Tra gli artisti più geniali del secondo Novecento, lo statunitense Keith Haring (1958 – 1990) occupa senz’altro uno dei primi posti. Con i suoi omini stilizzati, è divenuto una delle figure di spicco dell’arte pop degli anni Ottanta, raggiungendo in pochissimo tempo una fama eccezionale. Con uno stile altamente riconoscibile l’artista ha realizzato un universo fatto di personaggi colorati che, a poco a poco, invadono le strade di New York, fino ad espandersi in tutto il mondo. Anche in Italia. «Fu nell’inverno del 1980 – racconta in un diario l’artista – che iniziai a disegnare graffiti per strada, con un pennarello a punta grossa. Sentivo che c’era una ragione per disegnare in strada: ciò che disegnavo comunicava delle informazioni. Avevo sviluppato un linguaggio fatto di pittografie e facevo i miei disegni con un grosso pennarello Magic Marker nero. Iniziai col disegnare la mia tag, ossia la mia firma, il mio nome da graffitista. Era un animale che finì per somigliare sempre più a un cane. Poi disegnai un omino che camminava a quattro zampe. Riempii le strade con continue combinazioni del cane e dell’omino».
L’artista è l’espressione più fruttuosa della cultura “alta e bassa” che pervade gli anni Ottanta. Lontana da ogni elitarismo, l’arte di Haring diventa seriale e commerciale: un oggetto estetico diffuso. I suoi personaggi creano delle eccentriche e positive storie leggibili a tutti. E non solo. Ogni graffito porta con sé la storia del suo autore: dichiaratamente gay, amico di star come Madonna, Andy Warhol e lo scrittore William Burroughs, amante delle droghe e degli eccessi. Quando a soli trenta anni scopre di essere sieropositivo, l’energia delle sue opere si trasforma in una simbologia universale, radicalmente legata ad una generazione vulnerabile, cresciuta all’insegna della libertà sessuale, delle droghe e del consumismo.
In Italia, e precisamente a Pisa, Haring realizza la sua ultima creazione: un murale dalla superficie di circa 180 metri, eseguito sulla parete della canonica della chiesa di Sant’Antonio, semidistrutta durante i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di un’opera di “site art”, dal titolo pensato in italiano: Tuttomondo. Il murale, il più grande d’Europa, è dedicato alla pace e all’armonia universale e può essere considerato il testamento spirituale dell’artista. Come racconta Kenny Scharf, uno dei migliori amici dell’artista, «Haring era una persona aperta al mondo, cercava di arrivare alla gente e realizzava le sue stupende opere come se dovesse venderle a collezionisti e musei. Il fatto di dipingere murales e coinvolgere la comunità era la sua vera forza, un modo per far partecipare le persone e spronarle. Ha fatto veramente tanto per avvicinare le persone e comunicare loro la gioia della creazione artistica». E così, anche a Pisa, con un linguaggio semplice, capace di essere compreso da un bambino, Haring in soli quattro giorni dà vita ad una danza laica, dove trenta figure, intrecciandosi, comunicano allo spettatore messaggi per un futuro di pace, fratellanza, unità e uguaglianza.
«Per Keith – racconta Kristen Haring, sorella dell’artista – fu un onore straordinario essere invitato a dipingere un murales sulla facciata esterna di una chiesa in Italia, ma era piuttosto ironico il fatto che gli avessero chiesto di dipingere proprio su una chiesa. Crescendo, infatti, si era reso conto di essere omosessuale e quindi sapeva che il sistema della Chiesa lo condannava». A quel tempo, Haring era membro attivo delle associazioni gay, promuoveva marce di protesta e condannava apertamente il vescovo di New York, contrario ai comportamenti omosessuali e che, durante le sue prediche in chiesa, evitava di parlare del problema dell’Aids. L’artista avvertiva una sorta di contraddizione, ma considerava l’evento una grande opportunità, non soltanto per l’importanza della commissione ma anche perché conosceva e apprezzava la tradizione dell’arte a Pisa e in tutta Italia. «Pisa – scrive Haring – è incredibile. Non so da dove cominciare. Mi rendo conto ora che si tratta di uno dei progetti più importanti che io abbia mai fatto».
L’occasione per realizzare Tuttomondo nasce qualche anno prima, quando a New York Haring conosce Piergiorgio Castellani, un giovane studente che lo invita a trascorrere del tempo a Pisa. Nella città toscana, l’artista prende accordi con il Comune e il parroco del convento e, poco dopo, realizza la grande opera dedicata alla pace. «Il tempo – ricorda Haring – era bellissimo e il cibo ancora meglio. Ho impiegato quattro giorni per dipingere. Stavo in un albergo direttamente di fronte al muro, così lo vedevo prima di addormentarmi e quando mi svegliavo. C’era sempre qualcuno che lo guardava (l’altra notte anche alle 4 del mattino). È stato davvero interessante vedere le reazioni della gente».
Dopo aver imbiancato l’intera parete della chiesa, Haring disegna in nero i contorni di numerose figure e, con l’aiuto di alcuni studenti e artigiani dell’azienda di vernici Caparol Center di Vicopisano, ne colora l’interno. Al centro del murales Haring dipinge quattro figure unite all’altezza della vita, raffiguranti la croce pisana, simbolo della città. Intorno ad essa una cosmogonia di personaggi stilizzati riempiono, in una sorta di horror vacui pop, l’intera parete: un uomo con un delfino, un cane, una scimmia, un uccello, a rappresentare il proficuo legame con la natura, essenziale per l’armonia nel mondo; in alto a destra due figure con un paio di forbici tagliano un serpente, simbolo dei mali del mondo; un uomo con una televisione al posto della testa, a testimoniare come i progressi della tecnologia possano agevolare i rapporti fra le persone se ben utilizzati. In rosa, Haring disegna anche una donna che abbraccia un bambino, simbolo della vita. «In questo murale – spiega l’artista – ho disegnato tutto quello che riguarda l’umanità. Questo lavoro è fatto di simboli delle differenti attività umane. È una sintesi delle problematiche della vita di oggi. Non mi sono solo dedicato alla vita degli uomini, ma anche alla vita degli animali, ecco perché vedete delfini, scimmie e altro. È un affresco della vita in generale».
Con Tuttomondo Haring ha regalato al pubblico un’opera importante, espressione di amore, pace e vitalità: una rappresentazione della realtà semplice e diretta, comprensibile a tutti. Del resto, come lo stesso artista affermava: «Un vero artista è soltanto il veicolo per tutto ciò che passa attraverso di lui. L’artista contemporaneo è responsabile verso l’umanità, deve costantemente celebrare l’umanità e opporsi alla disumanizzazione della nostra cultura».
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato lunedì 16 Gennaio 2017
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