Persone come anticorpi, scrive Valentina Mira nel libro “Dalla stessa parte mi troverai”, edito da Sem Libri e rientrato nella dozzina del Premio Strega 2024. Con queste parole si è aperta la presentazione del libro che il Comitato provinciale Anpi Roma ha organizzato nella Sala Rossa del VII Municipio capitolino, nell’ambito delle iniziative della “Primavera delle antifasciste” del Coordinamento donne Anpi provinciale Roma “Tina Costa”, con il patrocinio del VII Municipio, la collaborazione della libreria Blue Room, e gli interventi musicali a cura di Enrica Pierlorenzi e Mauro Ascenzi.
Con grande emozione, ha confessato la vicepresidente provinciale dell’Anpi Roma, Amalia Perfetti, che ha introdotto la presentazione. Perché il libro di Valentina Mira parla di persone. “Dalla nostra parte non ci si aspetta che ci siano salvatori, né si è vittime idealizzate prima, buttate dal piedistallo con violenza dopo. Dalla nostra parte ci sono solo persone”. E parla d’amore: “Questa storia è anche, e innanzitutto, una storia d’amore. E l’unico odio che la riguarda, è quello che da amore nasce. E di amore si alimenta”. È una storia di amicizia, e di sorellanza, dice Perfetti, e la voce le si incrina un po’. E capisco quanto l’espressione “essere traditi dalle emozioni” sia falsa, e quanto invece l’emozione di questa sala, gremita di persone, sia piena di verità.
Sempre e per sempre tu/ricordati/dovunque sei,/se mi cercherai/Sempre e per sempre/dalla stessa parte mi troverai. Sono le note e le parole di Francesco De Gregori a dare il titolo al libro di Valentina Mira. Enrica Pierlorenzi le canta e Mauro Ascenzi le suona, e la sala tutta sembra quasi trattenere il respiro. Perché lo sappiamo che la storia di quell’amore non ha un finale felice, che quasi ti ci puoi perdere dentro la rabbia dell’ingiustizia di quel finale, e che la forza di quel dalla stessa parte mi troverai, sempre e per sempre, è insieme a noi in quella sala, e non si è mai persa.
A Roma, nel quartiere Tuscolano, ci sta una croce celtica grande come quattro numeri civici, si legge nel libro. Si trova in via Acca Larenzia, e ogni anno assistiamo con l’incredulità e il disgusto di chi il fascismo lo ha studiato, all’ignobile parata di braccia tese di chi ricorda i morti dei due membri del Fronte della Gioventù che nel 1978 furono uccisi all’uscita dalla sezione, Acca Larenzia appunto, del Movimento Sociale Italiano. Ma la storia di Acca Larenzia è più lunga di così ed è, parafrasando una canzone, “una grande storia ignobile”. Dei fatti di Acca Larenzia se ne sono appropriati i fascisti, e negli anni hanno raccontato solo il pezzo di storia che faceva comodo a loro, alla narrazione vittimista che per decenni e con pazienza hanno tessuto, in un ribaltamento di prospettiva che a pensarci bene vengono le vertigini, e il vomito che ne consegue.
E mentre leggevo il libro di Valentina Mira, quasi a scapicollo perché non riuscivo a smettere, pensavo che centra esattamente il problema quando scrive “se la verità fosse conosciuta da più persone nessuno darebbe credito a quelli lì. Se la sapessero tutti, il loro vittimismo a braccio teso sembrerebbe ancora più ridicolo e fuori luogo di quello che è”. C’è una parte della storia di Acca Larentia che non si raccontava più, ed è la storia di chi di quell’omicidio venne ingiustamente accusato nove anni dopo, nel 1987, e morì impiccato in carcere, in una cella anti-impiccagione del carcere di Regina Coeli, sotto custodia dallo Stato. Si chiamava Mario Scrocca, era un infermiere specializzato, un sindacalista, ed era il marito di Rossella Scarponi e il padre di Tiziano Scrocca.
