Da principio ci fu “Ultimo”. Il perno dello spettacolo “The Beat of Freedom”, di e con Marta Cuscunà, con le illustrazioni live di Fabio Babich, gira intorno alle parole che ci hanno lasciato le partigiane e i partigiani e che, a cura di Giacomo Papi, Stefano Faure e Andrea Liparoto, erano diventate Io sono l’ultimo, il volume edito nel 2012 per Einaudi Stile Libero. Il libro raccoglie cento e più lettere di donne e uomini resistenti. Ora più che mai, in un tempo in cui i testimoni ci stanno via via lasciando orfani e le tristi nebbie dei fascismi tornano a circondarci, le loro parole devono e possono essere di grande guida, monito, incitamento. La rappresentazione è andata in scena nel settembre scorso nell’ambito del Festival #Ogniluogoèunteatro di Vercelli.

Il titolo del libro nasce da una frase di Marcello Masini, il partigiano fiorentino “Catullo”, classe 1925, che ci ha lasciati nel 2016. “Ai ragazzi nelle scuole dico: guardate, sono rimasto solo io. Allora diventano ancora più interessati. Io sono l’ultimo”. Ma se donne e uomini hanno vita temporale naturale, le loro memorie, le loro scelte, le loro parole possono e devono vivere molto, molto più a lungo. Ecco l’importanza del tramandarle, in questo caso a teatro, ma anche a scuola, nei media e, perché no, nuovamente nelle piazze, tra la gente. Parole e segno: la scelta drammaturgica di questo spettacolo, al contempo sobrio e potente, sta nel concentrare l’attenzione del pubblico su ciò che conta veramente.

La potenza di queste lettere emerge dalla forza delle letture di Marta Cuscunà e quindi si concretizza nei disegni di Fabio Babich: man mano che i concetti escono dalla pagina scritta e, diventando suoni, riempiono l’aria, quasi a volare, sembrano come posarsi sulla carta, meglio dire sulle sue mani che disegnano, e diventare linee, poi forme, poi persone e cose – lune e soli, case e prati, fiori e fucili, sbarre e sangue – insomma tutto quello che stai immaginando, ascoltando le parole dei partigiani, ti si presenta lì, davanti agli occhi.

Per meglio raccontare la profondità e l’evoluzione del lavoro di Marta Cuscunà la raggiungiamo al telefono (eravamo alla fine di settembre), mentre è in Sardegna a vivere un’esperienza che lei fin da subito definisce “importante”: “Sono a Rebeccu, un borgo di trenta case che si sta ripopolando grazie al lavoro dell’Associazione MusaMadre, per partecipare alla residenza artistica “Un anno di libertà e di scrittura” condotta da Nassim Suleimanpur. Lui è un drammaturgo iraniano che vive a Berlino, l’autore di White Rabbit Red Rabbit, e ha invitato diversi scrittori iraniani residenti in Europa o negli Usa, solo uno di loro vive e cerca di lavorare ancora a Teheran, e con noi c’è anche l’autrice italo-mauriziana Nalini Vidoolah Mootoosamy, drammaturga che scrive in italiano ma che è molto tradotta e messa in scena più all’estero che da noi. Fa parte del gruppo di lavoro anche Enrico Casagrande di Babolonia Teatri. Siamo stati invitati a ragionare, a condividere punti di vista, su come avvengono i processi artistici in quei Paesi in cui le condizioni di libertà e democrazia sono diverse, o sono assenti, in cui le rivoluzioni sono in atto e in cui è in vigore una stretta censura. In questi Paesi la resistenza degli artisti della scena underground richiede grande coraggio: corrono gravi pericoli nel portare i loro testi in scena, davanti a un pubblico”.

“The Beat of Freedom”

E il tema della Resistenza sembra essere il filo conduttore – un filo rosso che a volte si annoda e si sdoppia ma difficilmente si spezza – delle scelte umane e professionali di Marta Cuscunà che son davvero molti e si possono tutti esplorare navigando nel sito www.martacuscuna.it. È da qui che prendiamo, sintetizzando ovviamente, le notizie fondamentali sul suo lavoro fino a oggi. “Sono autrice e performer di teatro visuale, nella mia ricerca unisco l’attivismo alla drammaturgia per figure: così qui si definisce e impariamo, leggendo, che l’amore per il teatro la porta a lasciare la sua Monfalcone per frequentare, a Pisa, ‘prima del Teatro’, la Scuola Europea per l’Arte dell’Attore dove incontra i “grandi maestri” del teatro contemporaneo con cui studiare teatro visuale e drammaturgia: Joan Baixas, José Sanchis Sinisterra, Christian Burgess.

