È il 10 giugno 1926, quando l’architetto catalano Antoni Gaudí Î Cornet (1852-1926) muore a Barcellona all’età di 74 anni. È stato investito tre giorni prima da un tram, il primo costruito in città, mentre andava a lavorare nel cantiere di quello che sarà il suo progetto più famoso, la Sagrada Familia, il tempio votivo dedicato a Gesù e ai suoi genitori, Giuseppe e Maria. Il suo aspetto così trasandato non ha permesso ai soccorritori di riconoscerlo e, per questo, è stato trasportato all’ospedale della Santa Croce, un ospizio per i mendicanti. Ai suoi funerali partecipano numerosissime persone, volenterosi di portare un fiore ed un saluto al loro più grande artista. A 90 anni dalla sua scomparsa, è bene ricordare la figura di Gaudí, un uomo che con il suo incessante lavoro ha cambiato l’aspetto di Barcellona, realizzando opere memorabili, fra cui, solamente per citarne alcune, la facciata scintillante di Casa Batlló o il giardino incantato di Park Güell, passando per Casa Milà e la già citata Sagrada Familia. E lo ha fatto con idee rivoluzionarie e innovative, alla base delle quali l’architettura dialoga con l’ecologia, la spiritualità e lo spazio. Le sue invenzioni sono audaci: per lui un edificio non può essere unicamente utile, ma deve avere ispirazioni poetiche; deve essere creato non per uno spazio astratto ma per quel preciso luogo, lasciando libera la fantasia. Ne consegue una varietà di forme e colori che si plasmano con il paesaggio.
Gaudí ama la natura e dalla natura trae ispirazione: «Volete sapere dove ho trovato la mia ispirazione? – racconta l’artista – In un albero; l’albero sostiene i grossi rami, questi i rami più piccoli e i rametti sostengono le foglie. E ogni singola parte cresce armoniosa, magnifica, da quando l’artista divino l’ha creata». Un’armonia studiata nel minimo dettaglio, integrando forme artistiche e forme naturali, e sommando al lavoro del costruttore quello dello scultore e del pittore, fino a contemplare le arti minori: la ceramica, il mosaico, il ferro battuto. Per questo l’architetto svizzero Le Corbusier lo definisce il «plasmatore della pietra, del laterizio e del ferro». Quella di Gaudí è una direzione a tutto tondo, mossa da un grande impulso religioso e dalla conoscenza delle tecniche più avanguardistiche del suo tempo.
Alla fine del XIX secolo, infatti, Barcellona, dove l’artista si trasferisce nel 1868 insieme al fratello, è una città in movimento, che guarda e adotta i cambiamenti promossi dalla rivoluzione industriale, e si trasforma in una città moderna con nuove concezioni urbanistiche. Inoltre, nel settembre dello stesso anno, la Spagna, a seguito di dure rivolte socialiste e repubblicane, vede la caduta del regno della regina Isabella II. Gaudí si forma in un clima culturale vivace, prendendo parte alla creazione dello stile modernista. Uno stile che l’artista declina con linee curve, forme asimmetriche, elementi coloristici e luminosi, in una perfetta sintesi di estetica e funzionalità. Il suo linguaggio architettonico è rivoluzionario, tanto geniale che, concluso il percorso di studi alla scuola di Architettura, nel 1878, Elies Rogent, il direttore dell’istituto, afferma: «Non so se abbiamo conferito il titolo a un pazzo o ad un genio, con il tempo si vedrà».
E senza dubbio Gaudí un genio lo è stato. Il pittore spagnolo Joan Mirò lo definisce «il primo fra i geni», autore di capolavori che tutto il mondo ammira, sette dei quali inseriti nel 1984 nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO: Parco Güell (1900-1914, Barcellona), Palazzo Güell (1886-1888, Barcellona), Sagrada Família (1883, ancora in costruzione), Casa Batlló (1904-1907, Barcellona), Casa Milà (1906-1912, Barcellona), Casa Vicens (1883-1888, Barcellona), Cripta della Colonia Güell (1898-1915, Santa Coloma de Cervelló). Opere che per la maggior parte sono divenute simbolo dell’identità di Barcellona. Un genio, Gaudí, complesso, non sempre apprezzato e che, nel momento più florido della sua attività, decide di ritirarsi dalla vita pubblica: ai teatri e ai concerti preferisce l’isolamento, passando dall’essere un giovane dandy catalano a un uomo maturo trasandato e austero, il cui unico impegno è il lavoro. Nei momenti più turbolenti pratica la penitenza, non mangia zucchero, carne e fritti, non beve vino ed è casto perché, sostiene, «oltre ai doni spirituali ci risparmia molti problemi». Ama, però, il miele e la frutta, in particolare le albicocche di Maiorca.
Gaudí crea uno stile unico, attento al dettaglio naturale e alla simbologia intrinseca in ogni forma che sceglie. L’architetto è consapevole del proprio valore: «È necessario – scrive nel 1879 – per crearsi una clientela e un nome farsi pagare il valore giusto dei propri lavori», anche se, alla fine, la passione e la devozione per il suo mestiere lo porterà a farsi stipendiare appena duecento pesetas al mese per l’impegno alla Sagrada Familia, poco più di un euro al mese. Arrivò anche a chiedere le elemosina per strada per cercare di trovare i fondi per finanziare il progetto.
Gli ultimi anni della sua vita sono inoltre caratterizzati da un fervente sentimento spirituale e religioso, tanto da essere definito l’architetto di Dio. Lo studioso Giulio Carlo Argan afferma, infatti, che «Gaudí si dedica tutto a Dio: il suo è l’unico caso di architettura religiosa (e non ecclesiastica) del nostro secolo. È religioso lo stile, non solo il contenuto dell’opera. Il suo è un atto di devozione pura». Addirittura, in tempi recenti, un comitato di trenta persone, fra ecclesiastici, architetti e accademici, ha promosso il processo di beatificazione dell’artista; e l’arcivescovo di Barcellona, il cardinale Ricardo María Carles Gordó, ha definito Gaudì «un laico mistico». «La vita – confidava Gaudí all’amico architetto Joan Bergós – è una battaglia; per combattere è necessaria la forza e la forza è la virtù e questa si sostenta e aumenta coltivando la spiritualità, ovvero mediante le pratiche religiose».
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato venerdì 17 Giugno 2016
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