È una mostra all’insegna del colore e della condivisione quella che Roma, nelle sale di Palazzo Braschi è dedicata al grande pittore viennese Gustav Klimt (1862-1918). Klimt. La Secessione e l’Italia, questo il titolo dell’esposizione che nasce infatti dalla collaborazione fra tre rinomate istituzioni: il Belvedere di Vienna, la Klimt Foundation e la Sovrintendenza ai beni culturali di Roma.
C’è tempo fino al 27 marzo 2022 per un viaggio nell’arte a cavallo fra Otto e Novecento, che permette ai visitatori di entrare nelle atmosfere della Secessione e conoscere gli artisti della sua cerchia, studiati da una prospettiva poco nota: il loro rapporto con l’Italia.
Ripercorrendo la vita e la produzione artistica del pittore, si sottolinea il ruolo di cofondatore della Secessione viennese, l’Art Nouveau che in poco tempo conquisterà tutta Europa. Oltre 200 sono le opere esposte fra dipinti, disegni, cartoline, fotografie, manifesti d’epoca e sculture, fra cui Giuditta I (1901), Signora in bianco (1917-18), Amiche I (Le Sorelle, 1907) Amalie Zuckerkandl (1917-18), La sposa (1917-18), che per la prima volta lascia la Klimt Foundation, e Ritratto di Signora (1916-17), trafugato dalla Galleria d’arte moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperato solamente nel 2019. Fanno da cornice ai lavori del maestro austriaco anche dipinti e sculture firmati da Josef Hoffmann, Koloman Moser, Carl Moll, Johann Victor Krämer, Josef Maria Auchentaller, Wilhelm List, Franz von Matsch.
Un percorso artistico particolarmente segnato dall’anno 1897. Nel mese di aprile Klimt firma una lettera indirizzata alla direzione del Kunstlerhaus (l’Accademia delle Belle Arti) in cui dichiara gli intenti della Secessione: portare l’attività artistica viennese “in un rapporto vitale con l’evoluzione dell’arte estera e proporre delle esposizioni dal puro carattere artistico libere dalle esigenze del mercato”.
Il progetto è tanto ambizioso che cattura la curiosità anche degli ambienti ufficiali, tanto che l’imperatore Francesco Giuseppe partecipa con interesse alla loro prima mostra secessionista.
Klimt, in breve tempo, diventa l’artista più importante di Vienna: seduce con il fascino e il talento. Molte dame vogliono farsi ritrarre dall’artista più in voga dell’epoca, ammaliate dal carisma. Alla sua morte sono in quattordici ad affermare che il pittore è il padre dei loro figli, e sei vincono la causa per il riconoscimento di paternità.
Fra le figure femminili ritratte dall’artista spicca Giuditta, sensuale e crudele, avvolta d’oro e dotata di forte e spregiudicata personalità. Il suo è un fascino erotico e Klimt la rappresenta con sfrontatezza: ha in mano la testa appena mozzata di Oloferne (che si vede appena) e si mostra in tutta la sua bellezza fisica. “La Giuditta klimtiana – spiega Franz Smola curatore del Belvedere di Vienna – è uno straordinario esempio della nuova figura di femme fatale che si impone nelle arti visive e nella letteratura intorno al 1900: una creatura affascinante, sensuale e pericolosa in egual misura. L’ambivalente concezione klimtiana di una femminilità voluttuosa e assassina rimanda a un tema molto discusso nella Vienna d’inizio secolo: il rapporto tra i sessi. Temi quali il ruolo dell’uomo e della donna nella società, l’erotismo e la sessualità, l’autodeterminazione e l’eteronomia dei ruoli sessuali attirarono in maniera crescente l’attenzione della scienza e della società in generale e furono sottoposti a un ripensamento radicale.
