Ha preso in prestito spazi pubblici, strutture e paesaggi, imprimendo la propria intuizione di bellezza sui luoghi scelti e dando espressione a sensazioni condivise da molti. Ha creato installazioni monumentali, ha avvolto enormi edifici, viali alberati e isole intere, è riuscito anche a far camminare migliaia di persone sulle acque di un lago, portando avanti un’idea di arte come mai nessuno prima l’aveva concepita. L’artista bulgaro Christo Vladimirov Yavachev (1935-2020), conosciuto al pubblico solamente con il nome di Christo, si è spento all’età di 84 anni a New York, città in cui viveva. La sua eredità è importante, legata ad una concezione artistica allo stesso tempo visionaria e pragmatica, temporanea e collettiva, capace di svelare le meraviglie del mondo.
Christo è stato il primo artista a ricreare uno stato di curiosità verso fattori ambientali diventati consueti e, per questo, forse, poco interessanti.
La sua arte ha così dato vita a “uno degli spettacoli visivi più magici del nostro tempo”. “Tutti i miei progetti – affermava Christo – sono fisici, il che significa che ci sono chilometri di spazio nei quali devi camminare, dei luoghi in cui devi stare: non è qualcosa da guardare, ma un posto nel quale muoverti. È tutto fisico, reale, non è cinema, sono cose vere: il vento, il sole, il tempo che devi trascorrerci. E questa è la parte più importante di tutti i miei progetti”.
Non si può parlare di Christo senza nominare Jeanne-Claude Denat de Guillebon (1935-2009), la donna che per anni è stata al suo fianco, con la quale ha realizzato numerosi progetti nel sodalizio artistico di Christo con Jeanne-Claude. Lui nato a Gabrovo (Bulgaria), lei a Casablanca (Marocco), nello stesso giorno e nello stesso anno, si conoscono nel 1958 a Parigi, quando lei gli commissiona un ritratto della madre.
La loro prima collaborazione importante risale al 1961 ed è l’opera Rideau de Fer (Cortina di Ferro): un muro di 240 barili di petrolio stanziati in rue Visconti, nella capitale francese, che impedisce ai parigini il passaggio, in segno di protesta contro il muro di Berlino, eretto quello stesso anno.
Il clima artistico in cui Christo e Jeanne-Claude muovono i primi passi, alla fine degli anni Cinquanta, corrisponde all’affermazione nell’arte degli happenings e degli enviroments, cioè quelle operazioni artistiche in cui non ci si concentra tanto sull’oggetto artistico ma sull’evento (happening) e sulla creazione di un ambiente capace di includere lo spettatore e di renderlo partecipe (enviroment, ambiente). Come afferma lo storico Germano Celant, la forza di Christo e Jeanne-Claud è stata quella “di realizzare, con i primi barili a Parigi, una congiunzione fra happening e enviroment”, un’operazione che trasforma il modo di concepire l’arte, facendola diventare una vera e propria esperienza esistenziale. Quando l’arte procura un’esperienza, “si sposta l’accento dell’opera verso il suo effetto e verso l’interazione con lo spettatore-osservatore: fondamentalmente questo dispositivo è in-ter-attivo – spiega il filosofo francese Yves Michaud nel suo L’arte allo stato gassoso –. L’esperienza ricopre ormai il ruolo dell’opera e l’oggetto è sostituito da una qualità estetica volatile, evanescente e diffusa”.
L’arte di Christo e Jeanne-Claude, in effetti, pone l’accento sull’interattività che, nel loro caso, si trasforma anche in un coinvolgimento fra la gente comune e non si tramuta mai in esclusione. Si ottiene così una partecipazione totale, mai banale, dove lo spettatore, immergendosi nell’opera, vive un’esperienza estetica, in una dimensione distratta e relazionale. “Quando esci dal tuo guscio – sottolineava Christo – attraversi la strada, ti esponi al mondo e vedi alberi impacchettati o chilometri di tessuto che si snodano per la California, sei in uno spazio che include ogni cosa: il vento, le macchine, gli uomini, gli animali. Non sei preparato, non hai deciso di entrare in una galleria, c’è stato un incontro. Questa è la nostra arte: non illustrazione, ma pura esistenza”.
