Una recente classifica stilata dalla rivista Artnet lo colloca al ventunesimo posto fra gli street artist più bravi al mondo: romano, classe 1972 è Maupal, al secolo Mauro Pallotta. Paragonato al britannico Banksy, Maupal afferma di essere un neofita nella street art: «Sono due anni che pratico la mia arte in strada anche se dipingo da sempre. A vent’anni mi sono trovato a vendere le mie opere in un pub. Poi da lì è nata la mia carriera, vivo, anzi sopravvivo, con la mia arte». L’artista è conosciuto ai più per i suoi lavori dedicati a Papa Francesco o, come lui lo chiama, Super Pope, ritratto per la prima volta nel 2014, quando su una via di Borgo Pio (via Plauto), a pochi passi da Città del Vaticano, realizza un murales con Bergoglio nelle vesti di un supereroe. L’opera ha suscitato grande clamore: la notizia del Papa con i superpoteri ha fatto il giro del pianeta; lo stesso Papa Francesco ha apprezzato il lavoro e ha voluto incontrare Maupal durante l’udienza generale a San Pietro, ricevendo in dono dall’artista la riproduzione dell’immagine di Super Pope. Nonostante i molti pareri favorevoli, il murales originale è stato subito rimosso. Ma Maupal non si è perso d’animo e, a ottobre 2016, ha realizzato, sempre nel Rione Borgo (via Campanile) una nuova opera. Questa volta il Papa è intento a giocare la sua personale partita a Tris, dove a vincere è la Pace. Anche in questo caso, il murales ha avuto vita breve e dopo qualche ora è stato rimosso, perché accusato di oltraggio al decoro urbano.
Abbiamo incontrato Maupal per farci raccontare come nascono le sue opere e perché incuriositi dalla scelta di dedicare al Papa più di un’opera. “Il Papa – commenta l’artista – è un rivoluzionario. È un esempio positivo. Un paio di anni fa ho deciso di realizzare Super Pope, l’opera in cui ho ritratto Papa Francesco come un supereroe volante e che ha creato molto clamore, soprattutto all’estero. Così ho deciso di continuare su questa strada”.
Questo Papa, più di ogni altro, si è fatto conoscere per le sue idee rivoluzionarie, a cominciare dall’enciclica «Laudato si’» nella quale ci invita a rispettare l’ambiente, ad attuare politiche ecologiche, a combattere la povertà e il culto del denaro. Per lei cosa rappresenta Papa Bergoglio?
Io guardo il Papa con gli occhi di un laico. Quest’uomo del resto è l’unico vero e potente uomo del pianeta, uno dei grandi che sta cercando il bene. È un modello per tutti: gli stessi potenti del mondo lo prendono ad esempio, anche se poi nei fatti non lo seguono. Basta accendere la TV e in una qualsiasi trasmissione si sente dire: “Lo dice anche Papa Francesco”. Il Papa è una personalità coerente, uno che fa i fatti: in Svezia ha chiesto scusa ai protestanti; ha detto ai prelati di perdonare chi decide di abortire e di non giudicare i gay, e ha invitato tutto il mondo a non costruire muri e aiutare i migranti.
Si aspettava la rimozione delle sue opere?
Sì. Ma non mi aspettavo tutte queste polemiche che, soprattutto con l’ultimo lavoro, ci sono state. Anche perché non voglio che si perda il messaggio del mio disegno. Nelle mie opere cerco di mettere lo spettatore davanti a dei bivi, in modo tale da poter far riflettere chi guarda sul messaggio che gli propongo. Nel momento in cui ho rappresentato il Papa, sapevo di scegliere un soggetto importante. La prima volta con il Papa come supereroe sapevo che l’opera avrebbe potuto dar fastidio a qualcuno, anche se poi l’immagine è stata ritwittata dal Vaticano.
E il Papa che giocando a Tris fa vincere la pace?
Anche questa volta il murales è stato rimosso. Questo Papa si sta prodigando per la pace in tutto e per tutto, ed io ho pensato di utilizzare lui come soggetto in una maniera totalmente esplicita, una maniera che non poteva essere discussa. Credo che nel momento in cui qualcuno lancia un messaggio di pace si dovrebbero azzerare tutte le polemiche; perché la pace è pace. Così però non è stato. Anche un messaggio così diretto è stato cancellato. La mattina che ho realizzato l’opera un bambino, che avrà avuto cinque anni al massimo, si è avvicinato al murales e ha capito subito qual era il messaggio dell’opera: il papa che con la pace ha vinto. Il messaggio era così esplicito che forse qualcuno si è preoccupato.
Secondo lei si tratta di una preoccupazione derivata dal contenuto dell’opera o si tratta di decoro urbano?
Secondo me questa è la prova madre che il messaggio non viene considerato e si guarda solamente all’“imbrattamento” della città. Le istituzioni vedono il dito e non si accorgono della luna, perché non si sono rese conto del messaggio dell’opera. Un messaggio che a mio avviso poteva essere fotografato e messo in tutte le aule del mondo, non solo quelle dei cristiani. La pace è un valore universale. Ritengo che tutti i messaggi di questo tipo debbano essere presi ad esempio.