Non è certo un caso che proprio in quegli anni, a Vienna, i sostenitori dell’ancor giovane disciplina psicoanalitica, in particolare Sigmund Freud, arrivarono a intuizioni del tutto inedite”. E sempre nel 1897 il padre della psicanalisi studia le leggi della mente, pubblicando un paio di anni più tardi L’interpretazione dei sogni e coinvolgendo, con le sue scoperte, la generazione dei giovani artisti della Secessione.
In questo clima, Klimt e altri artisti cominciano a interpretare il malessere e l’inquietudine del loro tempo: raccontano per primi la storia dell’uomo del Novecento e rompono definitivamente con la tradizione dell’arte ufficiale. La loro arte, del resto, nasce proprio quando l’impero austroungarico è al collasso; è, come scrive lo storico Carl E. Schorske, sintomatica della “crisi dell’ego liberale” del vecchio ordine, “una crisi della cultura caratterizzata da un’ambigua combinazione di ribellione edipica collettiva e di ricerca narcisistica di un nuovo sé”.
Al motto secessionista di “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”, Klimt si discosta dall’arte classica e dalla pittura storica, per approfondire uno stile autonomo e innovativo, dove la maestria tecnica si fonde con eleganza e sensualità. Klimt invoca l’opera d’arte totale, utilizza media arcaici come la tempera e la foglia d’oro o il mosaico.
Passa dalla cultura storica dell’Impero austroungarico alla ribellione dell’avanguardia – dove lo spettatore è nella posizione di interprete psicanalitico – e approda, a una ritrattistica ornamentale e raffinata della borghesia viennese.
“Gustav Klimt – afferma lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan – è un artista estremamente colto e sensibile, raffinato fino alla morbosità. Si direbbe consapevole della lenta, ineluttabile decadenza della società di cui si sente il cantore: la società del vecchio impero austroungarico, che ormai conserva soltanto il ricordo dell’originario prestigio di istituto teocratico. Klimt sente profondamente il fascino di questo tramonto storico; associa l’idea dell’arte e del bello, a quella della decadenza, del dissolvimento del tutto, del precario sopravvivere della forma alla fine della sostanza”.
Nonostante l’artista sia piuttosto abitudinario (non rinuncia alla colazione con gli amici al ristorante o agli spettacoli teatrali), ogni tanto decide di viaggiare e di andare all’estero per qualche settimana. Il Paese che visita maggiormente è l’Italia: risale al 1890 il primo viaggio a Venezia, assieme al fratello Ernst, e poi negli anni a seguire Firenze, Genova, Verona e Ravenna, dove vede per la prima volta i celebri mosaici. L’esperienza ravennate è così entusiasmante che viene subito assorbita nel suo lavoro: l’artista inizia a impreziosire le figure ritratte con mantelli d’oro e tasselli di mosaici preziosi.
È il critico Ludwig Hevesi che, nel 1907, definisce il nuovo stile di Klimt una visione musiva, una vera e propria costruzione a mosaico, alludendo implicitamente alla volontà dell’artista di affermare la pari dignità delle arti minori, trovando un equilibrio fra ideazione, abilità tecnica e pregio dei materiali. L’abbigliamento e l’arredamento sono resi con un gioco di mosaici, mentre le figure si mostrano delicate e stilizzate.
Il periodo del mosaico corrisponde anche al suo periodo “italiano”, nel quale l’antica arte del mosaico si impreziosisce di atmosfere lussureggianti e innovative. In questo esprimersi, viene meno l’illusionismo spaziale, in una bidimensionalità perfetta della semplice copertura della superficie. Una superficie che prende i toni dell’oro. Klimt perfeziona il suo stile innovativo, inventando allegorie raffinate e divenendo un elegante colorista, un artista che “riesce a dare ai riguardanti le più gioconde e intense sensazioni ottiche e, in pari tempo, le più squisite e sottili impressioni cerebrali”.
Per conoscere l’arte e la poetica di Klimt occorre aprire gli occhi, osservarne con curiosità i dipinti per scoprire, nascosto nei dettagli, tutto il suo universo. Lo stesso artista suggerisce: “Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio”.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato domenica 20 Febbraio 2022
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