Ci sono molti buoni motivi per andare a visitare a Roma la mostra dedicata a Carla Accardi (Trapani 1924 – Roma 2014) nel centenario della sua nascita. Primo fra tutti è che l’evento, ospitato nelle sale del Palazzo delle Esposizioni fino al primo settembre 2024, racconta la storia di una delle figure femminili più influenti nella cultura visiva italiana e internazionale contemporanea che, nel tempo, ha saputo spaziare dall’astrattismo all’informale, dalla pittura ambiente al bianco e nero, dai colori pieni degli anni Ottanta del Novecento fino ai grandi dittici e trittici degli anni Novanta e Duemila.

Caso unico fra gli artisti della sua generazione, Accardi ha saputo allacciare dialoghi con artisti e intellettuali più giovani nell’arco delle diverse stagioni del suo lavoro. Da sempre, l’artista ha coltivato l’amicizia con i poeti del suo tempo: partecipa alle riunioni del Gruppo 63 e, anni dopo, trova ispirazione dal dialogo con Valentino Zeichen, Andrea Zanzotto, Daniele Pieroni e Francesco Serrao. Nel catalogo della mostra capitolina è anche possibile leggere le pagine del taccuino dove Accardi elencava frasi o sintagmi estrapolati dalle poesie con l’idea di utilizzarli per titolare le sue opere.

Inoltre, le curatrici Daniela Lancioni e Paola Bonani hanno organizzato un percorso coinvolgente, scegliendo proprio quelle opere nelle quali l’artista si è espressa con maggiore radicalità e, per questo, rivelatesi poi seminali nel contesto nazionale e internazionale.

Esposte oltre cento opere, dal 1946 al 2014, fra pitture, sculture e fotografie, articolate in un percorso cronologico che include porzioni di allestimenti concepiti dalla stessa Accardi, come per esempio la sala personale alla Biennale di Venezia del 1988. Di particolare rilievo è la presenza di entrambe le Tende realizzate dall’artista: Tenda del 1965-66 e la radiosa Triplice tenda del 1969-71, un grande ambiente che si trova nella collezione del Centre Pompidou. In mostra anche le due altre opere concepite come spazi abitabili e attraversabili, la Casa labirinto (1999-2000) e il Cilindrocono (1972-2013).

Giunta a Roma dalla Sicilia nell’immediato dopo guerra, Accardi è entrata subito in contatto con gli intellettuali e con i pittori che sono soliti incontrarsi a via Margutta, nello studio di Renato Guttuso. Il clima è quello di una vivace comunità di giovani che, attraverso il dialogo e il confronto, cominciano a delineare le proprie personalità artistiche.

“Una siciliana venuta da Roma due, tre anni fa – scriverà di lei Giulio Turcato – che ha sradicato da sé quei pregiudizi e quel senso di falsa maternità (e modestia) per cui tutte le pittrici hanno la loro discendenza assolutamente segnata da Rosalba Carriera. A parer mio, in questi ultimi guazzi dell’Accardi, per esempio nella Tempera 6, per la prima volta possiamo vedere come una donna concentri sul rosso una determinata composizione; e nella Tempera 5 come non è affatto vero che una pittrice deve essere delicata a tutti i costi; anzi possa benissimo esprimere un pensiero con forza e un giudizio sulla forma più di un qualsiasi altro pittore”.

Carla Accardi e il Gruppo Forma 1: Pietro Consagra, Mino Guerrini, Ugo Attardi, Carla Accardi, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo (marito di Carla), Giulio Turcato, e Piero Dorazio (seduto)

Primo fra tutti, Turcato sente la necessità di difendere Accardi dal pregiudizio di genere secondo cui la pittura al femminile deve essere necessariamente delicata e graziosa. Pregiudizio questo su cui Accardi si esprimerà pubblicamente soprattutto negli anni Settanta del secolo scorso, durante la sua militanza femminista.

