Quando camminiamo nei grandi musei di arte contemporanea, nella maggior parte dei casi, ci chiediamo solamente se quello che vediamo ci piace o se lo troviamo brutto e poco comprensibile. Tuttavia, la domanda che invece potremmo porci è: cosa provoca l’arte nella nostra coscienza? L’arte, in tutte le sue molteplici forme, è qualcosa di estremamente serio. Come afferma il professor Tomaso Montanari nel suo L’ora d’arte, l’arte “serve a diventare cittadini, a divertirci e commuoverci. Serve a imparare un alfabeto di conoscenze ed emozioni essenziali per abitare questo nostro mondo restando umani”. Ponendoci di fronte ad una dimensione quasi spirituale, l’arte è capace di cambiare la nostra vita, facendoci interrogare sul vero senso dell’esistenza e permettendoci di guardare il mondo attraverso gli occhi dell’artista.
Fra gli artisti che più ci orientano ad avere un nuovo punto di vista sulla realtà troviamo Francis Bacon (1909-1992), considerato uno dei maggiori esponenti dell’estetica esistenzialista nel secondo dopoguerra. Le sue immagini mostrano un’umanità colpita dal dolore, trasfigurata, vittima di un’esistenza angosciata. La sua pittura ci parla della tragedia dell’esistenza, dei sentimenti interiori dell’uomo moderno e occidentale, dunque di noi. Le sue figure sono svincolate dalla rappresentazione realistica e al contrario, le sue trasfigurazioni prendono le mosse da un bisogno istintivo che sconvolge ogni logica naturale. “Mi considero – diceva il pittore – un creatore di immagini. Penso sempre a me stesso come ad un medium, per accidente e per azzardo, che come pittore. Non credo di avere talento, credo di essere solo ricettivo”.
Nel 1944 Bacon realizza Tre studi per figure ai piedi di una Crocifissione: tre figure urlanti e contorte sono costrette in tre spazi distinti su sfondo rosso carminio. L’artista riprende la struttura classica del trittico per presentarci, alla fine della seconda guerra mondiale, tre esseri deformi, accomunati da un’espressione furiosa e dolente, allo stesso tempo vittime e testimoni di qualcosa di estremamente feroce. L’opera è metafora di disumanità e grido di disperazione. Proprio l’urlo umano diventerà un tema centrale del suo lavoro.
L’artista, infatti, era rimasto impressionato da La corazzata Potëmkin, il film muto di Sergei Eisenstein del 1925, in particolare dalla scena della bambinaia urlante con il viso sanguinante sulla scalinata di Odessa che assiste al massacro dei civili a opera dei cosacchi zaristi. Per Bacon, questa immagine è fonte di ispirazione per una delle serie più significative della storia dell’arte moderna: gli studi sul ritratto di Innocenzo X di Diego Velázquez. Se il pittore spagnolo aveva conferito all’immagine del pontefice un temperamento forte e austero, Bacon ne stravolge la figura, deformandola. Il carattere di Innocenzo X si trasforma e da severo diventa malvagio, spettrale, corrotto. Bacon opera con la chiara volontà di mostrare al pubblico la caduta dell’umanità in tutto il suo strazio.
L’urlo di Bacon è soffocato e soffocante, denuncia le bestialità dell’uomo e, ancora oggi, è purtroppo sempre più attuale. Ci fa riflettere su noi stessi e sulla nostra società. Una società ingiusta in cui il dissenso è mal tollerato, l’arroganza ha superato la solidarietà e diffondere odio è diventata una pratica accettata. Odio verso le minoranze, i migranti, i gay, le donne. Odio contro la natura, con i potenti del Pianeta che non riconoscono l’urgenza di adottare nuove politiche per difendere l’ambiente, preferendo la strada del denaro a quella della salute.
L’urlo di Bacon ci colpisce con una violenza inaudita, ci sconvolge, perché denuncia la nostra ipocrisia: la società in cui viviamo ci appartiene e, forse, dovremmo, ognuno con i propri mezzi, lottare un po’ di più per migliorarla. Per questo motivo le figure di Bacon sono tutte emaciate e distorte, rinchiuse in uno spazio claustrofobico.
Una volta, il Primo ministro britannico Margaret Thatcher bollò il pittore come “l’artista che dipinge quelle orribili opere”. Con tutta franchezza, Bacon le rispose che ad essere orribili non erano le sue opere ma il mondo che i politici come lei avevano creato.
Negli anni Sessanta, i ritratti dell’artista cominciano ad avere le fattezze dei suoi amici più intimi, uno fra tutti Lucian Freud (1922-2011), emigrato da Berlino a Londra nel 1933 e nipote del fondatore della psicanalisi. Anche Freud è un artista, legato a Bacon per la propensione ad indagare con la pittura la condizione umana senza falsi pudori. L’artista però appare interessato a raffigurare la carnalità imperfetta dell’uomo, i difetti in tutto il loro realismo, ottenendo ritratti impietosi.
La sua è una pittura nuda e cruda, infelice, come se ai protagonisti delle sue opere fosse stata tolta la possibilità di vedere il buono che c’è intorno a loro. Sono anime in pena, alienate, sopraffatte da un’esistenza dolente. I suoi soggetti sono amici, familiari, amanti, colti in momenti intimi e ritratti senza alcun pudore o idealizzazione. Freud è un pittore lucido che, con minuzia, definisce ogni dettaglio. Sia Bacon che Freud, nella Londra del secondo Novecento, plasmano in arte il male di vivere, il primo in maniera più aggressiva, il secondo con un atteggiamento riflessivo.
Una selezione di opere dei due maestri arriverà a Roma il prossimo settembre, ospitata nelle sale del Chiostro del Bramante. Bacon, Freud. La scuola di Londra – questo il titolo della mostra – è organizzata in collaborazione con la Tate Gallery. Insieme a Bacon e Freud saranno esposte anche alcuni lavori del norvegese Michael Andrews, del tedesco Frank Auerbach, di Leon Kossoff, nato a Londra da genitori ebrei russi e dalla portoghese Paula Rego: tutti migrati in Inghilterra per ragioni differenti fra l’inizio del Novecento e gli anni Trenta. Un racconto corale sulla condizione umana, sugli anni della guerra e quelli del dopoguerra, in una continua tensione fra il desiderio di cambiamento e le miserie degli uomini.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato venerdì 12 Luglio 2019
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