«Le baraccopoli non sono una questione culturale, sono una condanna sociale. Io non sono nata così, non ho scelto. È la politica di esclusione nei nostri confronti che produce il razzismo». Anina Ciuciu ha le idee chiare sulla questione rom e sulla “politica dei campi” perché ha vissuto tutto in prima persona, sulla sua pelle. Anina ha 26 anni e studia Giurisprudenza alla Sorbona di Parigi: è una studentessa brillante, ma se non avesse avuto una notevole determinazione e il supporto e la dedizione della sua famiglia, al prezzo di duri sacrifici, oggi sarebbe una giovane donna condannata a vivere in un insediamento abusivo ai margini della periferia romana o parigina, senza la possibilità di accesso a un medico, a un lavoro o semplicemente all’acqua corrente.
Anina Ciuciu è una rom rumena e ha raccontato la sua storia in un libro appena uscito in Italia per Edizioni Alegre dal titolo Sono rom e ne sono fiera. Dalle baracche romane alla Sorbona. L’edizione francese di questa commovente autobiografia ha venduto oltre diecimila copie e la storia della giovane Anina è diventata un caso perché probabilmente è la prima studentessa rom ad entrare nella prestigiosa università parigina. Anche se Anina non si considera una ragazza fuori dal comune per essere riuscita a varcare le soglie della Sorbona, è purtroppo una triste realtà che oggi un bambino rom non abbia le stesse possibilità di un coetaneo italiano, tedesco, europeo.
«Quando non puoi dare ai tuoi bambini nessuna speranza puoi solo trasmettere la fatalità della miseria e della povertà per generazioni – ci dice Anina –. Con questo libro volevo dare speranza ai giovani come me, ma sono pienamente cosciente che le ingiustizie non dipendono solo da noi. Quando parlo di discriminazione strutturale nei confronti dei rom cioè di non poter avere accesso ad un alloggio dignitoso, ad un lavoro, allo studio lo faccio perché sono cose che vedo ogni giorno». Anina, infatti, è impegnata con alcune associazioni che operano nel comune di Parigi contro la discriminazione e tra qualche anno si vede avvocata per i diritti umani «ma non solo dei rom».
La giovane studentessa ha conosciuto anche la realtà dei campi rom italiani che ricorda come i mesi più lunghi della sua vita: «Era veramente terribile per noi. Umiliazione, freddo, povertà. Nessuna condizione di vita umana, nessun accesso al medico, nessuna scuola: la nostra esistenza era illegale». Anina ha vissuto con la sua famiglia nel famoso campo Casilino 900 di Roma considerato dai media la più grande baraccopoli europea, stretto tra i quartieri di Centocelle e Don Bosco, nell’area dell’ex aeroporto militare e circondato per un lato da una lunga fila di sfasciacarrozze. I rom rumeni e tanti altri disperati negli anni ’80 e ’90 presero il posto dei baraccati meridionali arrivati nel dopoguerra.
Un accampamento squallido lo descrive Anina nel libro: “il posto in cui sbarcavano i rom, i candidati all’esilio, il posto in cui i passeur (chi, dietro pagamento, fa passare il confine a merci o a uomini illegalmente – ndr) corrotti scaricavano le loro prede”. Oggi il Casilino 900 non esiste più, fu sgomberato nel 2010 dall’amministrazione Alemanno e i ragazzi coetanei di Anina ora sono finiti nei campi di Salone, Gordiani e Candoni lontani dalla città e in condizioni non certo migliori.
La giovane racconta nel libro i sogni e le speranze di una famiglia scappata dalla Romania dopo la caduta di Ceauşescu: prima di allora il papà contabile e la mamma infermiera assicuravano ad Anina e alle sue sorelle di che vivere anche se con tanto sacrificio. Poi con le difficoltà e il razzismo crescente la decisione di partire: l’arrivo in Italia, il viaggio verso la Francia, l’aiuto ricevuto da due donne, la voglia di riuscire, la determinazione, il sogno di diventare un magistrato. Anina parla dell’incontro che le ha cambiato la vita, un’insegnante che ha creduto in lei e nella sua famiglia: «Ma non era un atto di pietà – spiega – solo umanità, fraternità. Così ho potuto avere una vita normale, quella che tutti i bambini meritano.
Certo, quando il libro è uscito in Francia i giornali mi hanno descritta come una “Cosette dai boccoli bruni” (un personaggio tratto da I miserabili di Victor Hugo – ndr) oppure come “ex mendicante, futura giudice”, titolo orribile».
Eppure Anina nel libro trova il coraggio di raccontare tutto quello che un bambino non dovrebbe vivere: l’esclusione, la mancanza di tatto e umanità delle persone, le ingiustizie. Perché si viene subito isolati se si è rom e si viene da una baraccopoli, soprattutto a scuola. I poveri sono sempre colpevoli. Perciò scrive: «quando domani per strada incrocerete una signora con la schiena curva, con un cartello di cartone sulle ginocchia, quando vedrete che accanto a lei c’è seduta una bambina dai capelli lunghi e neri, non giudicatela, non insultatela, non picchiatela» scrive l’autrice. Spesso la scelta di mendicare viene vista come una via facile «ma non lo è – racconta –. Non avrei mai chiesto l’elemosina se avessi avuto altra scelta. Noi facevamo quel che era necessario per sopravvivere, senza rubare». Alina parla anche del suo amore per il diritto e dei sacrifici dei suoi genitori, descrive la vita in Romania e cita la storia di un suo cugino che ha avuto successo rinnegando le sue origini, ha ottenuto una seconda laurea e oggi è direttore di una banca nella città di Craiova «e ogni giorno che passa prega che nessuno scopra che è rom». Anina invece ha avuto il coraggio di non rinnegare le sue origini: è una rom rumena, cittadina francese, insomma una vera europea che si considera privilegiata ad avere tre culture insieme e definisce la sua lotta e quella dei suoi genitori “un sacerdozio” per cancellare un giorno la differenza tra loro e gli altri, i non rom.
Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi
Pubblicato lunedì 19 Dicembre 2016
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