Nel 1964, la coppia vola negli Stati Uniti, dove si impegna a ideare progetti su larga scala, intervenendo direttamente su monumenti e interi paesaggi, trasformando così il contesto urbano in un vero e proprio atelier. Christo e Jeanne-Claude ricreano il giusto contesto estetico in cui la loro opera può essere fruita e compresa, divenendo i precursori di quella che, alla fine degli anni Sessanta, sarà definita Land Art, quell’arte cioè che vede l’intervento diretto dell’artista sul territorio naturale, il cui esponente più noto è Robert Smithson, autore della celebre spirale di sassi in uno dei laghi salati dello Utah.
Fra i progetti americani, Running Fence (1972-76) è uno dei più spettacolari: valli, fiumi e boschi della California, a nord di San Francisco, vengono percorsi da una recinzione continua, costituita da 200 mila metri di stoffa mossa dal vento. L’installazione sembrava prendere vita fra suoni e movimenti della natura. L’opera ha avuto una lunga progettazione, ben quattro anni, ma la sua presenza fisica nel paesaggio ha avuto vita breve, quattordici giorni, come del resto ogni opera realizzata da Christo e Jeanne-Claude. Giorni che però hanno risvegliato emozioni e trasformato un territorio in qualcosa di sorprendente e mai visto prima.
Sempre in America, nel 2005, i due artisti allestiscono The Gates: 7.503 porte in acciaio e tessuto color zafferano che si snodano nel parco di Central Park a New York. Lo spettacolo ottiene grande successo. Oltre quattro milioni di visitatori partecipano a questa esperienza unica, che permette al pubblico di camminare all’interno di un fiume dorato di stoffa e di portarsi a casa un campione di tessuto. L’opera rimane in vita sedici giorni e, come tutti i lavori della coppia, è interamente finanziata dalla CVJ Corporation, di proprietà degli artisti, attraverso la vendita di disegni, collage, studi preparatori, modelli in scala e litografie.
Spesso, il carattere passeggero di questi lavori è stato messo in discussione dalla critica. Tuttavia, ha spiegato Christo: “Tutti i nostri progetti hanno una fortissima qualità nomade, che ricordano le tribù che si spostano con le loro tende; usando un materiale fragile si avverte una maggiore urgenza di vedere quello che domani non ci sarà più… nessuno può comprare questi progetti, nessuno può diventarne proprietario, nessuno li può commercializzare, nessuno può far pagare biglietti di ingresso; nemmeno noi possediamo queste opere. Il nostro lavoro è sulla libertà. La libertà è nemica del possesso, e il possesso equivale alla permanenza. Ecco perché l’opera non può rimanere”. E così la memoria dei loro tanti lavori resterà documentata da video, fotografie e studi preparatori.
“Nessun artista nella storia – osserva lo storico dell’arte americano Albert Elsen – ha mai dedicato più tempo di Christo e Jeanne-Claude a presentarsi e presentare la propria arte alla gente di tutto il mondo. Il successo di pubblico dei loro progetti in Svizzera, Germania Ovest, Australia, Italia, Francia, Giappone, Stati Uniti e anche altrove si deve, in non piccola parte, alla loro disponibilità e al loro dono naturale per l’insegnamento. Sono stati i primi artisti a scegliere di indagare l’impatto dei loro progetti sull’uomo e sull’ambiente.
Per Christo e Jeanne-Claude l’interazione con il pubblico costituisce parte integrante della loro creatività”. Una creatività che coinvolge direttamente le persone che, istintivamente, decidono di prendere parte all’opera. In questo senso, l’intervento più simbolico di tutti gli impacchettamenti di Christo e Jeanne-Claude è il Reichstag di Berlino, un’idea nata nel 1971 e realizzata solamente nel 1995. Dopo anni di duro lavoro, gli artisti riescono ad ottenere tutti i permessi per procedere all’impacchettamento del parlamento. Dieci aziende tedesche producono i materiali richiesti: un’intelaiatura in acciaio da 200 tonnellate, 100 mila metri quadrati di tessuto in polipropilene a maglia stretta rivestito di alluminio e quasi 16 mila metri di corda blu, di 3,2 centimetri di diametro. La facciata, il tetto e le torri dell’edificio vengono coperti con settanta pannelli di tessuto sotto gli occhi increduli dei passanti per quattordici giorni. Costo dell’operazione quindici milioni di dollari. I visitatori, oltre cinque milioni, giorno e notte, affollano lo spazio sottostante al parlamento, creando uno spazio metafisico, fatto di danze, canti e complicità.
