Da diversi anni rifletto sulla possibilità di allestire una mostra d’arte sulla Resistenza, cercando nel contempo di superare due importanti scogli che riguardano il rapporto tra storia e arte. Infatti, se da un lato la storia è caratterizzata da studio, ricerca e documenti, l’arte invece è a una testimonianza e, in quanto tale, trascina e amplifica tutti i suoi limiti. Giuseppe Marchiori, nel Manifesto del Fronte Nuovo delle arti, del 1946 scrisse: “L’arte non è il volto convenzionale della storia, ma è la storia stessa che degli uomini non può fare a meno”. Ne è prova la celeberrima opera di Picasso, Guernica, manifesto di denuncia morale e rifiuto della guerra che non racconta i fatti avvenuti il 26 aprile 1937 nel piccolo paese basco, ma esprime la netta condanna di tale barbarie.
Sono sufficienti alcune tragiche citazioni di figure simboliche tratte dalla storia della pittura italiana per rendere intramontabile quell’opera: l’artista caratterizza la sofferenza e il dolore riproponendo la tragicità di Raffaello, il realismo di Caravaggio, il patimento di Giotto, la pietà michelangiolesca, il terrore che Guido Reni disegna sul volto della madre che fugge davanti alla strage degli innocenti. Ma un’opera efficace al pari di Guernica è Fucilazione nelle Asturie di Aligi Sassu, che ricorda la rivoluzione scoppiata nell’omonima regione spagnola nel 1934, che subito ci riporta alla mente le tragiche e realistiche esecuzioni dipinte da Goya.
All’artista non spetta dunque descrivere i fatti come tali avvengono: a questo ci hanno pensato i fotografi e i documentaristi. All’artista spetta il compito di esprimere un sentimento, una sensazione, seppur profonda e condivisa, ma pur sempre personale. Una commozione e una interpretazione dei fatti che sentono la necessità di farsi collettivi: indagare i propri sentimenti per renderli comuni e, insieme, imprimerli nell’opera in modo efficace per far sì che non si assopiscano, con il passare del tempo e delle generazioni, e perdano di intensità emotiva. Compito dell’arte è riproporre con una certa regolarità queste esperienze personali, affinché non siano private di significanza e di valore testimoniale. L’arte in questo modo integra la storia, la racconta per immagini sintetiche che diventano epocali e iconiche per trasformarsi in memoria collettiva. Ogni opera d’arte non solo eterna un contenuto ma lo effigia come simbolo, come momento di riflessione, come richiamo continuo alla storia. Questo è diventato Guernica nel tempo.
E questo effetto lo si è riscontrato anche nelle esposizioni, almeno quelle allestite nell’immediato secondo dopoguerra, quando i contenuti rappresentati dagli artisti – e non furono pochi quelli che s’impiegarono nell’opera attiva di liberazione del Paese, citiamo Pizzinato e Vedova per tutti – potevano essere “citazioni di esperienze vissute”.
Diverso è ora, a quasi ottant’anni da quegli eventi; difficile è ora per l’arte commemorare fatti e avvenimenti ormai passati e riportarli nel presente; così come complesso è fornire, oggi, nuovi dettagli sulla Resistenza, un periodo che si è conosciuto indirettamente tramite le parole dei protagonisti. Tuttavia, è necessario continuare a fare “memoria” attraverso quei testimoni diretti le cui opere sono sopravvissute al loro tempo. Una realtà storica e una forza politica che, recuperando le emotività comuni, diventano patrimonio di ogni persona di valori democratici.
D’altro canto, è vero che l’opera d’arte vuole estendere e trasformare una dimensione esistenziale e privata in collettiva, attraverso alcune immagini che hanno descritto, illustrato o testimoniato un periodo storico – la Resistenza – in cui la scelta individuale e l’impegno del singolo contribuirono a sconfiggere una realtà totalitaria e antidemocratica.
Anche esprimendo rabbia, odio e terrore, come Mirko Basaldella nella sua scultura Furore del 1944. Attraverso l’arte è dunque possibile ricordare efficacemente le vive esperienze delle donne e degli uomini che contribuirono alle riconquiste sociali e democratiche. Ecco, dunque, la storia che l’arte narra e narrerà nel tempo: ed ecco la materializzazione dei due sentimenti che hanno caratterizzato la creatività di quegli anni: il dolore e la speranza.
Migliaia sono i quadri e i disegni che descrivono uccisioni, rastrellamenti, fucilazioni di giovani, come gli impiccati di Forlì riprodotti da Mucchi. Immagini che, rappresentando la morte, ricordano il sacrificio, il dono di una vita per la libertà. Chi non ha un senso di dolore e, insieme, uno contrapposto di fiducia nel guardare la Partigiana di Augusto Murer distesa, priva di vita e lambita dal moto perpetuo delle acque della laguna veneziana che invano cercano di portarsi via il corpo che invece resiste e rimane adagiato sulla riva a memoria della sua eroica scelta di combattere per la libertà.
