Il 25 novembre del 1915, nella sua quarta lezione all’Accademia Prussiana delle Scienze a Berlino, Einstein enunciò nella loro forma finale le “Equazioni di campo della gravitazione”, cioè la teoria matematica della gravitazione che da quel momento sarebbe stata più nota come Teoria Generale della Relatività.
Non si trattava solo di una teoria che dava la spiegazione di un fenomeno fisico che aveva tormentato gli scienziati da secoli: la strana orbita di Mercurio intorno al Sole. Non si trattava neppure di una correzione per rendere più precise alcune leggi fisiche. La teoria Generale della Relatività era un modo totalmente nuovo di interpretare l’Universo nella sua totalità.
Einstein era già considerato uno dei più illustri scienziati: nel 1905, a soli 26 anni, aveva pubblicato tre lavori fondamentali: il primo sull’effetto fotoelettrico (l’estrazione di elettroni da un metallo ad opera dei quanti di luce), che dimostrava definitivamente l’ipotesi quantistica della luce di Planck, il secondo sulle dimensioni delle molecole ed il terzo (la teoria della Relatività Ristretta) nel quale mostrava l’equivalenza tra massa e energia e l’inscindibilità dello spazio (e quindi del moto) dal tempo, costituenti un uno continuo a quattro dimensioni (lo spazio-tempo).
Nel 1907, due anni dopo aver proposto la teoria della Relatività Ristretta, che non considera il moto accelerato, Einstein ne stava preparando una revisione della relatività speciale, quando improvvisamente si chiese come la gravitazione newtoniana avrebbe dovuto essere modificata per essere inserita nella teoria della Relatività. A questo punto Einstein ebbe un’intuizione che in seguito descrisse come il più felice pensiero della mia vita: un osservatore in caduta libera (cioè, per intenderci, come chi si trovasse in un ascensore che sta cadendo) non sperimenta alcun campo gravitazionale, perché gli oggetti che gli stanno intorno cadrebbero alla sua stessa velocità e sembrerebbero quindi fermi rispetto a lui. Di conseguenza, Einstein propose il Principio di Equivalenza:
… Si può pertanto assumere l’equivalenza fisica completa tra un campo gravitazionale e la corrispondente accelerazione del sistema di riferimento.
La gravità quindi è dovuta ad un effetto geometrico di curvatura dello spazio-tempo.
Si dice che Einstein ebbe questa intuizione vedendo un operaio che cadeva dal tetto di una casa e osservando che gli attrezzi che il pover’uomo aveva lasciato cadere rimanevano vicino alle sue mani. Questa però è una maligna leggenda, che non è giustificata da alcuna testimonianza ed è incompatibile con il carattere sensibile di Einstein, che mai avrebbe pensato alla fisica vedendo un uomo morire sul lavoro.
Dopo il grande passo del principio di equivalenza nel 1907, Einstein non pubblicò più nulla sulla gravitazione fino al 1911. In quell’anno, pubblicò un articolo nel quale dimostrava che, come conseguenza del principio di equivalenza, la traiettoria di un raggio di luce sarebbe stato curvato in un campo gravitazionale e che la luce lasciando un corpo massiccio diminuirà la sua frequenza, spostandosi verso il rosso per la perdita di energia necessaria per sfuggire al campo gravitazionale. Questi effetti potevano essere verificati con osservazioni astronomiche, ma la tecnologia non era ancora abbastanza sviluppata per misurare effetti così piccoli, sicché il suo lavoro fu accolto con molto scetticismo.
In quegli anni, Einstein, si rese conto che, se tutti i sistemi accelerati sono equivalenti, la geometria euclidea non può essere valida. Egli capì quindi che i fondamenti della geometria hanno un significato fisico. Gli mancavano però gli strumenti matematici per applicare la geometria non euclidea alla fisica. Consultò allora il suo amico Grossmann, un eccellente matematico, che lo informò degli importanti sviluppi di due matematici italiani, Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi Civita, che avevano recentemente lavorato con grandi risultati su un nuovo strumento matematico, il “calcolo tensoriale” ideato da Riemann, che permetteva di trattare agevolmente la geometria non euclidea. Einstein scrisse a Ricci Curbastro e Levi Civita ed iniziò con loro una fitta corrispondenza scientifica. Rapidamente, Einstein si familiarizzò con il calcolo tensoriale ed incominciò ad utilizzarlo. A questo proposito, scrisse:
“In tutta la mia vita non ho lavorato quasi mai così duramente ed ho sviluppato un grande rispetto per la matematica, la cui parte più sottile ho, nella mia dabbenaggine, considerato fino ad ora come puro lusso”.
Nel 1913 Einstein e Grossmann pubblicarono un articolo congiunto in cui enunciarono per la prima volta che la gravitazione poteva essere descritta dal “tensore metrico” di Riemann e Ricci Curbastro.
La teoria però aveva ancora molti punti deboli, tanto che, quando Planck visitò Einstein nel 1913 e discussero sullo stato attuale delle teorie della gravitazione, Planck concluse:
“Come un vecchio amico, ti devo consigliare di non proseguire su questa strada, in primo luogo perché non avrà successo, e poi perché, comunque, anche se funzionasse nessuno ti crederà”.