Mario Scrocca venne accusato insieme ad altri compagni, in assenza di prove concrete. Infatti, gli altri accusati verranno poi scagionati. Mario Scrocca no, perché se muori non puoi neanche essere dichiarato innocente di un crimine che non hai commesso. Rossella Scarponi e Valentina Mira si incontrano 34 anni dopo, e Valentina decide che la storia di Mario e Rossella la deve raccontare. “Quello che è successo a Mario è il tassello mancante. Acca Larenzia non può continuare a essere raccontata da loro” dice Valentina a Rossella. “Allora che aspetti? Scrivi. Se pensi che abbia un senso: scrivi”, risponde Rossella a Valentina. Persone come anticorpi.
Alla presentazione partecipano entrambe, sono bionde tutte e due, e io ho un debole per le persone bionde, così non riesco a smettere di osservarle. Si guardano spesso, in quel modo che hanno le persone che condividono qualcosa di profondo, qualcosa che è solo loro e che nessuno potrà mai togliergli. Simona Maggiorelli, direttrice della rivista Left e moderatrice della presentazione, inizia domandando loro di quell’incontro e di come da quel giorno sia poi nato il libro. “La persona che è idealmente con noi”, dice Maggiorelli, “è Mario”. Il ragazzo che lottava per i marciapiedi, come si intitola uno dei capitoli del libro, perché Mario Scrocca era un “pischello che lotta per le cose pratiche, che per qualcuno potrebbero risultare piccole mentre per un quartiere intero – per la tua gente – sono il mondo”. Era uno che si intignava, come si dice, e non a caso “Intignare” è il titolo di un altro capitolo.
E mentre Valentina Mira comincia a raccontare del suo incontro con Rossella Scarponi, penso a Mario che forse non ha mai smesso di indignarsi e ci ha portato tutti fino qua, a raccontare la sua storia e la storia della donna che amava, che era la storia di una generazione e un pezzo di storia d’Italia che non è stata mai raccontato tutto per intero, mai per bene. Perché non sapevo niente di Mario? è la domanda che ci siamo fatti in molti, ed è la domanda che dice di essersi fatta anche Simona Maggiorelli quando definisce il libro di Valentina Mira un libro contagioso, che ti porta anche a una ricerca personale, a cercare quel fascismo interiore che non vorremmo mai scoprire di avere ma che forse si annida comunque in qualche piega di ignoranza inconsapevole.
Ma la definizione più bella del libro la dà Rossella Scarponi, quando dice che è stato un parto tra due donne, una bellissima gravidanza condivisa. “Poi il parto se l’è fatto tutto Valentina”, aggiunge con grande ironia, guardandola. Si sorridono, e io penso alla definizione – giusta – che Mira dà di sorellanza all’inizio del libro nel capitolo che descrive appunto il loro incontro e che si chiama, infatti, “Sorelle”: “Il punto non è essere amiche, ma rendersi conto che esistono delle esperienze che possiamo avere in comune proprio perché donne. Anche se diversissime tra di noi, anche se di generazioni differenti”.
Ricerca personale, si diceva. Leggendo il libro ho trovato anche i miei, di anticorpi, e ho capito che in quella stanza in cui mi trovo ora ci sono alcune persone che lo sono per me. Mi rendo conto che ad alcune di noi il libro di Valentina Mira sembra parlare di noi stesse, anche nella parte in cui lei si domanda se sia all’altezza di raccontare quella storia, se si abbia il giusto pedigree “politico, letterario e umano” per occuparci di certi temi. Ai dubbi di Valentina mette un punto Rossella, riportando l’attenzione sulla cosa più importante, e cioè perché qualcuno avrebbe dovuto voler leggere la storia di Mario. La risposta, lo sappiamo, era che la storia di Mario è il tassello di verità che manca.
