Nella nostra società il ruolo delle immagini è diventato centrale, tanto che la loro efficacia comunicativa è ormai immensamente superiore a quella di un testo scritto, almeno per quanto riguarda la capacità di intercettare un grande pubblico. Per l’Anpi, interpretare l’antifascismo attraverso espressioni grafiche contemporanee è ormai una prassi vitale e funzionale a rendere la storia e la memoria più accessibili e immediate.
La street art col suo linguaggio fresco, poetico e non retorico, ci offre l’opportunità di rinnovare la strategia con cui in-formiamo la società dei nostri valori, e può quindi rappresentare un portale di accesso all’antifascismo per una parte di popolazione altrimenti irraggiungibile da quei codici simbolici più “tradizionali” a cui siamo avvezzi. Da queste considerazioni origina la scelta di rivolgerci all’arte urbana, coinvolgendo una delle sue rappresentanti più influenti nel panorama internazionale, sicuramente una delle più importanti street artist che abbiamo in Italia: Alice Pasquini, in arte Alicè, la cui ricerca è da sempre dedicata alle donne, da lei ritratte “in momenti quotidiani, emozionali, in atmosfere lontane dallo stereotipo donna-oggetto”, come riporta l’Enciclopedia Treccani.
Un’artista di questo spessore e con questo background, a noi di Anpi Persiceto – e al Comune di San Giovanni in Persiceto con cui abbiamo collaborato, sostenuti dall’Anpi provinciale di Bologna e da Coop Alleanza 3.0 – è parsa quasi una scelta obbligata visto e considerato il tema che intendevamo rappresentare: le donne della Resistenza. Tutte le donne, partigiane e non solo.
Situata nel piazzale della stazione ferroviaria, crocevia di persone che attraversano quel luogo per studio, lavoro e turismo legato alla “ciclovia del sole” recentemente inaugurata, l’opera, dal titolo evocativo e deandreiano di Mille papaveri rossi, raggiunge un pubblico ampio e plurale grazie a un’estetica elegante e raffinata che ben si sposa al contesto in cui è collocata. E invita dolcemente chi la osserva a riflettere su quelle soggettività che, nella narrazione della guerra di Liberazione contro fascismo e nazismo, troppo spesso sono state relegate sullo sfondo, a scenario umano della lotta armata, quasi una componente ambientale dal ruolo ancillare.
Infatti, sebbene da tempo una certa storiografia femminista abbia già provveduto a ricollocare nella giusta prospettiva scenica le attrici di quel dramma che durò venti mesi, troppo spesso questo sapere colto ed elitario resta relegato agli ambienti accademici e ai testi specialistici, inaccessibile alla maggioranza delle persone. E manca perciò una sua traduzione divulgativa che contribuisca a decolonizzare l’immaginario collettivo dalla figura del partigiano – uomo e armato – come depositario primario – se non unico – delle capacità resistenziali.
Dal fondale, quindi, le donne di quella storia – che è la nostra storia – abbiamo deciso di farle emergere portandole sul proscenio, omaggiandole attraverso una chiave di lettura inclusiva del concetto di Resistenza che privilegia gli aspetti della Resistenza civile e non armata, ovvero quegli ambiti che videro come protagoniste prevalentemente (sebbene non unicamente) le soggettività femminili. Questa scelta, che ovviamente non intende sminuire o dissacrare chi lottò in altra maniera, si giustifica sia per una questione numerica – pochissime furono le resistenti in armi rispetto a quelle disarmate – ma soprattutto per una questione pedagogica. Infatti, come sostiene la storica Anna Bravo alla voce Resistenza civile del Dizionario della Resistenza: “‘fai come me’ è un invito che il resistente civile può estendere enormemente, al di là di quanto possa fare il partigiano in armi; e che appunto per questo testimonia come anche aspettare, non vedere, non ‘immischiarsi’, sia stata una questione di scelte”.
Tra il restare indifferenti davanti al nazifascismo e l’imbracciare il fucile per combatterlo c’è tutta un’area del resistere anch’essa rimasta lungamente in ombra, ma dalla quale l’antifascismo, oggi, può trarre ispirazione per risemantizzare se stesso e le sue strategie operative in una società che è sì democratica e repubblicana, ma anche altamente complessa e soggetta a tensioni fascistizzanti in termini trans-storici e meta-politici.
È anche per questo che nel murale di Alicè le donne sono attualizzate con abiti e fattezze contemporanee, facilitando così il processo di identificazione nelle giovani osservatrici e invitandole a un’azione politica su più fronti, esattamente come su più fronti si giocò la partita delle resistenti dell’epoca. Nell’opera, infatti, non trova spazio solo l’iconica “staffetta” in bicicletta – termine peraltro problematico, perché da alcuni e alcune considerato vago e miniaturizzante, e di cui già i Gruppi di difesa della donna chiedevano la sostituzione con definizioni professionali come “informatrice”, “collegatrice” o “portaordini”. Ma ci sono anche una bracciante agricola – nello specifico una mondina, col caratteristico copricapo – e un’operaia in tuta da lavoro, le quali incrociano gli sguardi in una delicata tensione emotiva, quasi erotica e perciò foriera di rivoluzione.
Il riferimento è allora a una Resistenza in senso lato, materiale e simbolica, che l’opera d’arte immortala citando il lavoro logistico e di collegamento delle partigiane (“insieme di compiti complesso e pericoloso, senza il quale nessun esercito potrebbe esistere, men che meno quello resistenziale”, illustra sempre la Bravo), gli scioperi nei campi delle mondariso, i sabotaggi per rallentare la produzione dell’industria bellica nelle fabbriche, dove le donne sostituiscono gli uomini impegnati al fronte, emancipandosi dal focolare domestico. Forme di Resistenza né separate né in competizione con la lotta armata, ma a essa complementari, le cui radici affondano nel sottobosco antifascista del primo Novecento, per poi fiorire come rossi papaveri – iconografia floreale del partigianato per eccellenza – nelle pagine della Costituzione trasportate dal vento.
Enrico Papa, curatore del progetto – comitato direttivo Anpi Persiceto
Foto di Claudio Nannetti
Pubblicato martedì 15 Giugno 2021
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