Nell’anno del centenario non sono certo mancati gli scritti su Italo Calvino. Il libro di Daniela Cassini e Sarah Clarke Loiacono “Italo Calvino. Il partigiano Santiago”, con contributi di Vittorio Detassis, Massimo Novelli e Manuela Ormea (Fusta editore, 2023), spicca per originalità perché racconta la storia di Calvino partigiano e spiega come da essa prese forma un mondo poetico dal quale il giovane sanremese – in realtà nato a Cuba, dove visse per due anni – non si discostò più.
Tutto cominciò dopo l’armistizio dell’8 settembre: il giovane Calvino, renitente alla leva della Repubblica di Salò, passò alcuni mesi nascosto: un periodo di solitudine e di letture intense che iniziarono a formarlo come scrittore. “Tutta la mia formazione è avvenuta durante la guerra”, confessò in un’intervista del 1979. Diventato scritturale presso il tribunale militare di Sanremo, Calvino decise di iscriversi al PCI e al Fronte della gioventù quando seppe che il primo capo partigiano della zona, il giovane medico Felice Cascione, comunista, era caduto combattendo contro i tedeschi. Era il 27 gennaio 1944. Si unì alla Resistenza nell’estate, militò nella Brigata alpina Garibaldi comandata da Candido Bertassi “Umberto”, poi – quando questa si allontanò dalla zona – entrò a far parte della Brigata cittadina Matteotti, fino al 15 novembre, quando cadde il comandante Aldo Baggioli “Ciquito”.
Preso prigioniero e incarcerato per tre giorni, Calvino fu costretto ad arruolarsi nella Repubblica di Salò – vengono in mente le parole di Claudio Pavone sulla “scelta [che] va considerata […] come un processo che talvolta si apre la strada a fatica, perché affaticati sono gli uomini che lo vivono – ma riuscì a fuggire e a raggiungere i compagni ai monti il primo febbraio 1945, nella V Brigata Garibaldi Nuvoloni, comandata da Arturo Izzo “Fragola”, con la quale partecipò alla battaglia di Baiardo del 10 marzo 1945.
Uno dei momenti più dolorosi nella vicenda partigiana del futuro scrittore fu, tra l’ottobre e il novembre 1944, l’arresto dei genitori, dai quali i tedeschi volevano sapere dove fossero i figli clandestini, Italo e il fratello Floriano, anche lui partigiano. Un episodio che riemerse nel racconto “La stessa cosa del sangue”, pubblicato in una raccolta nel 1949.
Dal libro di Cassini e Clarke Lojacono emerge il rapporto forte di Calvino con il Ponente ligure, con la terra da lui definita, nel titolo di un racconto, “Liguria magra e ossuta”: la Liguria contadina, il paesaggio dei castagni e dei cespugli, non quello del litorale dei palmizi.
Dirà lo scrittore in un’intervista del 1970: “Ho vissuto i primi venticinque anni (o quasi) della mia vita dentro un paesaggio. Senza mai uscirne. È un paesaggio che non posso più perdere, perché solo ciò che esiste interamente nella memoria è definitivo”. E già nel 1956: “In quasi tutte le mie cose migliori c’è lo scenario della Riviera”.
Ma ciò che “esiste interamente nella memoria” ed “è definitivo” è anche e soprattutto l’esperienza partigiana, quella degli uomini in carne e ossa: grandezze e miserie, utopie e compromessi, moralità e violenza, amore e odio. La vera Resistenza, la “Resistenza difficile”, come la definisce Santo Peli. “Un furore”, dice Kim ne “Il sentiero dei nidi di ragno”. Una Resistenza “periferica”, quella del Ponente ligure, ma ricca di lotte accanite. “Tutto quello che scrivo e penso parte da quell’esperienza”, scrisse Calvino nel 1957. E ancora nel 1985: “Sono stati mesi che hanno contato come anni”, un periodo di cui è rimasto “il senso di cos’è fasullo e di cos’è vero”.
Il libro documenta inoltre l’intensa attività di Calvino giovane giornalista cantore della Resistenza, in particolare su “La Voce della Democrazia”, giornale clandestino che uscì anche dopo la Liberazione come organo del CLN, e poi su “La nostra lotta”, giornale del PCI, e su “Il Garibaldino”, settimanale della II Divisione garibaldina Felice Cascione.
Molti gli articoli che colpiscono. Nel numero del primo maggio 1945 uscì, su “La Voce della Democrazia”, “Ricordo dei Partigiani vivi e morti”, una vera e propria epopea della Resistenza che omaggiava tanti tra gli eroi del partigianato imperiese, a cominciare da Felice Cascione, e iniziava così: “Chi canterà le gesta della armata errante, l’epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti?”. “L’Epopea dell’esercito scalzo” fu poi il titolo di un libro uscito alla fine del 1945, a cura dell’Istituto Storico della Resistenza di Imperia, dove Calvino compare con due racconti.
Il ritratto di Calvino partigiano si completa con “Poesie e canzoni”, testi di canzoni scritte alla fine degli anni Cinquanta, musicate da Sergio Liberovici. Un’esperienza che si inserisce in quella torinese del collettivo intellettuale “Cantacronache”. “Oltre il ponte” è bellissima e più attuale che mai. Perché “non è detto che fossimo santi, l’eroismo non è sovrumano”. Perché racconta un’urgenza: il passaggio di consegne alle nuove generazioni, che “non sanno la storia di ieri” e non conoscono il senso di un’esperienza che non può scomparire. Il ponte è il simbolo che divide la pace dalla guerra, la vita dalla morte, con la speranza che “oltre il fuoco comincia l’amore”.
Giorgio Pagano, storico, sindaco della Spezia dal ’97 al 2007, copresidente del Comitato provinciale Unitario della Resistenza della Spezia in rappresentanza dell’Anpi
Pubblicato lunedì 18 Dicembre 2023
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