
Genoeffa Cocconi Cervi arriva a Roma per l’inaugurazione della mostra dedicata alla madre dei sette fratelli Cervi, uccisi dalla ferocia fascista il 28 dicembre 1943 al Poligono di Tiro di Reggio Emilia. “Genoeffa Cocconi Cervi: l’Ottava vittima. Una Maria laica” è il titolo del lavoro dell’artista emiliana Clelia Mori. La mostra è stata inaugurata il 28 febbraio 2025 alla Casa della Memoria e della Storia di Roma in Via di San Francesco di Sales, in collaborazione con l’Anpi provinciale di Roma e l’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale. Sarà visitabile gratuitamente fino al 4 aprile 2025 (dal lunedì al venerdì dalle ore 9,30 alle 20, ultimo ingresso alle 9,30).
“Credo sia la prima volta che Genoeffa arrivi a Roma”. Con queste parole Clelia Mori ha inaugurato un’esposizione che non è solo un omaggio artistico, ma un atto politico e culturale: restituire piena visibilità alla figura di Genoeffa, madre dei sette fratelli Cervi, morta nel 1944 di crepacuore.
L’iniziativa è stata fortemente voluta dalla senatrice Cecilia D’Elia, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e la collaborazione dell’Anpi provinciale di Roma. All’inaugurazione, oltre all’artista Clelia Mori, hanno partecipato la stessa senatrice D’Elia; la presidente dell’Anpi provinciale Roma, Marina Pierlorenzi; e Patrizia Molinari, professoressa di Storia dell’Arte all’Accademia delle Belle Arti.
“A ottant’anni dalla sua morte credo sia giunta l’ora di ripensarla come l’ultima vittima del suo dramma familiare”, ha detto l’artista Clelia Mori, volendo evidenziare come anche altre forme di sacrificio, oltre quelle tradizionalmente riconosciute di chi è caduto in combattimento o per mano dei nazifascisti, costituiscano una parte importante della narrazione antifascista e quindi da celebrare tramite la memoria. Genoeffa, infatti, muore per il dolore insopportabile della perdita dei suoi sette figli dopo che i fascisti le incendiarono, per la seconda volta, il fienile.
Così, rientrano in questa categoria insieme a Genoeffa, tutte quelle donne che a partire dall’8 settembre 1943 hanno dato un rifugio, un pasto caldo e dei vestiti civili ai militari in fuga dalla guerra. “Eppure forse la Resistenza l’hanno iniziata proprio loro, le donne che hanno accolto e nascosto i perseguitati”, commenta ancora Clelia Mori, anche se sembra non bastare alla storia per ripensare una donna resistente ma senza le armi.
Allora ripensiamo a Genoeffa, al suo destino tragico ma soprattutto alla sua esistenza di lotta: una contadina insolitamente colta per i suoi tempi, che riconosceva l’importanza della cultura e leggeva ai suoi figli. Forse è proprio grazie a lei che i sette fratelli hanno sviluppato una coscienza politica che li ha portati a unirsi alla lotta antifascista, lei che li ha partoriti, cresciuti, sfamati, accuditi uno a uno, lei che ha tenuto nascosto la morte dei figli per quasi due mesi al marito tornato dal carcere seriamente ammalato.

L’ispirazione di far diventare Genoeffa una Maria laica deriva dalla famosa foto della famiglia Cervi in cui la madre è al centro della fila, circondata dalla famiglia disposta su due file parallele. Clelia Mori rivede in questo modello di rappresentazione corale la Maestà in Trono del Trecento col bambino in braccio e le due file parallele di angeli intorno e dietro. Oltre alla posa, Genoeffa condivide con le Maestà lo stesso sguardo di serenità e serietà e la sofferenza di una madre: “Mi era diventata una Maria, ma laica, incoronata dai figli come gli angeli delle Maestà.”
L’artista ha sentito l’urgenza di rappresentare Genoeffa a partire dalla sua unica foto a figura intera nell’aia perché rappresentarla nella sua interezza aiuta a raccontare meglio la sua complessità. Decide così di lavorare solo su di lei isolandola dal suo contesto familiare per renderla protagonista e farla uscire dall’invisibilità a cui la storia l’aveva relegata per troppo tempo.
Un dettaglio rivelatore di quell’unica foto a figura intera cattura l’attenzione di Clelia Mori: un accenno di sorriso sul volto di Genoeffa – “era il sorriso di chi sapeva di avercela fatta, di aver costruito una famiglia solida, unita, consapevole” – un sorriso che nel 1936 ancora ignorava l’orrore che sarebbe arrivato pochi anni dopo.
Durante l’inaugurazione Clelia Mori ha compiuto un gesto tanto forte quanto simbolico strappando a metà uno dei suoi ritratti di Genoeffa che riportava la parola “invisibile” più volte scritta sul corpo della donna. Un gesto che non è distruzione ma denuncia perché, così facendo, l’artista rende tangibile l’ingiustizia che ha relegato Genoeffa ai margini della memoria antifascista, come a dire che la sua figura è stata negata, spezzata. Esporre quello strappo significa costringere chi guarda a confrontarsi con il peso di quell’assenza per compiere un gesto di riparazione e quindi finalmente ricucire tramite la memoria.
Ancora grazie quindi a Clelia Mori e a tutte e tutti coloro che hanno reso possibile l’esposizione di questa mostra, che è sia un omaggio a una madre coraggiosa ma anche un invito a ripensare la memoria storica con uno sguardo più ampio, capace di includere tutte quelle donne che hanno resistito con la stessa determinazione e lo stesso sacrificio di Genoeffa.
Alessia Galati e Francesco Loreti, volontari del Servizio Civile Anpi provinciale Roma
Pubblicato giovedì 13 Marzo 2025
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