E alle critiche che hanno cercato di strumentalizzare politicamente la sua posizione cosa risponde?
Rispondo che io sono un’artista libero e non voglio essere catalogato in dinamiche che non mi appartengono. Roma poi è una grande capitale e nei confronti della street art è molto viva. Tuttavia a differenza di altre capitali europee qui la street art viene gestita soltanto in alcuni casi, ad esempio quando si parla di decoro urbano e si chiede ad un artista di realizzare un’opera. Però quando su una facciata di un palazzo si fa un’opera anche esteticamente sublime, che però lancia un messaggio fuori dall’attualità o debole, ecco quella per me non è street art, quella è decorazione.
E cos’è per lei la street art?
Io la intendo come un linguaggio popolare per poter tirar fuori problematiche dell’attualità che parlano di economia, politica, finanza. Questo tipo di street art a Roma non è ben tollerata, anzi. Perché come a Roma si propone un messaggio scomodo, ti viene subito chiesto di toglierlo.
In questa direzione si colloca #esodati, l’opera realizzata in un quartiere popolare e storico di Roma, il Quadraro (via dei Quintili 148), in cui ha ritratto la Lupa capitolina che si morde la coda, mentre i suoi figli, fatte le valigie, vanno via dalla città. Un lavoro di forte attualità e denuncia sociale. Ci racconta la genesi dell’opera?
Quell’opera nasce all’interno del progetto di street art Muro organizzato al Quadraro. Tutto il progetto era puntato sul quartiere, storicamente antifascista, tristemente celebre perché il 17 aprile 1944 l’esercito tedesco di Kappler rastrellò 900 uomini deportandoli in Germania. Nel momento in cui ho creato quell’opera, però, Roma stava passando un periodo pessimo, era scoppiato il caso Mafia Capitale, portando alla luce un giro di corruzione imbarazzante per tutta l’amministrazione. Così ho deciso di dedicare l’opera non solo al Quadraro ma a tutta la città. Ho preso il simbolo di Roma, la Lupa, e l’ho ritratta mentre si morde la coda: è la rappresentazione dell’amministrazione politica capitolina; che può essere anche quella italiana. Poi ho disegnato i giovani, Romolo e Remo, che sono costretti ad andarsene perché la loro mamma, la Lupa, non li allatta più e sono costretti ad andarsene all’estero con i loro trolley.
Secondo lei di cosa ha bisogno Roma per fare in modo che i propri figli non siano costretti a lasciare la propria città?
Senza dubbio Roma ha bisogno di politiche esclusivamente dedicate al lavoro per i giovani; ci sono ragazzi che lavorano per quattro euro l’ora. Occorre una paga dignitosa per il proprio lavoro, mentre spesso il lavoro è retribuito con buoni voucher o è “a nero”. Questo è un problema serio, perché anche il proprietario del negozio che ti paga a nero lo fa perché non ce la fa a pagare le tasse. È, come in #esodati, un cane che si morde la coda. La dignità dei giovani non è solo nel laurearsi ma è nel lavoro. Un lavoro che possa permettere ad ognuno di mantenersi. È naturale che, se la situazione non migliora, Romolo e Remo sono costretti ad andarsene.
Fra le sue opere più toccanti c’è L’occhio di Pier Paolo Pasolini, rappresentato al Pigneto in via Fanfulla da Lodi a Roma. Come mai ha scelto questo soggetto?
«Pasolini per me è il più grande intellettuale del secolo scorso, talmente avanti che noi italiani abbiamo fatto fatica a comprenderlo. Quello che lui diceva e scriveva si sta avverando. Come diceva Pasolini “l’occhio è l’unico che può accorgersi della bellezza”, per questo ho deciso di ritrarre il suo sguardo. Uno sguardo lucidamente inquietante, al cui interno ho disegnato il riflesso della luce con la forma geografica dell’Italia. Pasolini vedeva l’Italia con molto anticipo, la vedeva da lontano e alcuni suoi discorsi sono perfettamente compatibili con quello che sta accadendo ora».
Pensa che la bellezza degli occhi di Pasolini possa emergere attraverso l’arte?
Io credo che l’arte sia fondamentale in questo caso. Per questo ho scelto di utilizzare una tecnica artistica così semplice e dei messaggi così comprensibili per arrivare alle persone. Con i miei lavori voglio rivolgermi a chi è giovane adesso, a chi potrà cambiare il mondo fra venti anni, e magari invitare ad una riflessione anche a chi è lontano dalla politica.
Vedremo presto altri suoi lavori in giro?
Ci sono molti progetti in ballo, che saranno sempre aderenti all’attualità: abbiamo parecchia carne al fuoco a Roma ma non solo Roma.
Pubblicato venerdì 2 Dicembre 2016
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