“The Beat of Freedom”

Gli spettacoli ai quali partecipa sono fin da subito segnati dall’alto livello dei registi e dalla precisa finalità di essere, nei modi e nelle scelte tematiche, “teatro civile e sociale”, come il debutto all’estero, nel 2006, in ‘Merma Never dies!’, lo spettacolo che, con le marionette create da Joan Mirò e la regia di Joan Baixas, prodotto da Elsinor-Barcellona in esclusiva per la Tate Modern Gallery di Londra, viaggia per l’Europa – repliche a Dublino, Siracusa, Napoli, Madrid, Bilbao, Valladolid, Zamora, Segovia, Sant Celoni – sul tema della discussa guerra in Iraq.

“The Beat of Freedom”

Sempre con il grande Baixas – pittore, regista e burattinaio spagnolo riconosciuto in tutto il mondo grazie alla compagnia ‘La Claca’, da lui cofondata con Teresa Calafel nell’agosto del 1968, e alla produzione di spettacoli e intense performance live painting, sull’animazione di oggetti e sulla proiezione di immagini per il racconto di piccole storie contemporanee – Marta Cuscuna partecipa, nel 2009, allo spettacolo “Zoé, inocencia criminal”, una produzione della Compañía Teatre de la Claca di Barcellona. L’attenzione verso l’universo femminile emerge fin da ‘Indemoniate’, spettacolo del 2007 di Giuliana Musso e Carlo Tolazzi con regia di Massimo Somaglino e nel 2009 i due mondi si mescolano – la tensione verso una narrazione di resistenza e forza e l’utilizzo in scena dell’altro da sé, il burattino – con il debutto dello spettacolo inedito “È bello vivere liberi! Un progetto di teatro civile per un’attrice, 5 burattini e un pupazzo”.

Una scena da “È bello vivere liberi!”

Così spiega l’autrice: “È bello vivere liberi! è uno spettacolo per riappropriaci della gioia, delle risate, delle speranze dei partigiani che sono state soffocate dallo sterile nozionismo. È uno spettacolo per riscoprire l’atmosfera vitale e vertiginosa di quel periodo della nostra storia in cui tutto sembrava possibile. Per questo È bello vivere liberi! è dedicato a tutti quelli che l’antifascismo l’hanno studiato solo sui libri di scuola, perché anche per loro la Resistenza diventi “festa d’aprile!”.

Ondina Peteani, la prima staffetta partigiana

Il lavoro, il primo di quelli dedicati da Marta alle Resistenze femminili, è ispirato alla biografia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia, scritta nel 2007 dalla storica Anna Di Gianantonio ( e oggi presidente Anpi Gorizia) per le Edizioni Irsml Fvg nel 2007. A 17 anni, in Venezia Giulia, Ondina a 18 si unisce alla Brigata Proletaria, più di 1.500 operai che si uniscono alle formazioni partigiane. Deportata ad Auschwitz nel ’43, numero 81672, scrive ‘è bello vivere liberi’ come ultima cosa prima di morire, a 19 anni. Lo spettacolo riceve il Premio Scenario per Ustica 2009 perché, queste alcune parole della motivazione della giuria, “restituisce il sapore di una resistenza vissuta al di fuori di ogni celebrazione o irrigidimento retorico. Resistenza personale, segnata dai tempi impetuosi di una giovinezza che è sfida, scelta e messa in gioco personale. Resistenza politica, dove la protagonista, Ondina, incontra la storia e la sua violenza. Resistenza poetica, all’orrore che avanza e annulla. Resistenza adolescente, che incontra il sangue, lo subisce, lo piange, ma continua ad affermare la necessità della felicità e dell’allegria anche nelle situazioni più estreme che Ondina vive”.

“La semplicità ingannata”

Diritti negati, disuguaglianze, lotta per l’ottenimento dei diritti civili, ma anche amore appassionato per il racconto del particolare che si fa universale: il filo rosso sui temi delle Resistenze continua a dipanarsi: nel 2012 il secondo progetto inedito sulle Resistenze femminili, lo spettacolo “La semplicità ingannata. Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne”. “La semplicità ingannata” è, così scrive l’autrice, “liberamente ispirato alle opere letterarie di Arcangela Tarabotti e alla vicenda delle Clarisse di Udine”.