Da sempre Accardi, protagonista indiscussa dell’esperienza artistica di Forma 1, è mossa dalla volontà di sovvertire quei luoghi comuni nostrani, che vogliono associare alla figura femminile un’attitudine alla delicatezza e alla pittura un canone di bellezza ed equilibrio compositivo, con contenuti ben decifrabili. Al contrario l’artista lavora con forme non comprensibili, scegliendo sagome arrotondate, riempite con colori caldi o con il bianco e nero. “Volevo che il pubblico – afferma – amasse l’arte scoprendo che dietro c’era la vita, ma principalmente volevo essere un’artista della mia epoca, volevo scoprire cosa fosse la contemporaneità”.

Dagli anni Cinquanta, dopo aver concluso l’esperienza all’interno di Forma 1, Accardi comincia a dipingere su tele posizionate a terra, usando la caseina per disegnare segni bianchi su fondo nero. “Avevo avuto un anno di crisi – confessa l’artista, riferendosi ai primi anni Cinquanta – credevo di non poter far più niente nella pittura. Mi ero isolata e ho cominciato a disegnare direttamente per terra. Tracciavo dei segni. Ho usato il bianco sul nero, mi stimolava, mi sembrava qualcosa di unico. Il mio scopo era quello di rappresentare l’impulso vitale che è nel mondo”.

Seguiranno, negli anni Sessanta, gli “alfabeti immaginari”, grazie all’influenza della Pop Art americana, e le pitture fatte direttamente sulla plastica trasparente e arrotolabile, trasferendo così la dimensione dell’arte in una dimensione ambientale, non più unicamente legata alla parete. In questo senso è emblematica l’opera Triplice tenda: una specie di labirinto che ogni visitatore può esplorare e percorrere. “Avevo fiducia nell’evoluzionismo – spiega Accardi – perché credevo nella possibilità di migliorare la vita, in un mondo che doveva sconfiggere le sofferenze con la scienza e il progetto sociale”.

Gli anni a seguire, vedono Accardi ritornare alla pittura tradizionale, con forme astratte e fantasiose.
Una carriera, quella di Accardi, vissuta fra sperimentazioni artistiche, impegno sociale e militanza femminista: nel 1970 fonda Rivolta Femminile con la storica dell’arte Carla Lonzi. Una militanza questa che le costa la destituzione dall’insegnamento a causa di un’indagine condotta fra le alunne della scuola media statale Giovanni Papini di Roma, dove insegna. “Le mie allieve – racconta Accardi – avevano il compito di preparare delle tesine dove raccontavano il rapporto con il padre e il fratello. Le raccolsi in un librettino e questa iniziativa non piacque. In più a scuola leggevo il manifesto del nostro gruppo. E così fui licenziata. Ero convinta che le donne erano sacrificate, che erano volutamente mantenute in secondo piano. E io lottavo per la parità”.

“Non ci si realizza – ribadirà Accardi – solo nella vita, lo si è anche nelle nostre fantasie passioni utopie e si è donne anche in tutto questo in cui hanno dominato gli uomini, l’ho capito di recente perché la cosa più notevole che ho trovato nel femminismo è stato scoprire che sono un essere umano e come tale non ho voglia di privarmi di nessuno dei diritti da ciò derivanti e posso dare nella nostra lotta più con quello in cui mi sono qualificata che con qualsiasi altro mezzo o dimensione o rinuncia o dono”.

Accardi lavora a lungo, sperimentando e ricercando sempre nuovi modi di esprimersi ed è, a partire dagli anni Ottanta, che il suo lavoro ottiene grandi riconoscimenti. In questi anni, infatti, vengono organizzate mostre antologiche a Ravenna e a Milano, ma anche a Toronto, a Modena, Parigi e Roma. La retrospettiva al Palazzo delle Esposizioni offre dunque la possibilità di scoprire un’artista unica e libera, che con il suo incessante lavoro ha permesso di sradicare pregiudizi, ha creato nuove possibilità estetiche e, con le sue scelte radicali, ha contribuito alla nascita di nuovi modi di concepire l’opera d’arte.

Francesca gentili, critica d’arte