riconoscono gli “uomini comuni”, attraverso la rabbia identitaria ci si riconoscesse accettando anche “il morire gli uni per gli altri”, scrive Filippi. Figure come quella di Thomas Müntzer, predicatore e rivale di Lutero (che condanna le rivolte) ne diventano leader, unendo i volti, catalizzando le richieste e i focolai della protesta. Finisce che moriranno in centomila e fattori come il carattere “ribellista” della rivolta, la molla che fu della rabbia “sentimento pre-politico” e non idee strutturate, l‘efficacia delle vecchie armi dei signori, non permetteranno di raggiungere nessun risultato fattivo. Ma il mondo non fu più come prima.
Dai forconi al cappello con le corna indossato dall’uomo che guida il branco di trumpisti a Capitol Hill. Accusano i democratici di brogli, e insieme a membri di sette, movimenti pseudo-religiosi, estremisti di destra e gruppi paramilitari come gli Oath Keepers, Proud Boys, Tea Party Patriots, si riuniscono davanti al simbolo mondiale della democrazia, il Campidoglio, dove a momenti sarà proclamato il 46° presidente degli Stati Uniti. L’ormai ex Donald Trump ha appena tenuto un discorso incendiario e solo ad assalto avvenuto, tramite Twitter, richiama alla calma i sodali. Le scene della devastazione hanno fanno già il giro del mondo.
Il bilancio sarà di 6 morti e 13 feriti. È la riscossa di quegli uomini con le corna e i capelli da nativo americano autoproclamatisi “patrioti”, difensori della vecchia cara America dei vecchi valori da difendere dai “complotti”, quella che è di tutti, sì, ma di alcuni lo è di più. Tipo i bianchi dalle ancestrali radici anglosassoni, protestanti, forgiatori e custodi del “sogno americano” – sicurezza, opportunità, prosperità – che quando lo diventa davvero per tutti, forse finisce il sogno. Più reazionari e conservatori che non rivoluzionari, rivogliono la middle class dei telefilm. E quell’Homer Simpson con la casa di proprietà, un lavoro e una famiglia, che non è più la normalità per via delle crisi economico-finanziarie e perché le promesse del mito americano sono obsolete e irrealistiche.
Ma soprattutto perché “l’elezione di Barack Obama è anche il momento in cui una parte del paese, quella bianca non privilegiata, sente di aver subito una perdita di rappresentatività nei confronti del modello dominante, si sente a torto o ragione esclusa dal flusso di racconto”. E si “arrabbia”, scrive l’autore. Rabbia che è ancora quel vecchio sentimento “pre-politico”, emozioni e non vere idee. Gli abitanti del Midwest come quelli del Sacro Romano Impero. La rabbia in rete si autoalimenta, è quello il luogo dove si vanno a cercare “risposte e socialità”, dove si incontrano onlife milioni di altri arrabbiati per problemi identici, si scaricano frustrazioni e dove la realtà si scolla da quella che l’algoritmo rimanda, addestrato a mostrare esattamente quel che ogni singolo spera di trovare, massificandolo.
La multipolarità, il moltiplicarsi delle narrazioni e anche di certe (assurde) teorie alternative al racconto dominante che sono il “rumore di fondo” da sempre delle società, in rete esplodono, si perpetuano, scavano, diventano virali. Fin quando sono incanalate da un interesse politico. In questo caso, la rabbia è stata convogliata in gruppi organizzati dando nuova linfa a un attivismo estremista di destra ed estrema destra. Come nella rivolta dei contadini, anche questi gruppi individuano un leader, un’icona catalizzante. Stavolta è Donald Trump, il ciuffo biondo, “un canale all news fatto persona”.
Il potere ha sempre cercato di controllare i mezzi di comunicazione, anzi, sono l’identità pubblica e la memoria della società che si auto-costruiscono tramite quegli strumenti. Potere che ha iniziato ad esercitare il suo controllo sulla dirompenza della stampa già nell’epoca della rivolta dei contadini: contro Lutero e le eresie, la Chiesa per esempio produsse libri devozionali ufficiali, inventò la propaganda e la censura. Nell’epoca delle tre rivoluzioni invece, quella inglese, americana e francese, l’informazione quotidiana creò il grande dibattito sui fatti: in Francia la stampa è il primo potere, non il quarto. Se nell’Età moderna la stampa è il mezzo usato dalla rabbia, il secolo dei Lumi, “si spegne su una realtà in cui è la stampa a servirsi della rabbia”, scrive Filippi.
La nascita della “comunità dei lettori” e la cultura come “bene di massa”, emargina ed esclude chi non è informato. Nell’Ottocento, la stampa, prodotti clandestini a parte, finisce per essere un fattore di stabilizzazione della società facendo nascere anche l’intrattenimento: i tabloid, il sensazionalismo. La tv e la radio invece indeboliscono, non cancellano la stampa, ma non hanno prodotto una rivoluzione.
E poi arriva Internet, “post-ideologico e da fine della storia”, basato sul modello del grande Ovest e dell’Occidente, e che non è davvero libero e non è neutro, spiega Filippi. Mutuando il paradosso della tolleranza di Popper, la libertà assoluta porta all’erosione della libertà stessa, e chi controlla la rete ha il potere dell’informazione e della disinformazione, influenzando milioni persone. Un immaginario pubblico alimentato dalla rete, fa i conti con le caratteristiche intrinseche del web e dei social che, a parte grandi esempi edificanti, non è esattamente “democratico e partecipativo, ne orizzontale nella creazioni di contenuti, (…) è un creatore di immaginario mirato”.
Così uno spauracchio inquietante si aggira nelle pagine finali del libro. Se è vero che sugli strumenti della comunicazione è anche il modo della comunicazione, che influisce sulla potenza del messaggio e dunque sul racconto di una società, cosa succederà con Internet, di cui non siamo ancora pienamente consapevoli? In mezzo alla presunta polarizzazione dell’opinione pubblica americana in trumpisti e non trumpisti, c’è una terza componente sociale che si sta allontanando sempre di più dallo scontro anche violento di queste due parti, che non ha fiducia nella rappresentatività politica, nelle istituzioni. Siamo già oltre il non andare a votare: “La rete che si voleva neutra e democratica, sta alimentando il populismo autoritario. Il mondo virtuale libero sta più o meno consapevolmente costruendo un mondo reale autoritario”. Davvero l’Occidente potrebbe tramontare sulle tastiere degli smartphone e dei computer?
Sara Lucaroni, giornalista e autrice di libri tra cui, nel 2022 per le edizioni Librerie Pienogiorno del volume “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”, e nel 2024 per People di “La luce di Singal. Viaggio nel genocidio degli Yazidi”, è anche vincitrice di premi, quali nel 2023 il premio giornalistico nazionale “La matita rossa e blu”
Pubblicato domenica 20 Ottobre 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/cinque-secoli-di-protesta-popolare-e-quellillusione-tutta-social-di-opporsi-al-potere-che-invece-fa-il-pieno-di-like/