Nella storia dell’arte, alcuni dipinti, più di altri, riescono a scuotere i nostri sentimenti. Sono opere universali, patrimonio etico ed estetico dell’umanità: lavori tanto potenti da travalicare la semplice maestria tecnica e trasmettere un significato profondo a chi li guarda. Uno di questi è I mangiatori di patate realizzato nel 1885 dal pittore olandese Vincent Van Gogh (1853-1890) e conservata nelle sale del Museo Van Gogh ad Amsterdam. Il dipinto esprime una forza straordinaria e parla della dignità del lavoro, del sacrificio e del valore dell’onestà. Immergendoci nella composizione, siamo accolti da una visione privata, in cui una famiglia contadina è ritratta nel momento più intimo e conviviale della giornata, quello del pasto. Cinque mangiatori di patate sono seduti intorno ad una tavola di legno: una donna distribuisce ai suoi familiari una porzione di patate calde, mentre la signora più anziana versa nelle ciotole del caffè d’orzo. L’ambiente misero e cupo è illuminato da una lampada ad olio, che svela allo spettatore i lineamenti duri e pesanti dei personaggi, abituati alle fatiche del lavoro in campagna. Le figure emaciate e stanche, comunicano povertà e affinità.
Con toni cupi del marrone, blu e grigio, Van Gogh descrive la miseria e la disperazione dei contadini, rendendoci partecipi di un momento intimo, dove la condivisione del pasto assume un valore simbolico, quasi religioso. I volti dei protagonisti brillando di luce propria, affermano la loro dignità.
«Di tutti i miei lavori – scrive alla sorella Van Gogh due anni dopo il completamento dell’opera – ritengo il quadro dei contadini che mangiano patate, che ho dipinto a Nuenen, sia decisamente il migliore ch’io abbia fatto». L’artista è particolarmente soddisfatto del suo lavoro sia perché questo esprime esteticamente i valori che l’arte vera deve trasmettere sia perché si allinea alla tradizione dei suoi maestri, primo fra tutti Jean-Francois Millet. In particolare, del maestro francese lo impressiona il messaggio sociale che l’arte può avere: la pittura come esaltazione della sanità morale, della serietà e della laboriosità della classe contadina, che la società industriale tende a sopraffare.
«Ho cercato di sottolineare – scrive al fratello Theo – come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto e quindi parlo del lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo». Nonostante l’aspirazione del pittore è molto alta, Van Gogh si rende perfettamente conto di come il soggetto sia mal visto dalla società cittadina, legata ad altri costumi e modi di vivere. «Non sono del tutto convinto – ammette l’artista – che questo lavoro debba piacere a tutti o che tutti lo ammirino subito. E potrà dimostrarsi un vero quadro contadino. So che lo è. Chi preferisce vedere il contadino col vestito della domenica faccia pure come vuole. Personalmente sono convinto che i risultati migliori si ottengano dipingendo in tutta la loro rozzezza piuttosto che dando loro un aspetto convenzionalmente aggraziato». In effetti, I mangiatori di patate ottengono numerose critiche. Fra le più dure quella del suo amico pittore Anthon van Rappard: «Sarai d’accordo con me – gli confessa questo in una lettera – che un’opera del genere non può essere considerata seria. Sai fare di più di questo tu, per fortuna; e allora perché osservare e trattare il tutto in modo così superficiale? Perché non si sono studiati i movimenti? Ora posano. Quella mano civettuola della donna dietro al tavolo è ben poco vera! (…) E osi, con questo modo di lavorare, richiamarti ai nomi di Millet e Breton? Dai! L’arte è troppo superiore, mi sembra, per trattenerla in modo così negligente». La missiva sarà rispedita al mittente dall’artista senza alcun commento. Van Gogh, infatti, vuole combattere la sua “battaglia contadina”, contro tutti quelli, «come se ne possono indicare ancora molti nelle giurie d’oggi che, se potessero, si opporrebbero ancora, adesso come adesso, alle idee di cui Millet è stato pioniere». Ovvero, rappresentare il problema sociale delle classi umili e, allo stesso tempo, dare ai contadini una dignità solenne e di emancipazione.
Del resto Van Gogh, in questa prima fase olandese, è un socialista convinto. Ha provato sulla sua pelle la miseria degli operai e si oppone all’industrializzazione forzata che conduce l’uomo ad una vita degradante. Forse un po’ troppo pessimista nei confronti del progresso, Van Gogh aspira al socialismo utopistico degli inglesi William Morris e John Ruskin. La società in cui vive l’ha deluso ed escluso: dopo aver tentato di inserirsi nell’ordine sociale, viene respinto; cerca la sua collocazione nella religione, diventando pastore e missionario fra i minatori del Borinage. La chiesa ufficiale, tuttavia, lo esclude. Il pittore così inizia ad interrogarsi, con angoscia, sul significato dell’esistenza umana. Parteggia per i diseredati, per i lavoratori sfruttati, per i contadini a cui l’industria toglie l’eticità e la religiosità del lavoro. Da queste riflessioni Van Gogh partorirà quella che sarà considerata la sua prima opera importante, il capolavoro del periodo olandese, I mangiatori di patate, appunto.
Il dipinto, un olio su tela di 82 centimetri per 114, non è una pittura “di getto”, bensì è frutto di un lungo lavoro teorico. Van Gogh realizza numerosi studi preliminari, fra teste, scene d’interni e schizzi compositivi. L’opera nasce nel suo studio, lontana da modelli che, fra l’altro, lo infastidiscono perché non riescono a mantenere la posa. Preferisce così dipingere come suggeriva Eugene Delacroix “par coeur”, a memoria. La sua arte è carica di pathos, lontana dalle categorie assolute di “bellezza” e “bruttezza”, che divengono solamente parametri individuali. Per lui la bellezza non risiede nell’armonia delle forme, ma nella testimonianza della verità: l’abilità tecnica lascia il posto alla forza espressiva, producendo immagini che vanno al di là della pittura. Per l’artista non è importante la rappresentazione esatta della realtà: i colori e le forme gli servono per esprimere ciò che sente. L’arte deve raggiungere l’anima. E anche durante la lunga genesi dell’opera, Van Gogh riflette su come poter «rendere vivo il soggetto, la vita stessa».
L’estetica del brutto di Van Gogh, permette all’artista di infondere sentimento e verità al soggetto e, nel caso de I mangiatori di patate, dimostrare al mondo intero l’importanza del lavoro e del guadagnarsi da vivere onestamente. Il messaggio, difatti, è molto semplice: occorre lavorare duramente per non rinunciare all’essenziale, ovvero a ciò che dà significato alla vita. Le pennellate di Van Gogh ci dicono molto del suo stato d’animo e dei sentimenti che vuole trasmettere. «Le emozioni – afferma l’artista – sono talvolta così forti che si lavora senza sapere di lavorare; e le pennellate si susseguono con una progressione e una coerenza simili a quelle delle parole in un discorso o in una lettera».
Con l’aiuto del fratello, Van Gogh fa stampare venti litografie dell’opera per venderle ad un prezzo accessibile anche ai meno abbienti. L’operaio e il contadino diventano il suo pubblico; e la sua arte dunque per il popolo. Ma non solo, con questa tela, l’artista mostra ai cittadini benestanti della sua epoca che, a pochi chilometri da loro, nelle campagne, esistono persone che vivono in miseria, verso le quali non bisogna rimanere indifferenti. Un messaggio importante che con pragmatica attualità arriva dal XIX secolo fino ai giorni nostri.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato giovedì 25 Maggio 2017
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/forme/la-potenza-della-verita/