Durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, nel luglio 1995, a Srebrenica vennero trucidati oltre 8.000 bosgnacchi (bosniaci musulmani) per mano delle truppe serbo-bosniache (appoggiate dal gruppo paramilitare gli Scorpioni) comandate dal generale Ratko Mladić. Si tratta del più grande massacro in Europa dopo l’olocausto, ampliato dal fatto che tutto il territorio colpito fosse stato dichiarato zona protetta dall’Onu, sotto la tutela di un contingente olandese dell’Unprofor. Ogni anno, nel giorno della commemorazione presso il memoriale di Potocari, nuove bare vengono issate in spalla e preparate per la sepoltura. La conta dei morti non è ancora terminata.
Una sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja nel 2007 ha stabilito che la strage, essendo stata commessa con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi, costituisce un genocidio. Ratko Mladić e Radovan KaradKaradžić (all’epoca presidente della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina) sono stati condannati entrambi, in due momenti diversi, all’ergastolo.
Venivo al mondo dieci giorni prima dello scoppio della guerra in Bosnia. A 19 anni ho attraversato l’Adriatico per capire cosa rimaneva di quel massacro fratricida, documentando i campi minati intorno a Sarajevo, partecipando alla Mars Mira (la Marcia della Pace) che ripercorre in senso inverso il percorso intrapreso dai civili in fuga da Srebrenica a Tuzla, perdendo la bussola tra Mostar, Konijc, Banja Luka.
Ancora oggi centinaia di salme esumate dalle fosse comuni attendono di essere identificate. I venti inodori della guerra soffiano correnti che sanno di macerie e sangue, ricordandoci quanto è sottile il confine dell’odio. Porto con me le parole di Irvin, mentre recita un vecchio motto comunista riferito ai nazionalismi: “Ista govna, razlicito pakovanje. La stessa merda, diverse confezioni”. E il concetto di Hajra, presidentessa dell’associazione Madri di Srebrenica, morta nel 2021: “Con il passare degli anni siamo in grado di accettare anche le perdite che ci parevano inammissibili. Tutto passa tranne il sentimento provocato dall’ingiustizia”.
All’alba, a Srebrenica, tutto appare spettrale, privo di vita. Solo cani randagi per strada.
Pubblicato lunedì 4 Novembre 2024
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