Ai miei dubbi invece mette un punto la presidente Marina Pierlorenzi quando nel suo intervento parla di antifascismo, e di antifascismo militante. L’ho sentita dirlo spesso, eppure sembra che ogni volta me lo dimentichi e ricominci con i miei dubbi. L’antifascismo, dice Pierlorenzi, è di tutti quelli che ci si riconoscono, e di tutti quelli che non riconoscono legittimità di esistere ad argomenti giustificativi del fascismo. Non esistono antifascisti “mejo”, non esistono quelli che sono più antifascisti di qualcun altro. Pierlorenzi, che vicino ad Acca Larenzia ci abita, torna infatti anche sull’argomento dell’enorme croce celtica che imbratta il quartiere. Non si pensi, dice, che nessuno se ne interessi, perché non è così. Per un attimo immagino che quell’obbrobrio scompaia da Google Maps e al suo posto magari ci sia qualcosa di bello. Bisogna intignarsi, e nelle parole di Pierlorenzi, quella tigna si sente.
Parole che vengono confermate anche dall’assessore alla Cultura del VII Municipio, Riccardo Sbordoni, ricordando che l’antifascismo del Municipio è testimoniato dalla risoluzione del Consiglio dello scorso gennaio, per ottenere la rimozione della croce celtica, e anche dalla mozione che consente la concessione di spazi pubblici per la realizzazione di attività sul territorio soltanto a chi riconosce e condivide i valori repubblicani, democratici e antifascisti sanciti dalla Costituzione Italiana.
L’antifascismo non è solo materia di ricerca storica, ma pratica quotidiana e attuale, lotta per la giustizia sociale e contro gli abusi di potere. E allora, insiste Amalia Perfetti, bisogna prima di tutto ricordare che quando una persona viene arrestata e la propria libertà viene sospesa, quella persona è nelle mani dello Stato e assicurarne la sicurezza è dovere dello Stato. La storia ufficiale di Mario Scrocca è la storia di un suicidio in carcere. Su cui è legittimo nutrire dubbi così spessi che sono quasi delle certezze, nutriti da coincidenze così strane e numerose da sembrare indizi di reato. Eppure il punto rimane un altro. La domanda che dobbiamo fare è se sia accettabile che una persona in custodia dello Stato muoia, anche di suicidio. La risposta è no, e invece in Italia i suicidi in carcere si moltiplicano ogni anno, tanto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha parlato di “trattamento inumano e degradante “ quando ha analizzato la situazione carceraria italiana. Secondo il recente dossier “Morire di carcere” pubblicato da Ristretti Orizzonti, il giornale dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena Femminile della Giudecca, al 20 settembre 2024 sono già 73 i suicidi in carcere (di cui uno in un Cpr) e il carcere con il record di suicidi negli ultimi quattro anni è proprio Regina Coeli.
Per questo alla domanda sul suo essere antifascista, Rossella Scarponi ricorda che il suo è stato un antifascismo naturale, di famiglia, e che oggi è anche essere attivista contro gli abusi sui detenuti, perché quello che è accaduto a Mario non accada più. E invece accade ancora e ancora.
L’antifascismo di Valentina, invece, arriva dopo. Dopo una gioventù in cui li ha pure frequentati, i fascisti, le “persone con i mocassini” come li chiama lei, e l’hanno segnata per sempre. Sono uno dei motivi per cui ha scritto il libro, scrive in quello che ha chiamato “Il cuore di queste pagine”. Oltre il senso di sorellanza con Rossella, oltre il senso di giustizia da cercare di rendere a Mario, lo scrive chiaro e tondo: il fascismo dentro e intorno a me. Per cercare di fornire anticorpi e tentare di salvare altre “sé” in giro per il mondo. Destrutturando la narrazione vittimista dei fascisti, che lei ha vissuto sulla propria pelle, e ricordando come il fascismo sia stato normalizzato da molto tempo in questo Paese.
