Scriveva Vincenzo Consolo nelle pagine dell’Unità del 16 luglio 2010, accompagnando una mostra personale di Ottavio Sgubin allestita nella libreria Odradek, a Roma: «In nome dello Stato, uomini in divisa, comandati da capi visibili e invisibili hanno perpetrato atroce violenza, pestaggi, sevizie, torture. Hanno commesso un assassinio: quello del giovane innocente Carlo Giuliani. Dirigenti e agenti, portati poi nei tribunali, hanno avuto condanne, solo in appello» E ancora: «Molti di noi avranno sicuramente nella memoria la sequenza trasmessa dalla televisione, del colpo di pistola partito dalla camionetta dei carabinieri, che colpisce Carlo Giuliani e lo uccide».
Frasi che hanno dato intensità letteraria a un tema trattato con passione del pittore friulano, sempre attento ai fatti sociali, agli avvenimenti che hanno coinvolto una parte della popolazione e segnato per buona parte del XX secolo. Artista capace di raccogliere le sensazioni e le emozioni di un pubblico particolarmente sensibile ai temi a sfondo sociale.
E un’atmosfera particolare la si è avvertita tra le persone che hanno ascoltato l’intervento di Alberto Garlini quando lo scorso dicembre, a Fiumicello – il paese di Giulio Regeni – ha presentato la mostra Il silenzio degli ultimi. Un’atmosfera particolarmente sentita poiché è stata la prima mostra che Piera, moglie di Ottavio, ha allestito dopo la scomparsa dell’artista, avvenuta nel maggio dello scorso anno, a 82 anni.
Ottavio Sgubin, per tutto il suo percorso artistico, ha mostrato interesse per il mondo degli umili, dei poveri dei diseredati e dei perseguitati, dei partigiani, delle vittime del nazifascismo.
Proveniva da una terra ruvida, fatta di lavoro e di lotte sociali. Una terra che seppe reagire fermamente al nazifascismo, ma anche commuoversi per i versi che Pasolini ha dedicato a quei luoghi, tanto da sceglierli come esterni per la sua Medea. È la Bassa Friulana, terra di gente semplice. Gente forte, lavoratrice, risoluta e combattiva, con un passato di lotte contadine, di “scioperi all’incontrario”, di battaglie salariali e politiche.
Sono quei proletari, che Zigaina ha ben descritto nelle sue pitture. Braccianti stanchi, affaticati dopo una lunga giornata passata a lavorare nei campi dei padroni; uomini mai dimessi, fieri e orgogliosi.
Questi sono anche i temi che hanno alimentato la pittura di Sgubin.
Ne Il silenzio degli ultimi ha riproposto uno tra gli argomenti a lui più cari: i barboni.
Sgubin, forse da sempre, ha sentito la necessità di dare visibilità alle persone che con indifferenza vengono appellati come gli invisibili, quelle persone che non vogliamo vedere e che nemmeno cerchiamo tra la gente che incrociamo. Con i pennelli e i colori Sgubin ha raccontato una realtà umana dando così occhi agli indifferenti per guardare. Da convinto uomo di sinistra non esprime né propone una visione misericordiosa della vita, ma stimola l’uomo verso una coscienza attiva, mantenuta viva da una lunga collaborazione con don Gallo e con don Ciotti.
Sgubin è stato uomo prima che pittore; ha vissuto l’impegno sociale nella convinzione che nessuno deve essere dimenticato. E come può farlo un artista? Dipingendo e mostrando le proprie opere nei luoghi dove vivono i suoi barboni: nelle stazioni ferroviarie.
Così diverse esposizioni sono state allestite proprio nelle stazioni ferroviari italiane, citiamo Roma, Firenze, Pordenone, Venezia e tante altre, tutte accompagnate dalle parole di don Gallo «nelle stazioni dove i cittadini “sudditi” di una strategia strisciante di un Pianeta che si sta distruggendo a forza di forsennati consumi e smisurate miserie, transitano “di corsa”, senza comunicare, senza guardarsi negli occhi. I quadri di Sgubin lanciano un messaggio a chi si ferma: “mia cara Gente rallentate, gente rallentate…»
I barboni, i braccianti, i lavoratori, le vittime della guerra e della persecuzione nazifascista; e non potevano mancare il martirio dei partigiani, le vittime dei campi di concentramento. Per tutto il suo cammino creativo ha sentito il dovere, come artista, di partecipare in prima persona a mantenere viva e attiva la memoria. Anche con i dipinti che narrano i fatti luttuosi della guerra, le impiccagioni dei partigiani, l’esperienza della Resistenza, particolarmente sentita in quelle terre. Ha descritto i prigionieri dei campi concentramento in Friuli: Gonars, Virco, la Risiera di san Saba.
In passato ha allestito diverse mostre sulla Resistenza in collaborazione con tante sezioni Anpi; impegno che la moglie Piera intende continuare e rafforzare. La mostra di Fiumicello, a cui hanno partecipato anche i genitori di Giulio Regeni, è stata un’occasione per continuare la collaborazione; sono stati donati al presidente Gabrio Feresin dell’Anpi Fiumicello-Villa Vicentina un dipinto affigurante Partigiani Impiccati e a Lodovico Nevio Puntin, della sezione di Aquileia, l’opera Risiera di San Saba. Rispettando quindi la volontà di Ottavio di partecipare, con le sue opere, all’impegno di pace e di giustizia sociale che le sezioni Anpi portano avanti. Altre sezioni hanno nelle loro collezioni opere di Sgubin. Oltre che nell’Istituto Storico della Resistenza di Udine sue opere sono presenti in molte sezione e biblioteche del Friuli e del Veneto ma pure in diverse sedi dell’Anpi in Toscana, Liguria, Emilia Romagna, nella sezione Anpi “Nido di Vespe” del quartiere Quadraro a Roma, e altresì in Slovenia.
Diego A. Collovini, docente di Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Udine
Pubblicato sabato 25 Marzo 2023
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