“Partigiana per amore” è un libro di memorie orali che sono state impresse sulla carta stampata. E questo è stato un gran bene. Lo è stato perché la memoria orale rappresenta, senza dubbio e da tempo, una nuova frontiera della storiografia. E, senza la scelta di Didala Ghilarducci di mettere nero su bianco, quei ricordi di partigiana, oggi che lei non c’è più, se ne sarebbero andati con lei. Per sempre.
Il suo divenire partigiana lo si deve all’amore per il suo uomo, sposato nei pochi giorni di licenza durante la guerra, e con lui Didala sale in montagna dopo l’8 settembre mentre ha da poco dato alla luce il loro figlio.
Una scelta, la sua, compiuta per amore, ma ovviamente essa non sarebbe potuta avvenire se non ci fosse stato un terreno ideale e una sensibilità particolare di Didala. L’oppressione della dittatura, la violenza, le atrocità e il massacro della guerra furono elementi centrali di quella scelta.
Queste pagine del libro di Didala – scrive nella prefazione lo storico Stefano Bucciarelli – ci consegnano una storia di quotidiano eroismo e di semplice profondità, restituendoci una vicenda al tempo stesso così originale e così simile rispetto a quelle di tante donne e uomini che nel corso del secolo scorso dovettero come lei affrontare le prove inedite della storia di quegli anni.
È l’amore che la lega al suo Ciro “Chittò” Bertini, nel 2007 conferito finalmente Medaglia d’Argento al valor militare, a darle la forza di affrontare il freddo, la fatica, la paura di far parte di una formazione partigiana mentre allatta ancora il figlio. Unica donna.
È una storia d’amore che rimarrà la sola per Didala che perderà il suo uomo, giovanissimo e vice comandante della formazione partigiana, a causa di un incontro con una pattuglia di SS che lo truciderà insieme al comandante della formazione “Marcello Garosi” delle Brigate Garibaldi Giuseppe Taddei su una collina versiliese nell’estate del 1944. Del piccolo gruppo si salverà soltanto Gustavo Rontani. Il gruppo era senza armi per non far ricadere l’eventuale vendetta dei nazisti sulla popolazione se fossero stati catturati armati.
Nel saggio Didala ripercorre sull’onda dei ricordi, ancora freschi e vividi, l’inizio della loro storia d’amore e come essa fosse uguale a tante altre anche se, a differenza di tante altre, resterà l’unica della partigiana Ghilarducci, pur rimanendo vedova a soli 23 anni.
Didala, prosegue Stefano Bucciarelli nella sua prefazione, diventa custode della memoria di quegli eventi che hanno strutturato le sue certezze e confermato per sempre i suoi ideali.
E non sono pochi i drammi che lei deve affrontare durante la Resistenza.
Il 12 agosto del 1944 lei, insieme a Chittò, Sergio Breschi, Cantalupi, i fratelli Calvano, è la prima a scendere dal monte Gabberi a S. Anna di Stazzema, designata come zona bianca, cioè un territorio per gli sfollati, che diventa invece il luogo dove i nazisti, accompagnati dai fascisti versiliesi, hanno da poco perpetrato uno dei peggiori massacri nazi-fascisti in Italia. Furono 560 le persone assassinate senza pietà. In paese vi erano solo donne, bambini e vecchi. Didala ricorda come già lungo il viottolo che portava al paese incontrano i primi corpi straziati degli abitanti di S. Anna che in quel periodo accoglieva anche molti sfollati dal piano. Le finestre aperte delle case mostravano l’interno tutto annerito. E poi arrivarono sul sagrato della chiesa del paese. Una scena orribile. Gli uomini del paese, che si erano rifugiati fuori dalla zona pensando che i nazi-fascisti avrebbero risparmiato un paese di donne, vecchi e bambini, cercavano fra i corpi carbonizzati in cerca di qualche segno dei loro cari. Urlavano e piangevano come belve ferite. E lei sopraffatta dal dolore si ritrova piangendo fra le braccia del suo uomo che cerca di alleviare la sua lacerante sofferenza.
Didala ricorda, nella pagine del libro, anche la decisione di lasciare la zona di S. Anna per ritirarsi sul monte Gabberi, decisione che venne presa dai comandanti partigiani della zona dopo che Chittò ebbe riferito dell’incontro a cui anche lei aveva preso parte, nella sera fra il 10 e l’11 agosto, con il parroco di S. Anna don Innocenzo Lazzeri, anch’egli poi trucidato.
Una storia drammatica che per lei non resterà la sola. Nelle pagine che seguono ripercorre l’ultima volta che vide suo marito Ciro in quella mattina del 27 agosto del 1944 che si congeda da lei per andare in avanscoperta, con il comandante Taddei e Rontani, a verificare le possibilità di spostamento della formazione. Morirà il giorno dopo.
Una storia ricca di passione e di tormento, di ardimento e della consapevolezza che solo Chittò poteva essere l’uomo della sua vita. Dopo la morte di Ciro lei prosegue nella sua attività di staffetta della formazione d’assalto “Garosi”, l’unica donna di quella formazione.
In questo piccolo libro è racchiusa la storia di una donna non comune. Una partigiana e una comunista che non si rassegnò mai alla banalità del male. Proseguì, fra mille difficoltà, a crescere suo figlio e a tramandare la storia della sua Resistenza.
Una storia comune a migliaia di persone che hanno dato vita e alimento alla nostra Repubblica, sorta sul coraggio e l’abnegazione di generazioni di uomini e donne. Persone che sacrificarono anche la loro vita per la democrazia e la pace.
Didala fu presidente provinciale di Lucca dell’ANPI. È scomparsa il 26 aprile del 2012, ma il giorno prima il 25 aprile aveva partecipato, come ogni anno, con orgoglio e infinita fiducia nel domani alla cerimonia per le 560 vittime dell’eccidio di S. Anna che lei aveva visto e vissuto così da vicino. Adesso riposa nel cimitero della città di Viareggio insieme al suo Ciro e la foto sulla lapide è quella di lei sorridente insieme all’amore della sua vita in un giorno di molti anni fa là sui monti della Versilia a inseguire il loro sogno di amore, pace e giustizia sociale.
Andrea Genovali, scrittore. Con Viareggio 1920 ha vinto il premio “Scrittore toscano dell’anno 2011” indetto dalla Regione Toscana e dalla Fiera del Libro Toscano
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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