Storie di donne, siamo nel Seicento dell’Inquisizione, che non possono scegliere il loro destino – e chi non ricorda la profonda tristezza di Gertrude, la Monaca di Monza manzoniana, causa di tante tragedie sue e altrui? – ma che si ribellano alle convenzioni, trasformando il loro spazio ‘chiuso’ al mondo, il convento, in un luogo ‘aperto’ alle istanze culturali del tempo, alle scrittura, alla musica e, perfino, alle prime istanze di un femminismo ante litteram, proprio nei testi scritti da Arcangela. Così l’autrice: Queste donne, monacate forzatamente dai loro genitori per risparmiare le doti matrimoniali, anticipano l’idea di ‘Una stanza tutta per sé’ di Virginia Wolf e capiscono che essere chiuse in un convento può permettere loro di creare un micro cosmo tutto al femminile completamente riparata dalle interferenze patriarcali”.

Sullo stesso tema, gli stereotipi di genere, i diritti negati, le voci femminili soffocate, nasce nel 2014, “Wonder Woman. Donne, denaro e superpoteri”, reading scritto e interpretato con Giuliana Musso e Antonella Questa, partendo dall’inchiesta di Silvia Sacchi e Luisa Pronzato, giornaliste del Corriere della Sera, sull’indipendenza economica femminile.

“Sorry Boys”

Il terzo inedito della trilogia sulle Resistenze femminili è del 2015: “Sorry, boys” che nasce da un incredibile fatto di cronaca. Al limite del fiabesco, 18 ragazze di Gloucester, Massachusetts, decidono di restare incinte tutte nello stesso momento, pianificando la creazione di una società tutta al femminile, una ‘comune’ stile anni Settanta. Quello che attira l’attenzione di Marta Cuscunà è, inoltre, la stretta relazione tra le scelte delle gravidanze programmate e l’alta incidenza di eventi di violenza maschile in famiglia nella cittadina. Così Marta Cuscunà che sottolinea come: “Questa situazione avesse spinto 500 uomini a organizzare una marcia nelle strade della cittadina per sensibilizzare la comunità al problema. Uomini contro la violenza, così si sono autodefiniti. Nelle interviste, molti di loro dicono di aver sentito il bisogno di mobilitarsi in prima persona, consapevoli del fatto che la violenza maschile è un problema delle donne (che inevitabilmente la subiscono) ma che soltanto gli uomini possono veramente risolverlo, cambiando la cultura maschile dominante che continua a causare queste tragedie. L’idea che sta alla base di ‘Sorry, boys’ è che a Gloucester, la contestualità tra il patto delle 18 ragazze e la marcia degli uomini, non siano stati solo una coincidenza e che tutto ciò abbia a che con il modello di mascolinità che la società impone agli uomini”.

Il drammaturgo e attore Marco Paolini

Da un fatto di cronaca una riflessione sociologica senza limiti di tempo né di spazio. Nel 2021 realizza, per la trasmissione televisiva di Rai 3 La Fabbrica del mondo di Marco Paolini e Telmo Pievani, una miniserie in sei episodi per corvi meccanici dedicata ai temi dell’ecofemminismo, da cui nasce, nel 2023, lo spettacolo teatrale “Corvidae. Sguardi di specie” co-prodotto dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento. Spettrali, altissimi e scheletrici corvi osservano ciò che stiamo facendo alla Terra e lo commentano. Ecco che nell’idea teatrale di Marta Cuscunà innovazione ed antico si mescolano, così come gli antichi burattini tirati dai fili diventano ora macchine complesse, ma il messaggio resta uno solo: guardare, raccontare, portare la Verità.

Ritorniamo, ora, a raccontare ‘The Beat of Freedom – la Resistenza a fumetti” quarta tappa delle Resistenze al femminile, le sue radici, la gestazione, la trasformazione.

(Imagoeconomica, Paolo Lo Debole)

All’inizio, nella prima versione del 2013, lo spettacolo è un reading musicale: “Quando Mara Rossi, presidente di Anpi Trento e Rovereto, mi ha regalato ‘Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani’ ho capito che avevo trovato quello che cercavo. In queste lettere si parla di amore, amicizia, fratellanza, di una nuova idea di famiglia, dei rapporti tra uomini e donne che nasce, appunto, durante la lotta di Liberazione. Questo libro è fondamentale, perché lo spettacolo ‘The Beat of Freedom’ nasce nel 2013 per il Pride di Vicenza, nella sua versione più semplice, ancora non c’era Fabio Babich, ma solo le letture delle lettere su questo sottofondo rock. L’idea degli organizzatori era quella del ‘ricordiamoci anche al Pride da dove nasce l’idea di un’Italia di persone uguali nei diritti e libere di amarsi”.