Ovviamente, Planck aveva torto, ma la teoria di Einstein era effettivamente troppo innovativa per essere facilmente accettata. Le sue difficoltà non erano però solo di natura scientifica: in quegli anni, nei quali la Prima Guerra Mondiale stava provocando una grave crisi sociale, l’antisemitismo stava già montando in Germania ed Einstein, anche se era stato nominato professore dell’Accademia Prussiana delle Scienze a Berlino, non riusciva a trovare allievi o colleghi disponibili a lavorare con lui. Egli era quindi solo nell’affrontare un problema difficilissimo e questo causò uno stato di tensione che portò alla crisi del suo matrimonio con la prima moglie, la collega Milena Marič, che lo aveva aiutato non poco nello sviluppo della teoria della Relatività Ristretta e con la quale aveva avuto due figli. Einstein iniziò una relazione con la cugina Elsa (che anni dopo avrebbe sposato), ma questo peggiorò ulteriormente la sua situazione personale: Milena ritornò a Zurigo con i figli, che da quel momento in poi rifiutò di far vedere all’ex-marito.
Nonostante ciò, Einstein aveva pubblicato un articolo nell’ottobre 1914 quasi la metà del quale era un trattato di analisi tensoriale. Levi Civita lesse l’articolo e scrisse ad Einstein, mettendo in evidenza alcuni errori tecnici sui tensori. Einstein fu felice di essere in grado di scambiare idee con Levi Civita che trovò molto più in sintonia con le sue idee sulla relatività dei suoi colleghi tedeschi.
Alla fine di giugno 1915 Einstein trascorse però una settimana a Göttingen, dove tenne sei lezioni di due ore nelle quali espose la sua versione ottobre 1914 della relatività generale.
Alle lezioni, presenziarono due dei più illustri matematici dell’epoca, Hilbert e Klein. Einstein, dopo aver lasciato Göttingen, commentò:
“Con mia grande gioia, sono riuscito a convincere Hilbert e Klein completamente”.
Non sapeva però di essersi procurato un ulteriore grosso problema. Hilbert aveva sì accettato le linee generali della teoria di Einstein, ma aveva anche intuito quali fossero i punti deboli della versione del 1914. Hilbert cominciò quindi a lavorare in fretta sulla teoria tensoriale del campo gravitazionale, cercando di enunciarne la versione finale prima di Einstein. Questi ebbe sentore delle intenzioni di Hilbert ed iniziò a lavorare furiosamente, ormai solo nella sua casa, mangiando saltuariamente, dormendo poche ore solo quando stava per crollare, interrompendo i suoi calcoli solo per cercare l’ispirazione nel suono del suo violino. La sua scadenza era il novembre del 1915, quando aveva accettato di presentare la sua teoria in quattro lezioni, una ogni giovedì, all’Accademia di Berlino.
Nella prima lezione, Einstein esordì dichiarando sinceramente che nonostante egli stesse lavorando alla sua teoria da anni, non era ancora riuscito a stendere delle equazioni che funzionassero completamente ed elencò dettagliatamente i problemi che non era riuscito ancora a risolvere. Mentre nelle lezioni successive illustrava gli sviluppi della teoria, Einstein proseguiva ad affinare i calcoli seguendo i suggerimenti di Levi Civita per quel che riguardavano l’ultimo punto critico che non era ancora riuscito a risolvere: l’applicazione del principio di equivalenza ai corpi in rotazione. Intanto, aveva un imbarazzato scambio di lettere con Hilbert, che si mostrava, in modo quasi arrogante, sempre più sicuro di battere Einstein sul tempo, al punto di invitare il collega ad una sua conferenza a Göttingen alla fine novembre, nella quale avrebbe esposto i suoi risultati finali. Einstein rifiutò, adducendo motivi di salute, ma la mattina della sua terza lezione ricevette da Hilbert uno studio che mostrava come anche il matematico di Göttingen stava per arrivare alla soluzione. Einstein rispose che era d’accordo con i risultati che gli erano stati inviati e che nella lezione che avrebbe tenuto all’Accademia avrebbe esposto in modo qualitativo le sue conclusioni sul moto di Mercurio.
Seguì una settimana di lavoro parossistico, nella quale Einstein riuscì finalmente a formulare in modo completo le sue equazioni ed a dimostrarle dando la spiegazione matematica dell’Orbita di Mercurio. L’ultima lezione all’Accademia, nella quale illustrò la teoria completa della Relatività Generale, segnò il definitivo trionfo di Einstein. Pochi giorni dopo, Hilbert inviò ad una rivista scientifica i suoi risultati, in perfetto accordo con quelli di Einstein, in un articolo vanagloriosamente intitolato “I principi della Fisica”. Egli però riconobbe la priorità di Einstein ed i rapporti tra i due scienziati tornarono cordiali.
Einstein, a sua volta, riconobbe sempre il contributo di Levi Civita e Ricci Curbastro, con i quali mantenne sempre rapporti di amicizia, oltre che di stima, e che si recò a visitare personalmente in Italia. Questo rapporto continuò nel tempo ed Einstein, su richiesta di uno dei due (non si sa quale, dato che non ne disse il nome) negli anni 30 denunciò pubblicamente le vessazioni del regime fascista alla comunità ebraica.
Einstein pubblicò su una rivista scientifica la versione finale della teoria della Relatività Generale nel marzo 1916. Per una strana combinazione, proprio nel centenario di quell’articolo fondamentale, è arrivata un’ulteriore straordinaria conferma della sua teoria: la rivelazione sperimentale delle onde gravitazionali, le increspature dello spazio-tempo generate dal moto di un corpo massiccio.
Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
Pubblicato mercoledì 6 Aprile 2016
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