E non da lei, ma da chi invitava stragisti su grandi palchi cosiddetti democratici. Averci respirato insieme, ai fascisti, non la rende però oggi meno antifascista, adesso che ha incontrato le persone giuste, persone come anticorpi appunto. Per questo la sua voce si fa più veloce e concitata quando ammette di essere stata ferita dalle polemiche che il libro ha suscitato quando è uscito. Gli attacchi di destra, dice, erano attesi, quelli che non si aspettava erano quelli della sua stessa parte, in nome proprio di un passato personale non abbastanza antifascista, secondo chi la attaccava. L’antifascismo a punti, viene definito da Rossella, che la guarda per tutto il tempo con gli occhi di chi sa benissimo che chi ti abbandona non sono mai i nemici, ma gli amici. E mi viene da pensare a quelli che si sentono più romanisti di te perché hanno totalizzato più presenze allo stadio di te. E nel pensare questo mi rendo conto che, appunto, non si fa gli antifascisti, si è, e si può esserlo come si vuole. L’importante è non riconoscersi nelle caratteristiche elencate da Umberto Eco in quello che lui definì Ur-fascismo, il fascismo persistente. E riconoscere invece come proprie le istanze di libertà, uguaglianza e giustizia sociale che sono proprie dell’antifascismo e che sono sancite dalla Costituzione Italiana.
A distanza dalla presentazione, continuo a riprendere in mano il libro di Valentina Mira, un libro che trovo necessario per tutte le storie che si porta dentro. Per la giustizia che è stata negata a Mario Scrocca, e che viene negata quotidianamente a molte persone detenute nelle carceri, soli soli come nel titolo del romanzo che Rossella Scarponi ha scritto nel 2019, per uscire dal peso del silenzio calato sull’ingiustizia subita da Mario e da lei. Per la prevaricazione che subiscono le donne che vivono storie tossiche come quella personale di Valentina Mira, sole anche loro in una società ammalata di maschilismo patriarcale e non abbastanza abitata da un femminismo fatto di sorellanza vera. Per la storia di questo Paese, che dovremmo deciderci a raccontare per intero e per davvero, e deciderci a levare ogni spazio politico e culturale a chi da anni fa esercizio di mistificazione della verità storica. E mi rendo conto che ancora provo una grande emozione se penso a quel giorno, e che forse la scrittura si è un po’ incrinata qua e là, ma che ne sono felice perché questo fa di me una persona.
“Essere persona. Cristo, non ho mai aspirato ad altro”. Grazie a Valentina e Rossella per aver condiviso questa gravidanza e aver partorito un libro bellissimo, e grazie a chi lo ha presentato con attenzione ed emozione. Grazie a “Dalla stessa parte mi troverai” per aver ricordato la più bella canzone scritta sui neofascisti. “Sensibile”, degli Offlaga Disco Pax, ricorda la definizione che Francesca Mambro, terrorista dei Nar condannata a 9 ergastoli, 84 anni e 8 mesi di reclusione, diede del suo compagno Giuseppe Valerio Fioravanti detto Giusva, terrorista dei Nar e condannato a 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione: “Giusva era il ragazzo più sensibile che io avessi mai incontrato”.
Vale la pena ricordare che, nonostante se ne siano sempre dichiarati estranei, sia Mambro che Fioravanti sono stati recentemente riconosciuti definitivamente colpevoli, assieme a Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, della strage che il 2 agosto 1980 uccise 85 persone alla Stazione di Bologna. Le pene di Mambro e Fioravanti sono estinte da tempo e la condanna al risarcimento per la strage non sarà eseguibile perché i due sono incapienti e lo Stato potrà soltanto prelevare poche centinaia di euro dai loro stipendi mensili.
“Per evitare di confondere la sensibilità con l’eversione fascista e stragista/stabiliremo dei limiti./Definiamo quindi neosensibilismo il nostro modo di essere sensibili./Che in tutto si distacca dalle ambiguità di Francesca Mambro/da cui ci dissociamo anche per l’uso sconsiderato e irresponsabile del vocabolario./La signora Mambro e il camerata Fioravanti sono fuori di galera./Fa male ammettere che al momento vincono due a zero.”
Giovanna Pesci, Coordinamento donne Anpi provinciale Roma “Tina Costa”
Pubblicato venerdì 8 Novembre 2024
Stampato il 13/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/acca-larenzia-e-gli-anticorpi-antifascisti-in-un-romanzo-coraggioso-che-racconta-verita/