Fabio Babich

A trasformare il reading in uno spettacolo più complesso, coinvolgendo l’artista Fabio Babich, è la triste realtà del lockdown della primavera 2020: “Avremmo dovuto portare lo spettacolo a Carré, inserito nelle manifestazioni ufficiali per il 25 aprile, ma ovviamente tutto fu sospeso. Per una versione online ci voleva qualcosa che ‘occupasse lo schermo’ e il coinvolgimento di Fabio è stato naturale, vista la lunga amicizia e la sua bravura nell’improvvisazione. Sono affascinanti le sue creazioni con la sabbia in cui i disegni nascono e poi scompaiono, per sempre. Non è solo un fumettista ma un performer ‘live’: a ogni lettera abbiamo accostato un suo disegno in tempo reale. Dieci lettere, dieci disegni. Negli ultimi tempi, vista la situazione politica in Italia, abbiamo deciso di aggiungere la lettera di Nazareno Peano, nome di battaglia Cabrio, all’inizio dello spettacolo perché, a differenza delle altre, non affronta temi ‘positivi’ e coinvolgenti della stagione della lotta partigiana, che è la finalità di questa creazione, ma parla della Decima Mas e chi fossero veramente fascisti e squadristi. Siamo in un momento storico in cui è necessario spazzare via l’ambiguità rispetto all’attualità delle nostre istituzioni, oggi”.

Sorrisi partigiani

Ricordiamo che la scorsa estate, alla tappa di Monfalcone, l’amminisrazione cittadina a trazione leghista, non ha voluto concedere alla pièce il logo del Comune.

Gad Lerner e la presidente provinciale Anpi Novara, Michela Cella, con il vicecomandante Argante Bocchio, operante nel Biellese in occasione dell’intervista per noipartigiani.it, il memoriale della Resistenza italiana

Tra le lettere che prendono vita nel corso dello spettacolo, una è a firma di Argante Bocchio, il comandante ‘Massimo’, anima della Resistenza nel Biellese, vicecomandante della dodicesima Brigata Garibaldi intitolata a Piero Pajetta, ‘Nedo’, e uno dei protagonisti del Patto della Montagna, l’accordo sindacale firmato da operai, imprenditori e partigiani in piena guerra. Si è spento nella sua Novara, dove viveva da moltissimi anni, il 15 settembre scorso due mesi prima di compiere 100 anni: “Ho scelto questa lettera per la forma con la quale la scrive. È una poesia, è scritta praticamente in versi con una forte capacità di arrivare al cuore. Le giovani generazioni hanno bisogno di questo tipo di incontro con i partigiani, visto che non li incontreranno più di persona”.

“The Beat of Freedom”

Lo spettacolo si chiude con le parole di Nello Quartieri, “Italiano”, nella quale si trovano, mescolate a quella della partigiana Giacomina, quasi le stesse parole della canzone di Patti Smith che la accompagna: le metafore delle valli splendenti, dell’acqua pura, della fontana nel bosco, di una vita giovane immersi nella natura: “Lui scrive che ‘la libertà era qualcosa che ci picchiava nella testa e che sentivamo nei monti in cui vivevamo’, spiega Marta ”e da questa frase, fortissima, è nata l’idea dello spettacolo e di trovare il ‘battito’ della libertà nel rock anni Settanta, a suo modo voce anch’esso di una ribellione epocale. Le parole delle lettere spesso coincidono con i testi delle canzoni che ho scelto come colonna sonora”.

Ecco non solo la Patti Smith di “People have the power”, ma anche Lou Reed, Alanis Morissette, Green Day in uno scorrere di note e parole che si abbracciano e mescolano continuamente e che scaldano il cuore di chi osserva, ascolta, applaude sorridendo e commuovendosi.

“The Beat of Freedom”

Perché “The Beat of Freedom” non è solo il titolo del suo ultimo lavoro, è un modo di stare al mondo. Trovare dentro di sé e donare agli altri il lato ’rock’ della Libertà. Una scelta drammaturgica pulita e lineare – la parola, il disegno, il suono – che, nella sua apparente semplicità è, prima di tutto e sopra a tutto, una scelta politica, una chiara e decisa scelta politica, come tutto il “gran teatro del mondo” di Marta Cuscunà, partigiana e resistente.

Elisabetta Dellavalle