Il ritorno in zona gialla di quasi tutte le Regioni va di pari passo con la riapertura, molto attesa, di musei ed esposizioni (con le misure di sicurezza anticovid, naturalmente). Ma la pandemia ha ormai imposto nuovi modi di fruire l’arte e, come è noto, le mostre si sono in gran parte spostate dalle sale dei musei agli allestimenti virtuali. Sulla piattaforma digitale lieu.city, ad esempio, è possibile ammirare gratuitamente la mostra Shepard Fairey. 3 Decades of Dissent, già allestita alla Galleria d’Arte Moderna di Roma e sospesa a seguito del Dpcm dello scorso 3 novembre.
L’esposizione presenta trenta opere dell’urban artist americano che “dialogano” con alcuni lavori di artisti contemporanei della collezione capitolina. Per l’occasione è lo stesso Obey (questo il nome d’arte dello street artist) ad aver selezionato un corpo di opere grafiche con cui ripercorrere le tematiche a lui più care, dalla lotta per la pace alle battaglie contro le violenze razziali, dalla difesa della dignità di genere fino alla salvaguardia dell’ambiente.
«È un immenso onore – racconta l’artista – esporre una selezione delle opere più importanti della mia carriera, accanto a un gruppo di capolavori scelti dalla collezione permanente del museo. La mia arte è la storia delle risposte visive che ho dato ad alcune istanze essenziali del mondo degli ultimi trenta anni; ma questa mostra scava più in profondità, creando un dialogo tra le mie opere e quelle selezionate dalle raccolte della Gam. Tutte rivelano i timori profondamente umani degli artisti del loro tempo, dimostrando come la risposta creativa possa assumere forme molteplici».
I lavori di Obey ben si interfacciano con le importanti opere della collezione romana, come Comizio di Giulio Turcaro, Compagni, Compagni di Mario Schifano, e con quelle di Pino Pascali, Giacomo Balla, Antonio Donghi, Carlo Levi, Gino Bonichi (in arte Scipione), Renato Guttuso, Claudio Abate, Luca Maria Patella e Fabio Mauri. Opere, queste, che coprono un arco temporale dal 1907 al 1997 e creano una stimolante dialettica tra stili e periodi.
Obiettivo della mostra, infatti, è far riflettere e avviare discussioni profonde sulle tematiche più significative di questi anni: pacifismo e antirazzismo, diritti umani e difesa dell’ambiente, soprusi sui minori e femminicidi.
Obey esprime il suo dissenso graficamente, affidando le sue denunce a campagne di manifesti, nella speranza di sollecitare il grande pubblico a rifiutare e combattere ogni forma di oppressione e disuguaglianza. Seguendo la tradizione della grafica costruttivista ed espressionista, l’artista sceglie semplificazioni cromatiche, dirette e incisive. «Diventa particolarmente interessante – afferma Maria Vittoria Marini Clarelli, sovrintendente capitolina ai Beni culturali – il confronto con la linea di impegno politico che attraversa l’arte italiana, da Nino Costa a Renato Guttuso, da Turcato a Pascali e Fabio Munari». Si tratta di vere e proprie “interferenze d’arte” grazie a cui l’urban artist ha interessanti rapporti concettuali con le opere degli artisti a lui più affini. L’esposizione, curata dallo stesso Obey insieme a Claudio Crescentini, Federica Pirani e alla galleria Wunderkammern, promuove percorsi visivi inediti.
Fra gli accostamenti più riusciti troviamo Big brother is watching you con Il dubbio (1907-08) di Giacomo Balla, Commanda in dialogo Donna alla toletta (1930) di Antonio Donghi. E ancora: Exclamation in rapporto a Il Cardinal Decano (1930) di Scipione; Jesse con L’autoritratto (1937) di Renato Guttuso; il pugno chiuso di Obey fist con Compagni, Compagni (1968) di Mario Schifano o Il Comizio (1949-50) di Giulio Turcato, in cui le essenze cromatiche delle bandiere rosse si trasformano in forza politica e voce d’artista antagonista.
Ad aprire l’esposizione, l’iconica HOPE (2008), una delle opere più celebri di Fairey, in cui riprende lo scatto realizzato dal fotografo Mannie Garcia di per Barack Obama, allora candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti.
E parlando proprio dell’ex presidente Usa, Obey dichiara: «Quando feci il ritratto HOPE – spiega l’artista – volevo catturare il suo idealismo e la sua visione contemplativa: mi hanno sempre colpito i suoi occhi profondamente proiettati sul futuro. Sono partito da una foto, che ora è oggetto di una disputa legale, e ho dato all’illustrazione uno schema di colorazione patriottica dividendo il viso in due parti: un’ombra rossa e un’illuminazione blu che convergono verso il centro. Ho voluto rappresentare idealmente l’avvicinamento degli stati democratici e repubblicani che spesso sono in opposizione».
L’artista non ha voluto solamente seguire la campagna elettorale americana ma, realizzando questa immagine, ha voluto gestirla, schierandosi apertamente con Obama. L’opera è stata così incisiva da essere definita “la più efficace illustrazione politica americana dal tempo di Uncle Sam Wants You”. Tuttavia, nonostante l’esplicito appoggio politico a Obama, l’artista non ha mancato di criticare parte delle scelte dell’ex presidente Usa: «Stimo ancora la persona – ha raccontato Fairey – anche se molte volte non sono stato d’accordo con la sua politica e qualche volta ritengo che non abbia calcato sufficientemente la mano contro i cattivi come pensavo avrebbe dovuto. Sono rimasto deluso perché credevo avrebbe osato di più: non ha fatto nulla per fermare i droni per assassinare la gente, con tutti i rischi collaterali di coinvolgimento di innocenti, ha permesso che i servizi segreti spiassero i cittadini americani violando le leggi e ha permesso le deportazioni. Però restano la riforma del sistema sanitario, le norme per l’ambiente e i diritti delle coppie omosessuali».