O ancora la triste Crocifissione di Guttuso che di quel suo quadro disse: “Questo è tempo di guerra e di massacri: Abissinia, gas, forche, decapitazioni; Spagna; altrove. Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi… come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere per le loro idee… le croci (come le forche) alzate dentro una stanza. I soldati e i cani – le donne scarmigliate discinte piangenti – al lume di candela (la candela di Guernica?). Gente che entra ed esce… oppure puntare sul contrasto. Il supplizio tra il popolo con giocolieri e soldati – Circo e massacro – Al sole con l’uragano che arriva”.
Ma c’è anche la speranza, manifestata nel ’44 da Vedova con l’Assalto alle carceri o in Mirko che vede nella riproposta de La Marsigliese di François Rude un nuovo riscatto sociale simile alla Rivoluzione francese. Ma su tutto il sorriso della giovane donna veneziana fotografata con il Corriere della Sera sulle spalle, dove si annunciava la nascita della Repubblica, parallela alla giovane contadina che in Novecento di Bertolucci comunicava correndo la fine della guerra. Una gioventù che sente la necessità di ricominciare e di iniziare un corso della storia attraverso gli insegnamenti della Resistenza, affinché, dopo la sconfitta del virus fascista, l’Italia potesse far valere i principi di democrazia, di libertà e di partecipazione. E dopo quella felice e sorridente immagine altre esperienze, nate dalla Resistenza, sono maturate e ancora una volta la pittura e l’arte tutta le hanno “interpretate”, sia nella tragica dimensione della guerra, sia come speranza di cambiamento e fiducia nel futuro, come le Biciclette di Zigaina, simbolo della lotta operaia.
La profezia di Carlo Rosselli secondo cui la guerra di Spagna rappresentava il preludio di una seconda guerra mondiale, diventa parallelismo di come il carcere, l’esilio, le persecuzioni, le deportazioni, rappresentarono l’esperienza vissuta e sofferta dagli uomini che dovevano animare la Resistenza, e anticipare idealmente e concretamente la storia e i suoi sviluppi successivi. Dipinte, scolpite o disegnate, un’atmosfera corale, una sinfonia di figure e di colori che attestano un pathos epico tipicamente popolare. Queste opere “risentono” e, insieme, beneficiano della partecipazione dell’artista all’avvenimento, che egli interpreta in modo profondamente sentito, facendo acquisire alle figure rappresentate anche un valore documentale.
Ancora oggi noi non sappiamo nulla, sul piano storico, o non ricordiamo più, quanto si deve agli umili, agli operai, ai contadini, ai borghesi delle città, e delle campagne, i quali, molte volte, furono gli attori maggiori della Resistenza, quelli che la difesero e la alimentarono nelle ore più drammatiche a rischio della vita, quando non furono rastrellati, deportati o uccisi. All’artista spetta il privilegio di raccontare, attraverso segni e figure, questi personaggi secondari per la storiografia, ma estremamente rilevanti sul piano umano.
Per tali motivi l’arte parla meglio ai nostri cuori, al nostro ricordo: è il frutto spontaneo di un momento poetico che supera i numeri e li simbolizza per trasformare le vicende storiche in stimolo di libertà. La Resistenza ci ha insegnato anche ad avere coscienza dei nostri limiti, elevando il valore del lavoro comune e solidale in opposizione alla retorica dell’eroe o “dell’uomo solo al comando”.
Il dialogo dell’artista con l’opera da lui creata si inserisce nel ciclo di quel messaggio sociale e umano che, nel ricordo, vivifica e rinnova il monito della storia. L’elenco dei nomi è lungo (ma non esaustivo): Picasso, Moore, Chagall, Guttuso, Lardera, Gilioli, Signori, Couturier, Fautrier, Pignon, Manessier, Buffet, Cassinari, Treccani, Kodra, Paulucci, Mastrojanni, Viano, Alberti, Berni, Verlon, Migneco, Sassu, Manzù, Brindisi, Ruggeri, Greco, Levi, Cappello, Crippa, Morlotti, Birolli, Cherchi, Mazzacurati, Zigaina, Minguzzi, Valenti, Dova, Ajmone, Rattner, seguiti da un centinaio di artisti che in Europa e nel mondo hanno saputo raccontare in modo molto efficace la Resistenza, trasmettendo attraverso le loro opere un messaggio di drammatica attualità. L’arte, nel suo ruolo sociale, ci porta l’eco profonda delle testimonianze dei martiri, gli umili e i dimenticati che, al di là di ogni confine, parlano al cuore degli uomini. Non tutto è stato detto sulla Resistenza e, forse, non lo sarà mai; ma il suo insegnamento rimane nel tempo a richiamare alla realtà i doveri di ciascuno.
Diego Collovini, docente di storia dell’arte moderna all’ABA G. B. Tiepolo di Udine, componente del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato giovedì 20 Maggio 2021
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