L’articolo 3 della Costituzione italiana recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Non molti sanno che l’Istituto Italiano di Antropologia (ISItA) ha recentemente contestato questo articolo e, con un documento approvato all’unanimità dal suo Consiglio Direttivo il 23 ottobre 2014, ne ha chiesto la sostituzione.
In effetti, nella zoologia moderna, il termine “razza” si applica solo agli animali domesticati e selezionati dall’uomo con incroci specifici effettuati al fine di ottenere particolari caratteristiche. Per definire invece le differenze, a volte sottili, altre marcate, tra gli animali che, pur se appartengono alla stessa specie hanno caratteristiche fisiche diverse, si usa invece il termine “unità tassonomica”. La “specie” poi identifica quegli animali (o vegetali) che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Quindi, da un punto di vista scientifico, è evidente che questo è l’unico termine che identifica gli esseri umani e che il termine “razza” è improprio.
Dal punto di vista antropologico, l’ISItA sottolinea poi che la gran parte delle differenze genetiche interindividuali si osservano già all’interno delle singole popolazioni, mentre solo una parte esigua della diversità è riscontrabile tra i diversi gruppi umani del “catalogo razziale” generalmente usato, che divide l’umanità in australoidi, europoidi, mongoloidi e negroidi ed è basato sostanzialmente sull’origine geografica e su caratteristiche fisiche, come colore della pelle, dei capelli e degli occhi, pelosità, ecc. Inoltre, quei tratti fisici che hanno fatto in passato identificare come “caratteristiche razziali” le differenze tra gruppi di differenti popolazioni, sono il risultato di processi adattativi a livello di specifici geni rispetto a fattori ambientali e non hanno nessuna relazione con comportamenti sociali o qualità morali ed intellettuali. Quindi, secondo l’ISItA, attualmente l’uso in Costituzione del termine “razza” riferito agli esseri umani introduce solamente elementi infondati e fuorvianti, perché riafferma de facto la validità dello stesso concetto di razza, dando forza all’uso di un termine che inevitabilmente evoca pregiudizi e falsi concetti alla base di alcune delle maggiori tragedie dell’umanità.
Ovviamente, l’ISItA non chiede che in Costituzione sia indebolito il principio per il quale la diversità tra gruppi umani non può essere motivo di discriminazione e propone quindi di sostituire l’articolo 3 con la formula: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di aspetto fisico e tradizioni culturali, di sesso, di colore della pelle, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La Repubblica non riconosce l’esistenza di presunte razze e combatte ogni forma di razzismo e xenofobia”.
La proposta dell’ISItA è quindi motivata da lodevoli e condivisibili ragioni.
È però inevitabile chiedersi se questa eventuale modifica costituzionale non produrrebbe danni maggiori di quelli ai quali vorrebbe rimediare.
Infatti, anche dal punto di vista della classificazione scientifica, se l’Antropologia Generale non ritiene più valido il “catalogo razziale”, l’Antropologia Forsenica (quella branca dell’Antropologia finalizzata alle indagini giudiziali ed in generale alle analisi autoptiche) continua ad usarlo, dato che, nel caso del rinvenimento di un cadavere umano, è ovviamente assai utile alle indagini classificare in modo immediato quale fosse l’aspetto fisico generale del defunto.
Tuttavia, le ragioni principali che sconsigliano di modificare l’articolo 3 della Costituzione non sono scientifiche ma prevalentemente di natura politica.
In primo luogo, il razzismo non si basa certo su ragionamenti di carattere scientifico e quindi non c’è speranza che questi possano sradicarlo: basti pensare ad esempio che, ancora nel XX Secolo, nel Sud Africa dell’apartheid non si ammetteva neppure che tutti gli esseri umani appartenessero alla stessa specie e i “men” (uomini) venivano distinti dai “bushmen” (“uomini della boscaglia”, da cui l’improprio termine italiano “boscimane”), nonostante l’ovvia evidenza che la prole di un unione tra loro era illimitatamente feconda. Un razzista quindi resterà tale anche se, su basi antropologiche, la Costituzione negasse esplicitamente “l’esistenza di presunte razze”.
Inoltre, il concetto espresso dall’articolo 3 della Costituzione, indipendentemente dalle parole usate, è assai chiaro ed a tutti è ovvio il motivo per il quale i Padri Costituenti vi hanno inserito il termine “razza”, prendendo le distanze dalle assurde pretese di superiorità di una supposta “razza ariana” che tante stragi ed ingiustizie aveva generato durante il nazi-fascismo.
Infine – e questo a mio avviso è il punto più importante – l’articolo 3 rientra nei principi che appartengono alla parte immodificabile della Costituzione: per cambiarlo quindi sarebbe necessario un intervento di natura eccezionale, che permetta di intervenire su questa parte della Legge Fondamentale e che genererebbe rischi enormi. Non c’è bisogno di grande fantasia per immaginare cosa potrebbe succedere se ciò si verificasse: forse, basta ricordare la proposta di pochi anni or sono di cambiare l’articolo 1, per trasformarlo in “L’Italia è una repubblica democratica basata sull’impresa”.
In conclusione quindi inviterei i colleghi dell’Istituto Italiano di Antropologia a ripensarci ed a ritirare la loro proposta: anche se la nostra bellissima Costituzione nata dalla Resistenza contiene un termine scientificamente improprio, tutte le volte che si è cercato di “migliorarla” si sono fatti solo danni.
Per saperne di più:
- Guido Barbujan, “L’invenzione delle razze: Capire la biodiversità umana”, Bompiani (2010).
- Giovanni Destro Bisol & Maria Enrica Danubio “Our diversity and the Italian Constitution: do we really need human races?”, Journal of Anthropological Sciences, Vol. 93 (2015), pp. III-VI (http://www.isita-org.com/jass/Contents/2015vol93/CoverStory/26021699.pdf).
- N. J. Sauer, “Forensic anthropology and the concept of race: if races don’t exist, why are forensic anthropologists so good at identifying them?”, Social Science & Medicine, vol. 34, nº 2, Jan 1992, pp. 107-111 (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1738862).
Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
Pubblicato martedì 2 Febbraio 2016
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