Idealizzando e stilizzando le sue immagini, Fairey definisce il suo stile politico, rendendo efficace e diretta la sua comunicazione. Altro caso emblematico è la serie Brown Power, nella quale raffigura iconicamente il chitarrista Jimi Hendrix (in HENDRIX) e il reverendo Jesse Jackson (in JESSE), utilizzando una combinazione di colori “pan-africani” (rosso, nero e verde), ripresa dai combattenti per la libertà e i diritti degli afroamericani. Sulla stessa linea, anche POWER AND EQUALITY, opera dedicata ad Angela Davis, attivista particolarmente impegnata nelle cause sociali e civili per la parità dei diritti degli afroamericani e delle donne e militante del partito comunista statunitense.
Fra i lavori esposti anche GUNS AND ROSES che, giocando fra rock e simboli pacifisti, inserisce delle rose nei fucili.
La tematica della pace è rivendicata anche nelle serie OBEY LOTUS ORNAMENT, MONEY (con le immagini di Lenin, Mao e Nixon) e GREETINGS FROM IRAQ, una cartolina dove le “bellezze” dell’Iraq diventano i bombardamenti aerei americani.
Arte e vita si fondono nelle opere urbane dell’artista, con lo scopo di creare riflessioni sull’intero sistema culturale e sociale.
Nelle opere di Fairey si notano le influenze dell’avanguardia russa, in particolare di Aleksandr Rodčenko, come del dadaismo di Duchamp, del futurismo italiano, del movimento Fluxus e di Barbara Kruger, del movimento punk e della Beat Generation. Influenze che hanno aiutato l’artista a costruirsi uno stile univoco, esprimendo con messaggi taglienti e diretti concetti importanti per sollecitare il pubblico a manifestare il proprio dissenso.
Scoprire i lavori di Obey significa intraprendere una rivoluzione pacifica: utilizzando con intelligenza lo strumento della cosiddetta estetica della comunicazione “per il popolo”, l’artista spera di sollecitare le persone verso azioni civili e politiche. Nelle sue opere, più che i dettagli realistici, prevale una realtà emotiva, vettore del messaggio sociale del dissenso, nel costante tentativo di far emergere le contraddizioni della società in cui viviamo.
Altra opera iconica, la prima della sua carriera, è André the Giant has a posse (1989) dedicata al campione di Wrestling André the Giant, affetto da acromegalia (malattia che fa crescere in maniera eccessiva la struttura ossea), troppo spesso esibito come uomo-bestia, rivale di Hulk Hogan. André the Giant è stata una figura molto amata e, grazie all’intervento creativo di Fairey, il campione è stato trasformato in una vera e proprio icona pop, con sticker attaccati sui muri di numerose città, a cominciare da quelli di Providence, nel Rhode Island, dove l’artista ha mosso i suoi primi passi.
Fairey, inoltre, è stato il primo a installare sulla Torre Eiffel un’opera tridimensionale dedicata al tema della tutela dell’ambiente. Si tratta di Earth Crisis Globe, una gigantesca sfera sospesa sui toni del blu e del verde (simboli dell’acqua e della natura), realizzata in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite per il Cambiamento climatico, COP21, di Parigi. «L’arte – commenta Obey – è un modo per impegnare le persone. L’arte può avviare discussioni che altri media non riescono a proporre. Se uno spettatore ama il mio murale, se gradisce la mia installazione, può riflettere su ciò che serve per proteggere le generazioni future».
Lo stile politico e audace di Fairey dimostra come i suoi interventi riescano ad arrivare ovunque, nelle metropoli, affissi sui muri, in continue campagne di arte di strada. La città con lui diventa un museo a cielo aperto, un ambiente democratico e collettivo, parte attiva della lotta al cambiamento, delle proteste sociali, portavoce di quella cultura contemporanea in cui è sempre più urgente e necessario far arrivare alla politica determinati messaggi di giustizia sociale.
Utopia e propaganda si unisono e invitano il pubblico all’azione. Da elemento architettonico, il muro si trasforma in veicolo per dare risonanza a messaggi di dissenso nello spazio pubblico.
L’artista porta avanti la propria propaganda etica con l’intento di sensibilizzare il mondo su tematiche sociali e umanitarie. «Il mondo – dice Fairey – è un luogo turbolento e imprevedibile. Quindi, come artista che si occupa di questioni sociali e politiche attuali, reagisco a eventi di forza maggiore nel loro svolgersi, spesso sperando che un momento di sconvolgimento che richiede la nostra attenzione offra l’occasione per un’affermazione artistica forte. La mia arte si ispira alla ricchezza della storia dell’arte e del design, con l’obiettivo di catturare ciò che è universale ed eterno ma al tempo stesso potente, in un pressante momento di bisogno».
Un viaggio, quello proposto dalla Galleria d’Arte Moderna, in cui ognuno è chiamato a prendere coscienza del mondo in cui viviamo, con le sue ingiustizie da abbattere e le molte conquiste democratiche da rivendicare.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato domenica 7 Febbraio 2021
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