Di eventi artistici come questo, Christo e Jeanne-Claude ne realizzano moltissimi, dall’impacchettamento del Museo di Arte contemporanea di Chicago al monumento a Vittorio Emanuele in piazza Duomo e quello di Leonardo da Vinci in piazza della Scala a Milano, dall’intervento sui quattro archi di Porta Pinciana alla fine di via Veneto a Roma alle undici isole di Miami, in Florida, (Surrounded Islands) che vengono circondate con un tessuto galleggiante rosa shocking. Al di fuori della tecnica dell’impacchettamento, invece, si colloca uno dei lavori più costosi e ambiziosi della loro carriera: The Umbrellas, un progetto congiunto per Giappone e Usa. Per la prima volta un lavoro è reso fruibile simultaneamente in due luoghi lontani. Costo dell’opera: ventisei milioni di dollari. In Giappone vengono allestiti 1.340 ombrelli blu; negli Stati Uniti 1.760 ombrelli gialli, per un totale di 3.100 ombrelli, dal peso di 200 chilogrammi ognuno. All’alba del 9 ottobre 1981, 1.880 operai cominciano ad aprire tutti gli ombrelli a Ibaraki e in California alla presenza degli artisti. “Quest’opera d’arte temporanea nippo-statunitense – recita il bollettino di presentazione – riflette le similitudini e le diversità nel modo di vivere e nell’uso del territorio di due valli dell’entroterra, una lunga 19 chilometri (in Giappone) e l’altra 29 (negli Stati Uniti)”. Due settimane dopo, il territorio viene ripristinato e tutti i materiali vengono riciclati.
In Italia, Christo è ricordato specialmente per un progetto realizzato nel 2016 sul lago d’Iseo, dove ha allestito The Floating Piers, una passerella galleggiante in tessuto giallo aperta al libero passaggio pedonale. Per sedici giorni, oltre un milione e mezzo di persone, hanno camminato insieme sull’acqua. Il pontile, lungo più di tre chilometri, ha collegato Sulzano a Monte Isola, accogliendo i visitatori da ogni parte del mondo. L’opera, come sempre, ha offerto un’interpretazione inusuale del paesaggio, dando al pubblico la possibilità di immergersi in un’esperienza estetica, fisica e comunitaria, quasi spirituale.
L’ultima visone dell’artista che diventerà realtà, sarà l’impacchettamento dell’Arco di Trionfo a Parigi prevista il prossimo anno. Un progetto al quale l’artista lavorava da molto tempo e che sarà realizzato postumo. L’evento è anticipato da una mostra che ripercorre gli anni parigini di Christo e Jeanne-Claude, allestita nelle sale del Centre Pompidou, che inaugurerà a luglio 2020.
Con le sue creazioni, Christo è riuscito ad abbellire il mondo. Le sue opere, rivoluzionando il modo di fare scultura, sono riuscite a cambiare il modo di vedere la realtà. Con le sue idee visionarie, l’artista ha dato profondità alla vita quotidiana, offrendo la possibilità di ripensare a ciò che ci circonda e di capire appieno la bellezza di vivere esperienze condivise. Christo ci lascia la consapevolezza che nulla è impossibile e che ognuno di noi può cambiare il mondo, se solo sarà in grado di guardarlo con occhi diversi. La sua autonomia nel progettare e finanziare ogni lavoro, svincolandosi da dinamiche accademiche o politiche, ci insegna poi ad essere sempre determinati e a restare liberi.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato venerdì 12 Giugno 2020
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