Lo scultore Arrigo Minerbi era entrato nell’orbita della Congregazione orionina per avere scolpito il “Don Orione morente”, un capolavoro in marmo bianco di Carrara, benedetto il 15 marzo 1942 dal beato arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster. Fu per quell’opera che Don Carlo Sterpi, superiore generale, lo conobbe e prese a benvolerlo. Arrigo Minerbi, ebreo, scultore di grande fama, anche dopo le leggi razziali del 1938, godeva di una certa libertà. Si trovava all’Aretusa di Rapallo nell’ottobre 1943, quando fu raggiunto da Don Sterpi.
«Don Sterpi con quel suo tono dolce e commosso mi dice: “Professore, sarebbe bene che lei si allontanasse da Rapallo. Le cose si mettono male. Venga da noi sui colli di Tortona, la casetta dove sono nato è a sua disposizione. Non tema; ma non perda tempo. Venga lei intanto… Poi verrà la signora”».
Dopo alcuni giorni, il 20 ottobre 1943, come Minerbi racconta: «Una vecchia Lancia Augusta scricchiolante, sofferente, ci porta a Gavazzana. La casa natia di Don Sterpi non è diversa dalle altre… A tutto sovrintende Carmelina, cugina di Don Sterpi. Un chierico atletico, muratore, elettricista, meccanico, accomoda, ricostruisce, riconnette le mura sconnesse e malconce. E l’uomo indispensabile per Cavazzana. Sono qui da poche ore, ed ecco apparire Don Sterpi, colme le braccia di provviste, perché l’ospite non manchi di nulla. Due parole di raccomandazione, a voce bassa, a Carmelina, un buon sorriso a mia moglie e a me, ed eccolo attraversare la strada, a piccoli passi, e sparire giù, per un cortiletto angusto, nell’interno di una casetta rustica costruita a mezzo. Carmelina mi dice con un sorriso indulgente: “Va a visitare il suo tesoro”. È una nidiata di orfani che ha portato quassù come per un nucleo di orfanotrofio suo. Quando esce, fioriscono intorno alla sua tonaca tante testoline, come pulcini intorno alla chioccia».
Tutto procedeva in una serena pace e nella vita semplice a Gavazzana, quando «il 3 dicembre 1943 – è ancora Minerbi a raccontare – viene su Don Sterpi e mi dice: “hanno individuato il suo rifugio. È prudente partire. Al tramonto manderò l’auto a prenderla. C’è il coprifuoco, ma la nostra macchina passerà! La condurremo poi dove vorrà. In Svizzera? A Roma? A Napoli? Lei deciderà. La signora può rimanere. Fidi nella provvidenza!”».
Alla sera, in auto, Minerbi raggiunse la casa madre di Tortona. «Ed ecco Don Sterpi all’opera, senza perdere un istante. Un chierico, forbici alla mano, riduce la barba, ne muta la foggia, fino a togliere al mio volto le sue caratteristiche troppo note. Un fotografo per la carta d’identità: da Arrigo Minerbi è tramutata in Arrigo Della Porta; invio immediato di un sacerdote ad Alessandria per i visti necessari e per un certificato della prefettura che affermi essere il sottoscritto nato a Reggio Calabria e domiciliato a Tortona, con l’incarico di organizzare le opere di assistenza di Don Orione. A sera dello stesso giorno tutto era fatto e l’indomani ecco giungere il chierico atletico di Gavazzana, l’uomo scelto da Don Sterpi a mia compagnia».
Tutto è disposto per il viaggio e per la destinazione: Roma, Istituto San Filippo Neri, sulla via Appia.
Incaricato di accompagnare Minerbi a Roma è Antonio Tosi, il chierico di Gavazzana, che Minerbi già ben conosceva. Don Sterpi gli dice: “Tu devi portare sano e salvo il professore a Roma, al San Filippo, ove Don Piccinini l’attende”. Rapida genuflessione e partenza.
«Dopo tre giorni e tre notti di un fortunoso viaggio, arrivammo a Roma. Al posto di blocco di via Appia nuova, i tedeschi ci fermarono. Nell’interno della vettura eravamo in sei. Chiesero a tutti i documenti, meno che a me, che certo, se interrogato, non avrei parlato calabrese…».
Furono vicende indimenticabili per drammaticità e per umanità generosa delle quali Arrigo Minerbi diede testimonianza in una conferenza al gruppo Amici di Milano.
«Roma, 7 dicembre 1943. Scaricato da un’auto di fortuna, sotto un diluvio d’acqua, fuggiasco con falso volto e falsi documenti, entro all’Istituto San Filippo. Una folata di ragazzi mi investe. Sono centinaia che mi urtano, mi spingono e io m’immergo nell’onda in tempesta e annaspo con le braccia in quello sciame umano, finché una porta s’apre e due braccia fraterne mi accolgono, e la porta si chiude dietro me. Silenzio e commozione. Il naufrago è a riva e si chiama Arrigo Della Porta. L’ambiente mi apparve dopo i primi giorni alquanto strano. Professori e maestri in soprannumero… Figure alquanto enigmatiche di laici. A qualcuno più s’addiceva una divisa militare che l’abito borghese. I tedeschi imperavano, rastrellavano, deportavano. L’assordante cicaleccio di quegli ottocento ragazzi celava e proteggeva l’opera di sublime carità di quei sacerdoti che rischiavano la vita per salvare i perseguitati. Una magnifica discrezione vietava a tutti, laici, religiosi, seminaristi, anche la più larvata richiesta d’informazioni. Uno solo sapeva. Egli vegliava su tutti, pronto al sacrificio personale, magnifico di consapevole e serena tranquillità. I sacerdoti non avevano riposo, i seminaristi nemmeno. Nessuna comodità, nessun refrigerio, né riposo in piume. Fui testimonio di episodi che serbo nel mio cuore, e non dico, perché la parola li sciuperebbe».
Arrigo Minerbi, per occupare un po’ il tempo e per ringraziare di quell’accoglienza salvifica all’Istituto San Filippo, pensò di modellare una medaglia col volto di Don Orione.
«Mi misi all’opera – un po’ di plastilina, un’assicella, alcune stecche che mi feci io stesso con legno di bosso… una coperta provvidenziale sotto mano, per coprire il tutto al minimo bussare (io dovevo rimanere per tutti Arrigo Della Porta) e il piccolo studiolo di scultura era fatto. Una bella fotografia di Don Orione circondato dai bimbi che gli fan corona, mi attirava pel suo bel sorriso luminoso che rincuorava e confortava. Così a poco a poco, nella linda cameretta di San Filippo, nacque la medaglia, la “tessera” di riconoscimento degli Orionini, la “piastrina del soldato”. Nel retro della medaglia sotto al simbolo dell’Eucaristia ciascuno farà incidere il suo nome e una data, quella del giorno della prima Messa».
Avvenne la Liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, e venne la libertà per Arrigo della Porta che poté tornare Arrigo Minerbi, ormai per sempre “orionino” per gratitudine come un Mosé salvato dalle acque di una tirannia violenta da insperati benefattori. Da Dio.
Dino Tosi, il figlio di Antonio che oltre a salvare lo scultore Minerbi diverrà partigiano, combattendo in Valle Olona
Per un approfondimento vedi lo studio su Minerbi
Pubblicato venerdì 7 Aprile 2023
Stampato il 03/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/forme/arrigo-minerbi-uno-scultore-nella-tempesta-della-shoah/