Nel 1944 il Quadraro, quartiere a sud-est di Roma, era una borgata dalle casette basse con gli orti, popolata da operai, immigrati arrivati dal centro-sud, lavoratori edili, artigiani e maestranze che lavoravano nei vicini studi cinematografici di Cinecittà, sfollati dal centro – rimasti senza casa a causa degli sventramenti voluti da Mussolini che volle imprimere alla città il contrassegno monumentale – e disoccupati, a cui il regime negava il diritto di residenza perché senza lavoro. «E poi ce stavano cuniculi, anfratti. De fatti, er console tedesco – Eitel Moellhausen – lo diceva “si te volevi nasconne a Roma ce stavano solamente du’ posti: er Vaticano e er Quadraro”. I tedeschi questo lo chiamavano “er nido de vespe”. […] Qui s’era antifascisti pe’ natura, pe’ fame, pe’ solidarietà coi poveracci. S’era antifascisti pe’ politica, pe’ religione. S’era antifascisti pe’ coraggio, pe’ dileggio, pe’ senso de giustizia. Qui Roma resisteva» (dallo spettacolo teatrale Nido di Vespe di Simona Orlando e Daniele Miglio).
Il 17 aprile 1944, più di novecento uomini tra i 15 e i 60 anni furono deportati prima nei campi di smistamento di Fossoli (Modena) poi nei campi di lavoro in Germania come lavoratori-schiavi impiegati nelle fabbriche chimiche e siderurgiche del terzo reich. La metà tornò a casa. Molti, una volta a Roma, morirono a causa delle esalazioni respirate nelle fabbriche. Il rastrellamento ebbe a capo Herbert Kappler, sanguinario comandante della Gestapo (la polizia segreta della Germania nazista) a Roma e mandante-esecutore del massacro delle Fosse Ardeatine del 24 marzo. In questa borgata erano attive formazioni partigiane del Partito comunista clandestino, del Partito d’Azione, del Partito socialista, di Bandiera Rossa e del Fronte militare clandestino della Resistenza. Da qui partivano le operazioni di sabotaggio delle truppe naziste situate sul fronte di Anzio e Cassino. Un territorio che era stato identificato come VIII zona (insieme a Tor Pignattara, Pigneto, Quarticciolo, Centocelle e Certosa) durante l’occupazione nazista (dal 10 settembre 1943 al 4 giugno 1944) quando Roma fu divisa dal Comitato di Liberazione Nazionale in otto zone per coordinare meglio la lotta contro i nazifascisti. Per dovere di cronaca, Kappler non pagò mai per i suoi crimini e si spense nel 1978 in Germania circondato dall’affetto dei suoi cari.
A 75 anni da questi tragici fatti, l’arte narra questa storia con un intervento permanente nella stazione della metropolitana Porta Furba Quadraro di Roma. “Vuoti di Memoria” di Ugo Spagnuolo – patrocinato dal Municipio VII di Roma Capitale – è un’installazione murale di 400 metri quadri dove «centinaia di sagome di bottiglie vengono colmate da ricordi, trasformando così una stazione della metropolitana in un palcoscenico rivelatore di memoria, privata o collettiva, storica o intima, ove recuperare immagini, reminiscenze, identità» spiega l’artista. Cartoline, fotografie, disegni, riflessioni si aggiungono a quelle di chi, nel breve passaggio all’interno della stazione della metropolitana, vorrà aggiungere, ricordando o ribadendo la propria resistenza a qualcosa.
Il progetto è stato concepito come un percorso partecipativo di arte urbana strutturato in due fasi. La prima, iniziata nel 2018, ha visto la partecipazione di diversi attori sociali legati agli eventi presenti e passati del quartiere – ragazzi di due licei artistici, associazioni, gruppi musicali, artigiani, attività commerciali e società civile – che hanno finanziato e contribuito alla realizzazione del progetto, mentre la seconda è affidata al pubblico fruitore della metropolitana. «Le bottiglie sono una metafora della conservazione della memoria – spiega Spagnuolo – e sono figure allegoriche dei turatori, sacerdoti della memoria, selezionati tra tante persone conosciute nel quartiere per rappresentare il conservatore, qualcuno con cui le persone si potessero identificare, quindi personaggi storici. L’esperienza estetica diventa dunque un’esperienza di presa di coscienza».
Venti tra questi protagonisti sono rappresentati nell’opera «in dimensioni monumentali nella quotidianità di un gesto altamente simbolico, ovvero turando delle bottiglie: conserve-memorie da riempire attraverso la propria storia», continua Spagnuolo. Tra loro, Ada Giacopetti e Vanda Prosperi, ultime testimoni oculari del rastrellamento del 1944, Clemente Scifoni, ex gappista e don Roberto Sardelli – scomparso lo scorso febbraio – con la sua “Scuola 725” nata negli anni Settanta tra i baraccati dell’Acquedotto Felice.
Nel 2004 alla ex borgata è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Prima di allora, nessun altro riconoscimento istituzionale.
«La ragione sta esattamente nel carattere di resistenza diffusa del quartiere. Tra i rastrellati del 17 aprile non ci sono i leader della resistenza romana, spesso intellettuali prestati alla militanza. Ci sono persone comuni, per lo più manovali, piccoli negozianti. Il comunicato del comando nazista, “sono stati arrestati tutti i comunisti e gli uomini che collaborano con i comunisti”, mentre venivano arrestati tutti i maschi del quartiere è una sintesi paradossale di ciò che accadeva da quelle parti», scrive Walter De Cesaris, militante comunista, in “La borgata ribelle” (edizioni Odradek, 2004), prima raccolta storiografica dei fatti del Quadraro del 1944, dove protagonista, su tutti, è la memoria ricostruita attraverso la testimonianza orale di coloro che ne furono coinvolti, i loro diari e tutta la documentazione che ha permesso di ricostruire questa vicenda. Seguiranno le ricerche dello storico Alessandro Portelli e del circolo Gianni Bosio (la più grande raccolta di materiali sonori musicali e storici di Roma e del Lazio), le ricostruzioni effettuate da Ascanio Celestini, che porteranno per la prima volta questa storia al grande pubblico con lo spettacolo “Scemo di guerra” (2005) e quelle di Simona Orlando e Daniele Miglio per “Nido di Vespe” dove alle ricostruzioni recitate si alternano videoproiezioni e interviste dei testimoni diretti. Ma la storiografia resta ancora debole.
Fa discutere, a tal proposito, la decisione del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti, che ha voluto addirittura abolire la traccia storica dalla prima prova dell’esame di maturità. «La storia è un bene comune e la sua conoscenza è un principio di democrazia e uguaglianza tra i cittadini… Ma nulla di questo può farsi se la storia, come sta avvenendo precipitosamente, viene soffocata già nelle scuole e nelle università» scrivono – in un appello pubblicato sul quotidiano la Repubblica, che ha raggiunto 50mila firme – Liliana Segre, senatrice a vita e attiva testimone della shoah italiana, lo scrittore Andrea Camilleri e lo storico Andrea Giardina.
Mariangela Di Marco, insegnante
Pubblicato venerdì 12 Luglio 2019
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